Quando si convive e la convivenza cessa, nel caso di mancato accordo sulle questioni principali che possono interessare una coppia che ha vissuto nella stessa casa e magari messo su famiglia, si opta per le vie legali, ma la migliore tutela può essere rappresentata dal contratto di convivenza che regola rapporti patrimoniali e altri bene tra due conviventi.
Come fare a tutelarsi a livello di casa, beni, figli se si è conviventi? Vivere insieme, creare una famiglia, avere un proprio nucleo familiare ma senza sposarsi: sono sempre più le coppie che decidono di mettere su famiglia ma non convolare a nozze, a volte per i costi che un matrimonio può comportare, a volte per la convinzione che scegliere una persona e avere il desiderio di crearvi una famiglia sia ben più importante di una firma su un foglio.
Eppure il matrimonio rappresenta un vincolo non solo sentimentale e religioso, perché giurato, ma anche legale. Quando ci si sposa, sia con matrimonio civile e sia con matrimonio religioso, si è tenuti al rispetto di dettami e valori che non possono essere violati durante il vincolo matrimoniale e se quest’ultimo si scioglie sono poi diversi i doveri e i diritti che vengono riconosciuti a livello legale ai coniugi, cosa che invece non accade in caso di separazione tra conviventi. Vediamo allora quali sono le tutele possibili per conviventi se si lasciano per casa, figli o altri posseduti.
I conviventi di fatto oggi sono più tutelati rispetto al passato grazie alla nuova legge che riconosce la convivenza di fatto tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e che non sono vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Con il riconoscimento della convivenza di fatto, la legge ha previsto per le coppie conviventi nuovi diritti come:
Dunque, se uno dei due conviventi decede ed è proprietario della casa in cui è stata vissuta la convivenza, allora l’altro convivente può continuare ad abitarci per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni, e in ogni caso non oltre i cinque anni dalla morte dell’altro convivente. Se nella stessa abitazione vivono figli minori o figli disabili del convivente superstite, quest’ultimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa per un periodo di almeno tre anni dalla morte.
Nel caso di cessazione della convivenza, in assenza di figli e se la casa risulta di proprietà di uno dei due conviventi, spetta al convivente proprietario continuare ad abitarci, mentre se la casa della convivenza è stata acquistata in comproprietà, alla fine della convivenza, si può procedere allo scioglimento della comunione nelle seguenti modalità:
Inoltre, alla cessazione di una convivenza, spetta al giudice di competenza sancire il diritto del convivente, in stato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento, a ricevere dall’altro convivente gli alimenti.
Altra questione da affrontare tra conviventi alla fine della convivenza, esattamente come accade per le coppie sposate, in presenza di figli, è quella relativa a collocamento, gestione e mantenimento dei figli. Non perché non si è sposati ma solo conviventi, allora al termine della convivenza la mamma o il papà può liberamente decidere di prendere il figlio o figli e andar via.
Ci sono procedure da seguire per i figli anche nei casi di convivenza: se i conviventi sono persone ragionevoli, restano in buoni rapporti e sono in grado di definire tra loro un accordo su ogni questione che riguarda i figli, da collocamento a mantenimento, visite, turni per genitori, allora il problema non si pone e la questione si risolve con lo stesso accordo raggiunto tra gli stessi genitori ex conviventi, di cui ne viene verificata adeguatezza dalle autorità competenti per verificare che sia effettivamente nell’interesse del minore.
Se, invece, tale accordo non si può raggiungere, per tutelarsi i conviventi devono ricorrere alle vie legali e rivolgersi al proprio avvocato perché si trovi un accordo su collocamento e mantenimento del figlio o dei figli nati dalla convivenza e in tal caso spetta al giudice decidere sugli aspetti relativi ai figli che i conviventi devono rispettare.
Per tutelarsi su altri aspetti e beni della convivenza, nel caso in cui la stessa cessi, il consiglio è quello di stipulare un contratto di convivenza: si tratta di un accordo tra conviventi stabilmente legati da un legame sentimentale e residenti nella stessa casa per la formalizzazione della loro stessa unione e che si stipula seguendo regole precise, per scrittura privata o atto pubblico, per poi registrarla nel Comune di competenza.
Il contratto di convivenza riporta tutti gli elementi che regolano e formalizzano la convivenza di fatto anche dal punto di vista di beni e per scelta del regime patrimoniale della convivenza, che può essere liberamente deciso delle parti al momento stesso della stipula del contratto di convivenza.
Se i conviventi scelgono il regime della comunione dei beni, la fine della convivenza e dunque la cessazione del contratto di convivenza implica, di conseguenza, lo scioglimento della comunione e, in mancanza del contratto di convivenza, il convivente che ha fornito assistenza materiale all’altro convivente può chiedere la restituzione di quanto versato durante la convivenza, mentre per gli acquisti effettuati durante la convivenza valgono le stesse regole valide per i coniugi sposati in separazione dei beni, per cui ogni acquisto fatto dal convivente diventa di sua esclusiva proprietà.