Non c'è alcuna possibilità di via d'uscita o di interpretazione: un dipendente pubblico non può fare un secondo lavoro come dipendente privato. Non lo può fare né se il contratto di lavoro è un part time e quindi avrebbe potenzialmente il tempo a disposizione per dedicarsi a un'altra attività. E né se il rapporto con la pubblica amministrazione è a tempo determinato e dunque con la prospettiva certa di una fine.
Sono soprattutto i dipendenti pubblici a dovere rispettare regole e limiti ben precisi nell'esercizio della propria attività e in relazione alla compatibilità con altre mansioni. Lo sono per via dei doveri nei confronti dello Stato e della cittadinanza a cui sono sottoposti.
Pensiamo ad esempio all'esercizio dei propri compiti secondo i principi di economicità, efficienza ed efficacia. Ma anche all'obbligo di comportarsi in modo indipendente e imparziale con integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza.
Lo statale deve quindi svolgere i propri compiti perseguendo l'interesse pubblico e servire lo Stato secondo i principi di buon andamento e imparzialità. Non sorprende allora la fitta rete di disposizioni che lo riguardano. Esaminiamo dunque:
Non c'è alcuna possibilità di via d'uscita o di interpretazione: un dipendente pubblico non può fare un secondo lavoro come dipendente privato. Non lo può fare né se il contratto di lavoro è un part time e quindi avrebbe potenzialmente il tempo a disposizione per dedicarsi a un'altra attività.
Ené se il rapporto con la pubblica amministrazione è a tempo determinato e dunque con la prospettiva certa di una fine. Il Testo unico sul pubblico impiego impone l'esclusività del rapporto di lavoro per lo statale.
Se andiamo a spulciare tra i doveri imposti al dipendente pubblico scopriamo poi l'esistenza di quello di comunicare al momento dell'assunzione i rapporti di lavoro con soggetti privati nei 3 anni precedenti con tanto di chiarimento sul mantenimento di tali rapporti personalmente o da parte del coniuge, del convivente o dei parenti e degli affini entro il secondo grado.
Non sorprende quindi che oltre a non poter svolgere un secondo lavoro come dipendente privato, lo statale sia limitato anche nell'apertura di una partita Iva.
Questa opzione è limitata ai soli docenti della scuola pubblica, su autorizzazione del dirigente scolastico, docenti universitari a tempo determinato, personale sanitario, nei soli in casi i cui il rapporto di lavoro sia a tempo parziale e fino al 50%.
Dal punto di vista normativo sono due le disposizioni da segnalare. La prima è l'articolo 2105 del Codice civile, secondo cui il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare a essa pregiudizio.
Si tratta di un passaggio importante perché, al di là del caso particolare che riguarda il dipendente pubblico, vale la regola del divieto di fare concorrenza al proprio datore di lavoro.
La seconda disposizione ci rinvia invece all'articolo 622 del Codice penale, secondo cui chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 a 516 euro.
Si tratta evidentemente di una norma strettamente legata alla precedente perché rafforza il principio del divieto di diffondere le notizie interne alla propria azienda ovvero tutela il diritto alla riservatezza.
L'articolo si completa con il secondo comma che aggrava la pena se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. A completamento della normativa citazione il terzo comma per cui il delitto di rivelazione di segreto professionale è punibile a querela della persona offesa.