Nel contesto delle successioni ereditarie, le situazioni che riguardano le coppie di fatto presentano condizioni differenti rispetto alle coppie sposate o unite civilmente. La legge 76/2016, nota come Legge Cirinnà, ha introdotto significative novità, ma non equipara del tutto i diritti delle coppie di fatto a quelli dei coniugi. In particolare, il convivente superstite non è considerato un erede legittimo, salvo disposizioni specifiche presenti in un testamento.
Le coppie di fatto, unite da un patto di convivenza alternativo al matrimonio, non godono dei diritti successori riconosciuti ai coniugi o alle unioni civili. Il convivente superstite non è automaticamente incluso nell’asse ereditario, a meno che non esista un testamento che disponga a suo favore. Il patrimonio del defunto, in assenza di testamento, viene interamente destinato agli eredi legittimi, come figli o altri parenti. Tuttavia, la Legge Cirinnà garantisce alcuni diritti, come la possibilità di continuare ad abitare nella casa comune per un tempo limitato. Per tutelare il partner, è possibile ricorrere a un patto di convivenza o a specifiche disposizioni testamentarie.
In assenza di un testamento, per le coppie di fatto la normativa italiana non prevede alcun diritto successorio per il convivente superstite. La legge distingue chiaramente tra chi è erede legittimo, come i figli, i genitori o altri parenti, e chi non lo è. In questo contesto, il convivente non ha alcuna pretesa sul patrimonio del partner defunto. Tutti i beni del defunto sono destinati esclusivamente agli eredi legittimi secondo l’ordine stabilito dal Codice Civile.
Ad esempio, se il defunto non lascia figli ma i genitori o parenti più prossimi sono ancora in vita, saranno questi ultimi a ereditare l’intero patrimonio. Questo significa che, anche dopo una lunga convivenza e una relazione stabile, il partner superstite viene completamente escluso dall’asse ereditario. Questa situazione comporta spesso conseguenze problematiche, soprattutto se il convivente superstite dipendeva economicamente dal partner deceduto o se viveva nella casa comune, intestata esclusivamente al defunto.
Tuttavia, esistono delle eccezioni. Se il convivente vive nella casa di proprietà del defunto, ha diritto a continuare ad abitarvi per alcuni anni, a seconda della durata della convivenza o della presenza di figli minori o disabili. In tutti gli altri ambiti patrimoniali, il convivente superstite rischia di ritrovarsi senza alcun diritto, motivo per cui è essenziale pianificare con strumenti legali, come patti di convivenza o donazioni effettuate in vita.
In presenza di un testamento, la situazione ereditaria per le coppie di fatto cambia notevolmente. Il partner superstite può essere incluso come beneficiario della cosiddetta quota disponibile, ossia quella parte del patrimonio che il defunto può liberamente destinare a chi preferisce. Tuttavia, è necessario rispettare i diritti degli eredi legittimari, come i figli o, in assenza di questi, i genitori, che hanno per legge diritto a una quota del patrimonio denominata quota di legittima.
Per esempio, se il defunto lascia un unico figlio, la quota di legittima è pari al 50% dell’eredità, mentre l’altro 50% può essere liberamente destinato al convivente tramite il testamento. Se i figli sono più di uno, invece, i due terzi del patrimonio sono riservati ai legittimari, lasciando al testatore la possibilità di disporre del restante terzo.
Il convivente può essere nominato erede universale con un testamento, ma tale disposizione non può mai ledere i diritti dei legittimari. Se la quota spettante ai legittimari viene violata, questi possono agire legalmente con l’azione di riduzione per recuperare la parte loro riservata.
Quando non ci sono eredi legittimari, il convivente può beneficiare dell’intero patrimonio stabilito nel testamento. Tuttavia, gli strumenti successori non eliminano le differenze fiscali: le disposizioni a favore del convivente sono soggette all’imposta di successione con aliquota dell’8%, senza alcuna franchigia, poiché il convivente è considerato alla stregua di un estraneo dal punto di vista fiscale.
I figli hanno un ruolo primario nella successione ereditaria, indipendentemente dalla natura dell’unione dei genitori. Sono definiti eredi legittimari, il che significa che la legge garantisce loro una quota del patrimonio del genitore defunto, che non può essere leso né escluso da alcun testamento.
Se il defunto ha un solo figlio, a quest’ultimo spetta il 50% del patrimonio come quota di legittima, mentre il restante 50% costituisce la quota disponibile che può essere assegnata ad altre persone, incluso un convivente di fatto. Se i figli sono più di uno, la quota legittima sale ai due terzi del patrimonio, con il residuo terzo da destinare liberamente. In assenza di un testamento, l’intero patrimonio viene diviso in parti uguali tra tutti i figli.
I figli, inoltre, hanno diritto a rivendicare la propria quota quando questa viene lesa, tramite l’azione di riduzione, una procedura legale che permette di annullare disposizioni testamentarie, donazioni o altre attribuzioni che violino i loro diritti di legittimari.
Oltre ai beni materiali, i figli possono vantare diritti anche su beni immobili, come la casa familiare, che rientra nell'asse ereditario. Tuttavia, in presenza di testamento, possono accordarsi con altri eredi per redistribuire i beni, purché rispetti le proporzioni stabilite per legge.