La mobilità è finanziata dallo Stato con il concorso delle imprese ed è uno strumento che garantire un reddito temporaneo ai lavoratori e favoriscono il reinserimento offrendo facilitazioni ai datori di lavoro che li assumono.
Possiamo considerare la mobilità una sorta di scialuppa di salvataggio per i lavoratori che sono stati alle prese con la perdita del lavoro. Lo Stato offre un sostegno economico ai lavoratori interessati da questo provvedimento, ma allo stesso tempo attiva strumenti utili per favorire la ricollocazione. Non si tratta quindi di un semplice aiuto al reddito.
Per ogni lavoratore posto in mobilità, le imprese generalmente devono versare all'Inps un contributo calcolato in proporzione all'indennità mensile di mobilità spettante al dipendente. Analizziamo i dettagli di questa misura, facendo presente che si distingue dalla cassa integrazione guadagni in quanto la mobilità non è alternativa al licenziamento, ma quest'ultimo è condizione essenziale per la sua attivazione:
La mobilità è finanziata dallo Stato con il concorso delle imprese ed è uno strumento che garantire un reddito temporaneo ai lavoratori e favoriscono il reinserimento offrendo facilitazioni ai datori di lavoro che li assumono. Siamo quindi davanti a uno strumento di politica attiva del lavoro. Possono accedere alla mobilità sul lavoro le imprese con più di 15 dipendenti che intendono effettuare licenziamenti collettivi per la cessazione dell'attività.
Ma anche le imprese con più di 15 dipendenti che, in seguito a una riduzione o trasformazione dell'attività o di lavoro, decidono di effettuare un licenziamento collettivo, ma occorrono almeno 5 licenziamenti in 120 giorni in una o più unità produttive. Infine, disco verde per le imprese con più di 15 dipendenti ammesse alla cassa integrazione guadagni straordinaria che non sono in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non poter attivare misure alternative.
Dal punto di vista dei lavoratori, l'accesso si basa sui criteri previsti dai contratti collettivi e dagli accordi sindacali ovvero tenendo conto di carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive ed organizzative.
Sono 5 i casi di perdita della mobilità sul lavoro ovvero della perdita del pagamento dell'indennità. Innanzitutto la mancata accettazione di un lavoro equivalente a quello precedente con una retribuzione ridotta al massimo del 10%. Quindi se non ha comunicato all'Inps entro 5 giorni dall'assunzione di aver iniziato un'attività di lavoro dipendente. Stessa cosa per il rifiuto di frequentare un corso di formazione professionale autorizzato dalla Regione o lo frequenti in modo irregolare.
Dopodiché se il lavoratore non risponde senza giustificato motivo alle convocazioni del Centro per l'impiego. Infine, la decadenza è prevista anche nel caso di rifiuto di essere impiegato in opere e servizi di pubblica utilità. Parzialmente diverso è il caso della cancellazione dalle liste dei lavoratori che ricevono il pagamento dell'indennità. Il caso più noto è quello del caso dell'offerta di attività lavorative o di formazione in un luogo distante più di 50 chilometri o non raggiungibile in 60 minuti con i mezzi pubblici dalla residenza del lavoratore.
La cancellazione è prevista pure nel caso di raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità, di assunzione a tempo indeterminato se diventa titolare di pensione di inabilità o di assegno ordinario di invalidità senza aver optato per l'indennità di mobilità, di riscossione dell'indennità in un'unica soluzione.
Il lavoratore può in ogni caso presentare ricorso se la domanda di mobilità viene respinta. Per farlo deve rivolgersi al Comitato provinciale dell'Inps entro 90 giorni dalla data di ricezione della lettera con la quale si comunica il rifiuto. Il ricorso può essere presentato tramite uno degli enti di patronato riconosciuti dalla legge, inviato alla sede dell'Inps per posta con raccomandata con ricevuta di ritorno, o direttamente agli sportelli della sede dell'Inps che ha respinto la domanda.