Quando uno o più eredi si rifiutano di collaborare e si verifica un disaccordo sulla gestione delle pratiche e, in particolare, sulla firma della successione eredità, si può creare una situazione di grave incertezza, rallentamenti e blocchi nella divisione del patrimonio, con conseguenze non solo legali e fiscali, ma anche pratiche sul mantenimento e la fruizione dei beni comuni. Fortunamente, le normative in vigore vengono in soccorso con alcune soluzioni per cercare di sbrogliare le vicende anche più complicate
Nel contesto della legislazione italiana, la dichiarazione di successione è l’atto formale con cui si comunica all’Agenzia delle Entrate il trasferimento dei beni e diritti dal defunto agli eredi. La normativa prevede che, di norma, sia sufficiente la firma di un solo dichiarante – tipicamente uno degli eredi o un rappresentante – per la presentazione della dichiarazione per conto di tutti i beneficiari. Tuttavia, è responsabilità del dichiarante fornire dati corretti e attendibili relativi all'intera compagine ereditata. La mancata presentazione della dichiarazione entro il termine previsto può comportare sanzioni e blocchi nella gestione dei beni, mentre un disaccordo tra gli eredi rischia di ritardare o complicare ogni successivo atto di gestione o divisione.
Occorre distinguere tra la firma della dichiarazione di successione vera e propria e la firma sugli atti notarili di divisione: nella fase di suddivisione materiale dei beni, infatti, è richiesto il consenso di tutti, e l’eventuale rifiuto anche di uno solo degli eredi può rendere necessarie soluzioni alternative. Sono obbligati alla dichiarazione, oltre agli eredi, anche i chiamati (che non abbiano ancora accettato l’eredità ma abbiano compiuto atti che implicano la volontà di accettare), i legatari e i rappresentanti legali.
I casi in cui un erede rifiuta di firmare la successione sono molteplici:
Il rifiuto di firmare la dichiarazione o altri atti di successione da parte anche di un solo coerede può produrre diverse conseguenze:
Per molti tipi di controversie ereditarie, la normativa impone il tentativo obbligatorio di mediazione quale condizione di procedibilità prima dell’intervento giudiziale, in base al D.lgs 28/2010. Ciò significa che, in assenza di accordo spontaneo, le parti sono chiamate a partecipare a un incontro guidato da un mediatore terzo neutrale che facilita il dialogo, illustra le conseguenze legali e cerca di avvicinare le posizioni. La mediazione presenta diversi vantaggi:
In mediazione è obbligatoria la presenza dell’avvocato per ogni parte e, qualora l’accordo preveda il trasferimento di immobili, è richiesto il coinvolgimento del Notaio. Il verbale di mediazione può essere benefico sul piano fiscale, e la procedura si dimostra particolarmente efficiente nelle successioni con beni immobili indivisibili o con situazioni patrimoniali complesse.
Qualora la mediazione fallisca o uno degli eredi persistesse nel proprio rifiuto ostacolando ogni tentativo di dialogo, l’unica soluzione praticabile resta la divisione giudiziale. Questa procedura prevede che il tribunale, avvalendosi anche di consulenti tecnici, determini la suddivisione delle quote fra i coeredi. Se un bene non è divisibile materialmente, il giudice può disporne la vendita (generalmente all’asta) e la successiva distribuzione del ricavato. Il procedimento, benché necessario nei casi di conflitto insanabile, comporta costi maggiori, dilazioni temporali e rischia di generare un depauperamento del valore dell’asse ereditario.
Strumenti paralleli sono rappresentati dall’intervento del curatore per eredità giacente e dall’applicazione di misure cautelari per salvaguardare il patrimonio durante la fase di stallo (ad esempio nomina di amministratori o sequestro dei beni in caso di rischio di dispersione).
Gli eredi possono difendersi dal rischio di debiti occulti e da situazioni patrimoniali sfavorevoli adottando istituti protettivi: in particolare, l’accettazione con beneficio d’inventario consente di separare il patrimonio ereditato da quello personale e di rispondere delle obbligazioni solo nei limiti del valore dei beni ricevuti. Questa opzione è altamente consigliata ogni volta che non sia nota l’esatta situazione debitoria del defunto. È altresì facoltà dei chiamati all’eredità rinunciare espressamente, con atto da depositare presso il Tribunale o davanti a Notaio, evitando in tal modo ogni obbligo correlato, inclusi debiti fiscali e bancari.
Gli articoli 752 e 754 del Codice Civile regolano la divisione delle passività: i debiti ricadono sugli eredi in proporzione alle loro quote, salvo diversa disposizione testamentaria. Il creditore può agire pro quota verso ciascun coerede in rapporto ai diritti maturati, ma in alcuni casi particolari (ad es. credito garantito da ipoteca su bene divisibile) il coerede assegnatario può essere tenuto a rispondere per l’intero importo. Il legatario, al contrario, risponde solo nei limiti di quanto ricevuto e, in assenza di clausole esplicite, non è obbligato al pagamento dei debiti ereditari ordinari.
Non tutti i debiti o obbligazioni si trasferiscono agli eredi. Sono esclusi, ad esempio, i debiti di natura personale, le sanzioni amministrative e penali (art. 7 D.Lgs. 472/1997), gli obblighi alimentari, le multe stradali, nonché oneri morali non patrimoniali. Per quanto riguarda i debiti fiscali (cartelle esattoriali, contribuzioni non versate), la responsabilità può essere solidale, ma mai per le sanzioni, che cessano con la morte del debitore.
La previsione e la pianificazione anticipata (tramite testamenti chiari, patti e accordi familiari, clausole di compensazione e strumenti fiduciari come trust e vincoli di destinazione) costituiscono l’unico metodo efficace per limitare l’insorgenza di litigi e la necessità di interventi giudiziari. La carenza di trasparenza, la mancanza di comunicazione preventiva e le aspettative non gestite sono le principali fonti di discordia. Per prevenire i conflitti ereditarî, è opportuno strutturare in modo personalizzato la distribuzione dei beni, considerare le specifiche pretese degli eredi e utilizzare strumenti giuridici che rispettino le volontà del de cuius ma garantiscano anche la tutela delle posizioni più deboli..