La durata del rinnovo del contratto a tempo determinato non può essere maggiore di 12 mesi, a meno di condizioni particolari. Indipendentemente dalle varie lunghezze temporale, il contratto a tempo determinato può essere sottoscritto da datore di lavoro e dipendente fino a un massimo di 4 volte. Le norme in vigore prevedono una pausa di 10 giorni se la durata del primo accordo è inferiore ai 6 mesi. Oppure di 20 giorni se la durata del primo contratto è maggiore di 6 mesi. In caso contrario il contratto si trasforma da determinato a indeterminato.
La natura del contratto a tempo determinato va ricercata proprio nella sua denominazione. Si tratta di un accordo tra datore e dipendente che ha una data di inizio e, al contrario di quanto accade con i colleghi che hanno sottoscritto un contratto a tempo indeterminato, anche una fine.
Che sia di pochi giorni, di alcuni mesi o perfino di qualche anno cambia ben poco. Alla scadenza dell'intesa entrambe le parti sono libere di seguire la propria strada. A meno che non si proceda con il rinnovo. Si tratta di un tasto delicato su cui è più volte intervenuto il legislatore per equilibrare i diritti del lavoratore a un trattamento equo e quelli del datore nell'ambito dell'attività di impresa.
Il rinnovo può avvenire sulle stesse basi ovvero senza modificare durata, mansioni da svolgere e retribuzione corrisposta, ma anche con condizioni completamente differenti.
Migliorative o peggiorative, da una parte o dall'altra. Di certo c'è che dalle norme sul lavoro non si può prescindere e anche in riferimento al funzionamento del rinnovo del contratto a tempo determinato, ogni dettaglio è attentamente regolamentato. Vediamo quindi
In seguito alle ultime modifiche legislative, la durata del contratto determinato, quello in cui è inserita una data di fine rapporto di lavoro, non può più essere di 24 mesi ovvero di 2 anni. Il rinnovo del contratto così come la prima stipula può avere validità per non più di 12 mesi. Ma con alcune eccezioni.
In particolare la durata può essere raddoppiata in tre circostanze. Innanzitutto per esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Quindi per motivazioni legate a esigenze di sostituzione di altri lavoratori.
Infine per esigenze temporanee e oggettive ovvero indipendenti dall'attività ordinaria. I contratti che non si attengono a queste regole e che non contengono l'indicazione della data di cessazione del rapporto di lavoro vanno considerati nulli.
Non solo è importante la durata del contratto rinnovato, ma anche il numero delle volte in cui viene replicato. Indipendentemente dalle varie lunghezze temporale, il contratto a tempo determinato può essere sottoscritto da datore di lavoro e dipendente fino a un massimo di 4 volte.
La quinta è ammessa solo con trasformazione dell'accordo da determinato e indeterminato e quindi senza l'indicazione della data di fine rapporto.
La terza condizione che regola il funzionamento del contratto a tempo terminato è la distanza tra un rinnovo e l'altro. Le norme in vigore prevedono infatti una pausa di 10 giorni se la durata del primo accordo è inferiore ai 6 mesi. Oppure di 20 giorni se la durata del primo contratto è maggiore di 6 mesi.
Senza questa pausa ovvero nel caso di continuità o di non perfetta rispondenza alle regole, il contratto a tempo determinato viene trasformato in indeterminato.
Eventuali casi particolari legati al rinnovo dei contratti a tempo determinato, per cui è previsto il pagamento dell'indennità di disoccupazione, vanno cercati nei Ccnl di riferimento (terziario e servizi, edilizia e legno, alimentari, credito e assicurazioni, tessili, trasporti, meccanici, agricoltura e allevamento, enti e istituzioni private, chimica, poligrafici e spettacolo, marittimi, enti pubblici). Così come in quelli aziendali o territoriali eventualmente sottoscritti.
A proposito della non validità dei rinnovi a tempo determinato senza l'indicazione della data, questa prescrizione salta nel caso particolare dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni. Non è mai invece possibile prescindere dall'atto scritto per durate da 12 giorni a 12 mesi e per eventuali allungamenti a 24 mesi in presenza di condizioni eccezionali.
Solo nel settore pubblico, se dopo la scadenza del termine, l'attività prosegue per 30 giorni e il contratto ha durata inferiore a 6 mesi o se per 50 giorni e il contratto ha una durata superiore a 6 mesi, il lavoratore riceve una maggiorazione di stipendio per ciascun giorno aggiuntivo: il 20% in più fino al decimo giorno successivo, il 40% per quelli successivi.