Se si arriva al divorzio giudiziale in Tribunale per vincere contro marito o moglie bisogna presentare prove valide che possono essere, al di là di quelle testimoniali e fornite da un investigatore privato, anche sms, messaggi Whats app e email a condizione, però, di essere legalmente riconosciute come prove, perché non sempre lo sono.
Quando si decide di divorziare si possono intraprendere due strade, quella del divorzio consensuale e quella dei divorzio giudiziale. E’ solitamente in quest’ultimo caso che quando si arriva al processo per la separazione, soprattutto nei casi di tradimento ma non solo, servono prove che comprovino l’effettivo comportamento adultero (o di altro genere) assunto dal coniuge quando ancora sussisteva il vincolo matrimoniale. Vediamo quali sono le prove valide contro marito e moglie nei casi di processo di separazione.
Nei casi di divorzio per infedeltà coniugale, foto, filmati e registrazioni cono certamente le prove inconfutabili dell’infedeltà coniugale. Non è, però, sempre facile riuscire a reperire tali prove a meno che non si faccia ricorso a professionisti come gli investigatori privati.
Considerando che i divorzi si decidono ormai nella stragrande maggioranza dei casi proprio per tradimenti, è una conseguenza diretta il fatto che il lavoro degli investigatori privati per il reperimento di prove valide contro marito o moglie in un divorzio sia decisamente aumentato. I costi di ingaggio di un investigatore privato dipendono poi dalla complessità della ‘storia’: se servono più ore o giorni di pedinamenti o appostamenti, quali prove vengono richieste, se solo foto o anche video o registrazioni.
Generalmente, però, i costi medi di un investigatore privato variano dai 200 euro di una giornata di lavoro, passando dai 600 per qualche ora di lavoro in più, fino anche a 10, 20mila euro per cause più complesse e lavori che potrebbero durare anche mesi.
Secondo quanto stabilito recentemente dalla Corte di Cassazione, l’sms può risultare una prova assolutamente valida da ammettere in una causa di divorzio sia per dimostrare un tradimento, sia per dimostrare eventuali ulteriori comportamenti da parte di un coniuge irrispettosi e lesivi della dignità dell’altro coniuge. Perché l’sms sia ammessa come prova in un processo di separazione, però, la Corte ha precisato che bisogna depositare lo smartphone come prova.
Seguendo l’orientamento di una sentenza, che ha molto discutere, del tribunale di Catania in relazione a un caso di licenziamento comunicato via WhatsApp, modalità considerata ammessa con la doppia spunta verde visualizzata sul display del mittente che rappresenta la prova della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario dello stesso, al pari degli sms anche i messaggi su Whats app rappresentano una prova valida in un processo di separazione.
Tuttavia, stando a quanto stabilito dalle leggi in vigore, perché una conversazione su Whats app possa diventare prova contro un marito o una moglie in tribunale nel corso di un processo di divorzio, è necessario che l'intercettazione di una comunicazione sia autorizzata dal giudice.
Risulta, dunque, illegale e non ammessa come prova la testimonianza di una chat di conversazione su Whats app che potrebbe rappresentare una prova contro il proprio coniuge che deriva da app o nuovi software che riescono oggi a spiare tutte le conversazioni su Whats app di chiunque desideriamo.
Anche le email come sms e messaggi su Whats app rappresentano, secondo la Cassazione, una prova valida contro marito o moglie nelle cause di divorzio. Anche in tal caso, però, non basta la semplice intrusione nelle email del proprio coniuge con relativa trascrizione e presentazione di quanto scritto in tribunale per essere considerata l’email una prova valide nel processo.
Se la Pec, Posta elettronica certificata, con tutti i suoi contenuti, ha assoluto valore legale in ogni caso, perché riporta invio messaggio, data e ora, l’email tradizionale non ha lo stesso valore, perché non riporta tutte le stesse informazioni sul recapito messaggio di una email inviata tramite Pec e non basta l'apposizione della spunta sulla casella Conferma di ricezione’ a considerare la classica email una prova.
Le email tradizionali, non Pec, assumono valore di prova in un processo di divorzio quando arrivano conferme sulla lettura, l'uso e la comprensione, per esempio se la stessa email viene inoltrata ad una terza persona che attesti orario di invio e avvenuta ricezione del messaggio, perché per l’email tradizionale manca la conferma o la firma digitale che solo le email tramite Pec riportano.
Dunque, l’email se è una Pec ha valore legale e può essere sempre ammessa come prova in una causa di divorzio perché riporta tutti gli elementi identificativi per sapere quando, come e da dove è stata inviata l’email, mentre nel caso delle email tradizionali non sono ammesse come prove valide a meno che non si riescano a dimostrare tutti gli elementi identificativi di invio e ricezione dell’email stessa come per la Pec.