Ci sono strade più rapide per risolvere una controversia tra la parti rispetto al ricorso all'autorità giudiziaria. Una di queste è quell'arbitrato in cui, come lascia intendere la denominazione, ci si affida a un arbitro terzo per la decisione finale.
La principale differenza rispetto ad altre procedure è che si tratta di un giudizio privato, naturalmente con lo stesso valore.
All'interno di questo strumento è poi possibile distinguere tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale (o libero), con quest'ultimo che solo in un secondo momento ha trovato spazio nell'ordinamento giuridico mentre il primo è sin dal principio disciplinato dal Codice di procedura civile. In questo articolo spieghiamo la differenza tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale e il significato, ma una primo chiarimento è già utili.
All'arbitrato rituale si ricorre quando le parti decidono di affidare agli arbitri la risoluzione di una lite che avrebbero potuto assegnare anche alla giustizia ordinaria.
All'arbitrato irrituale si ricorre per conferita la risoluzione di una controversia mediante una dichiarazione di volontà imputata alle stesse parti del rapporto. L'elemento che fa la differenza è quindi l'interpretazione assegnata alla clausola compromissoria come formulata dalle parti. Vediamo meglio questi aspetti:
Quando si fa ricorso all'arbitrato, le parti decidono di derogare volontariamente alla giurisdizione esercitata dalla magistratura in favore dell'autonomia privata e dunque si rimette la decisione a un terzo imparziale.
Ed essendo un passaggio evidentemente delicato, la normativa in vigore non lo consente per tutte le controversie, ma solo per quelle relative ai diritti disponibili mentre per quelle relative ai diritti indisponibili, come la separazione personale, occorre fare riferimento alla giurisdizione ordinaria.
Meno lineare è la possibilità di scegliere questa strada nelle liti sul lavoro poiché è ammessa solo se espressamente consentita dalla legge ovvero dal contratti collettivo nazionale di lavoro applicato tra i tanti esistenti in Italia. Nel caso dell'arbitrato rituale, gli effetti sono gli stessi di quelli della sentenza dell'autorità giudiziaria ed è quindi considerato idoneo sia al giudicato formale sia a quello sostanziale.
Nel caso dell'arbitrato irrituale, l'efficacia è negoziale. La differenza è di fondamentale importanza perché significa che non è esecutiva e né essere impugnato per nullità in sede di Corte d'appello, ma è utile per la definizione della lite tra le parti con determinazione contrattuale.
Per attivare l'arbitrato rituale e irrituale occorre che e sia espressa la volontà con negozio giuridico denominato convenzione di arbitrato o patto compromissorio. Deve essere stipulato in forma scritta e con un oggetto ben determinato. In caso contrario scivola nella nullità.
Gli arbitri devono essere sempre in numero dispari ovvero può trattarsi di una sola persona o di un collegio composto da più soggetti con capacità legale di agire. In caso di mancata indicazione del numero nella convenzione di arbitrato ovvero di mancato accordi, l'arbitrato è composto da 3 persone.
E se le parti hanno indicato un numero pari, il presidente del Tribunale nomina una ulteriore figura. Tutti loro sono responsabili personalmente per i danni provocati alle parti ovvero quando con dolo o colpa grave hanno omesso o ritardato atti dovuti e sono stati quindi dichiarato decaduti.
Oppure se hanno rinunciato all'incarico senza giustificato motivo, se con dolo o colpa grave hanno omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato.
L'eventuale richiesta di ricusazione dell'arbitro deve essere proposta entro 10 giorni dalla notificazione della nomina o dalla conoscenza della causa di ricusazione. La scelta della sede è quindi rimessa alle parti, altrimenti viene individuata dagli stessi arbitri.