Le normative prevedono una doppia tempistica sul patto di non concorrenza in base al ruolo ricoperto dal dipendente all'interno dell'azienda. La durata del patto di non concorrenza non può essere maggiore a 3 anni. Ma solo nel caso dei dirigenti gli anni diventano 5. L'eventuale fissazione di una durata minima è demandato all'accordo tra le parti.
Non solo durante il periodo in cui è assunto, ma anche dopo aver lasciato la propria azienda, il lavoratore può essere chiamato a non fare concorrenza all'ex datore.
Si tratta appunto del cosiddetto patto di non concorrenza con cui un'azienda si protegge da una eventuale attività di un ex lavoratore che è magari in possesso delle conoscenze e delle competenze necessarie per insediare il business messo in piedi.
L'aspetto preliminare a cui prestare attenzione è la possibilità di sottoscrizione dell'accordo in ognuna delle tre fasi del rapporto di lavoro: prima dell'assunzione, durante lo svolgimento o in seguito alla conclusione del rapporto di lavoro. Analizziamo quindi:
Quando di parla di patto di non concorrenza, la cui sottoscrizione non è obbligatoria ed è comunque rimessa alle parti, occorre eliminare ogni equivoca. La clausola non ha infatti limiti ovvero non è detto che si debba riferire alle attività lavorative specifiche che possano competere con quella del datore di lavoro.
In buona sostanza la portata è ben maggiore e non si limita alle mansioni svolte dal dipendente negli anni del rapporto di lavoro. Riguarda infatti l'interno comparto.
Fissato questo principio di fondamentale importanza, il passo successivo è conoscere la durata del patto di concorrenza. Non può infatti essere a tempo indeterminato per non limitare le possibilità del lavoratore. Ecco quindi che le normative prevedono una doppia tempistica in base al ruolo ricoperto dal dipendente all'interno dell'azienda.
La durata del patto di non concorrenza non può essere maggiore di 3 anni. Ma solo nel caso dei dirigenti gli anni diventano 5.
L'eventuale fissazione di una durata minima è demandato all'accordo tra le parti. Allo stesso tempo che se datore e dipendente hanno individuato un tempo maggiore, gli anni aggiuntivi vanno automaticamente ridotti ovvero non sono considerati validi.
La durata del patto di non concorrenza non è un elemento accessorio poiché la nullità della clausola prevede che il datore di lavoro possa recederne.
Come ha fatto notare la Corte di Cassazione con una nota sentenza, una tale clausola non permette al lavoratore di valutare l'esistenza dei vincoli dalla ricerca di un'altra opportunità lavorativa al termine del rapporto di lavoro. In ogni caso il patto di non concorrenza può essere sottoscritto solo nel caso di rapporto di lavoro di tipo subordinato.
In questo modo il datore si tutelarsi nei confronti della concorrenza che un ex dipendente potrebbe proporre. Dall'altra il lavoratore può stabilire condizioni ben precise per evitare una limitazione eccessiva della propria attività futura.
Sulla questione del patto di non concorrenza dei lavoratori si sono più volte pronunciati i tribunali. E non poteva essere diversamente considerando la delicatezza del problema. Ecco quindi che una prima sentenza ha richiamato la non indispensabilità di mettere nero su bianco le condizioni ai fini della validità del patto di non concorrenza se si tratta di pattuizione individuale conclusa senza l'utilizzazione di moduli o formulari. Una pronuncia successiva ha invece sancito la validità del patto limitativo della concorrenza che sia sottoscritto con documento separato, senza l'apposizione di una seconda sottoscrizione, richiedendo la norma una sottoscrizione specifica per gli accordi sulle restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi solo nel caso di patto inserito in un complesso di condizioni contrattuali. Ricordiamo quindi che un'altra sentenza del tribunale aveva testualmente stabilito che la facoltà di recedere da un patto di non concorrenza attribuita solo al datore di lavoro, che ne consente l'esercizio nel tempo successivo alla fine del rapporto di lavoro, rende nulla la clausola in quanto produttiva di una indeterminatezza temporale dell'obbligo assunto dal prestatore di lavoro e di quello del lavoratore di pagare il corrispettivo.