Il reintegro sul lavoro è una delle tutele per il lavoratore illegittimamente licenziato. Comporta l'effettiva assegnazione del dipendente alle mansioni svolte in precedenza. O in alternativa a mansioni equivalenti, nel caso in cui ricorrano ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Come lascia immaginare lo stesso nome, il reintegro sul lavoro è quello strumento previsto dall'ordinamento italiano che permette al dipendente di essere ripristinato nelle funzioni da cui era stato allontanato. Presupposto fondamentale per parlare di reintegro sul lavoro è dunque il licenziamento, sia esso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo o oggettivo.
Succede perché il datore di lavoro non ha il potere di licenziare con la massima libertà. Deve infatti rispettare le norme in materia, altrimenti il dipendente allontanato può proporre opposizione e ottenere ragione con tanto di reintegro o di risarcimento danni. L'ordinamento italiano prevede infatti tutele concrete per il lavoratore illegittimamente licenziato. Approfondiamo in questo articolo:
Il reintegro sul lavoro è una delle tutele per il lavoratore illegittimamente licenziato. Comporta l'effettiva assegnazione del dipendente alle mansioni svolte in precedenza. O in alternativa a mansioni equivalenti, nel caso in cui ricorrano ragioni tecniche, organizzative e produttive. Norme in vigore, l'ordine di reintegrazione ripristina con efficacia retroattiva la continuità del rapporto di lavoro. Dal punto di vista pratico, si considera mai interrotto.
A fare la differenza sono anche le dimensioni aziendali e la data di assunzione. In caso di licenziamento illegittimo il lavoratore può ricorrere al giudice per ottenere la tutela reale ovvero il reintegro sul lavoro o una indennità sostitutiva oppure la tutela obbligatoria ovvero l'obbligo di riassumere o di risarcire il danno.
Norme alla mano, nel caso di licenziamento illegittimo hanno diritto al reintegro sul lavoro i lavoratori dipendenti dai datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti o più di 5 se imprenditori agricoli, anche se ciascuna unità produttiva non raggiunga questi limiti. Ma anche dai datori di lavoro che occupano più di 60 dipendenti e dalle imprese che occupano più di 15 dipendenti e che hanno attuato le procedure di mobilità, da esubero di cassa integrazione guadagni straordinaria o da riduzione di personale.
L'istituto del reintegro sul lavoro è dunque strettamente legato a quello del licenziamento. Il datore di lavoro non può allontanare il dipendente se non in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, salvo i casi di libera recedibilità. Gli esempi sono numerosi come il periodo di prova o la maturazione da parte del lavoratore dei requisiti di legge per il diritto alla pensione di vecchiaia.
Il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro senza preavviso se si verifica una causa che non consenta la prosecuzione anche solo provvisoria del rapporto di lavoro. Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato il datore di lavoro può licenziare il lavoratore in presenza di un giustificato motivo.
Ad esempio per ragioni legati all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento. Oppure per inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro. Il datore di lavoro all'atto del licenziamento per giustificato motivo ha l'obbligo di dare un periodo di preavviso.
Il licenziamento deve essere intimato dal datore di lavoro, da un suo rappresentante legale ovvero dai soggetti che ne sono. Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro, salvo ulteriori requisiti di forma stabiliti dalla contrattazione collettiva legittimati. Il prestatore di lavoro entro i 15 giorni successivi alla data in cui ha ricevuto la comunicazione del licenziamento, può richiedere i motivi che hanno determinato il recesso.
In tal caso il datore di lavoro deve comunicare i motivi del licenziamento entro 7 giorni dal momento della ricezione della richiesta.
Il licenziamento è valido ed efficace anche senza spiegare i motivi, ma solo se non richiesti dal lavoratore. I motivi comunicati dal datore di lavoro al lavoratore che ne abbia fatto richiesta devono essere specifici.