In economia, la fiducia conta più dei numeri. E il rating sovrano dell'Italia è la fotografia ufficiale della credibilità finanziaria dello Stato. Si tratta del giudizio di organismi indipendenti che certificano la capacità di un Paese di onorare i propri debiti. Questo voto ha effetti tangibili sul portafoglio di ogni cittadino, perché influenza i tassi di interesse sul debito pubblico, determina la percezione del rischio tra gli investitori esteri, e può condizionare l'andamento dello spread tra i titoli di Stato italiani e quelli di altri Paesi europei.
Ottenere un buon rating significa poter emettere titoli a condizioni più favorevoli, pagando interessi più bassi e liberando risorse per altre spese pubbliche. Al contrario, una valutazione negativa o in calo può innescare una spirale pericolosa: gli investitori chiedono più garanzie, i tassi salgono, la fiducia cala e la capacità di finanziamento dello Stato si indebolisce. Vogliamo allora capire:
Chi assegna il rating e come viene calcolato
Quando vengono pubblicati i rating dell'Italia
Le valutazioni sul merito creditizio di uno Stato vengono elaborate da agenzie di rating. Le tre più note sono Standard & Poor's, Moody's e Fitch Ratings, DBRS Morningstar. Ciascuna agenzia opera con i propri modelli di analisi, ma tutte utilizzano scale di valutazione alfabetiche che consentono di classificare i Paesi in base al loro rischio di insolvenza.
Il processo di assegnazione del rating si fonda sull'esame di indicatori macroeconomici e politici. Si parte dalla fotografia del Pil, si osserva l'andamento del debito pubblico, si valuta il livello del deficit e si considera il grado di stabilità politica. A questi fattori strutturali si aggiungono le aspettative future, che vengono incorporate nel cosiddetto outlook, ossia l'orientamento della valutazione nei mesi a venire: può essere positivo, stabile o negativo.
Il rating investment grade - indicato con sigle che vanno da AAA a BBB- per S&P e Fitch e da Aaa a Baa3 per Moody's - identifica gli emittenti ritenuti affidabili. Scendere al di sotto di questa soglia significa entrare nel territorio del junk o speculative grade ovvero una fascia più rischiosa, riservata a chi ha più probabilità di non riuscire a ripagare i debiti.
Le valutazioni delle agenzie non vengono rilasciate in modo casuale. C'è un calendario ufficiale, comunicato ogni anno che stabilisce con precisione le date in cui verranno aggiornati i giudizi sull'Italia. Per il 2025, ad esempio, Standard & Poor's ha in programma le sue revisioni il 24 gennaio e il 24 luglio, Moody's il 14 febbraio e il 14 agosto, Fitch il 28 marzo e il 28 settembre, mentre DBRS si pronuncerà il 9 maggio e il 9 novembre.
L'ultimo aggiornamento ha visto un miglioramento: S&P ha alzato il rating italiano da BBB a BBB+, mantenendo un outlook stabile. Il miglioramento è stato giustificato dall'agenzia con la previsione di una stabilizzazione del debito pubblico entro il 2028 e una crescita moderata ma costante, con un Pil previsto in aumento dello 0,6% nel 2025.
Ma cosa cambia davvero per i cittadini e le imprese italiane? Se il rating migliora, il Tesoro può collocare i titoli di Stato a interessi più bassi. Di riflesso, le banche possono concedere mutui a tassi meno elevati, perché il costo del denaro all'ingrosso scende. Gli enti locali, le aziende pubbliche e anche quelle private ne traggono un beneficio diretto, perché l'Italia viene percepita come un Paese più sicuro e appetibile per investimenti.
Il rating non è solo un esercizio contabile. È anche uno strumento reputazionale, che richiama il giudizio che il mondo ha sulla governance di un Paese. Per questo motivo, quando le agenzie si esprimono, analizzano anche la credibilità delle politiche fiscali, la coesione delle forze politiche e la capacità delle istituzioni di riformare il sistema economico e produttivo. Le promesse elettorali, i piani di bilancio e le riforme strutturali vengono letti e valutati con attenzione, anche nei loro dettagli più tecnici.
In passato, il timore di un declassamento ha avuto effetti rilevanti sui mercati. Bastano poche parole negative in un report di Moody's o Fitch per generare volatilità in Borsa, alimentare tensioni sullo spread e far salire il nervosismo tra i titolari di titoli di Stato.