Il reato di diffamazione scatta quando è coinvolta una terza persona oltre alle due principali. E si può essere ritenuti responsabile anche dopo l'eliminazione di un post, a condizione che almeno una persona lo abbia visto. Ma rivolgere a una persona l'epiteto di brutta non è considerata diffamazione bensì un giudizio sull'aspetto estetico.
Anche per via dell'immediatezza d'uso, è più facile di quanto si possa pensare avere problemi legali per commenti diffamatori sui social media ovvero i vari Instagram, Facebook, Twitter.
La conferma arriva dalle numerose sentenze della Corte di Cassazione che fino a questo 2022 si sono aggiunte una dopo l'altra. Le affermazioni che possono causare danni alla reputazione di una persona o anche di carattere economico possono essere considerate diffamatorie.
Questi includono commenti sui social media, post, foto, video e persino recensioni. E attenzione perché condividere il post di qualcun altro non è diverso dal pubblicarlo in autonomia.
Senza dimenticare che su piattaforme come Facebook, mettere mi piace a un post può portarlo nei feed di notizie degli amici, anche se potrebbero non aver visto il post originale in primo luogo, causando più danni alla persona che viene diffamata. Vediamo meglio:
L'ascesa dei social media ha comportato che sono gli individui e non i media a essere perseguiti in tribunale per diffamazione. Gli individui ora hanno un controllo più diretto su ciò che viene pubblicato online, eliminando l'editor dei media tradizionali.
In questo contesto, anche chi commenta un post di qualcuno potrebbe essere ritenuto responsabile come se l'avessi pubblicato. Basta che almeno uno degli amici legga il post per essere responsabile di qualsiasi diffamazione derivante dalla pubblicazione.
E si può essere ritenuti responsabile anche dopo l'eliminazione di un post, a condizione che almeno una persona lo abbia visto. Il reato di diffamazione scatta infatti quando è coinvolta una terza persona oltre alle due principali.
Andando allora a spulciare tra le differenti sentenze della Corte di Cassazione, emerge come alcune definizioni rientrino in pieno nel reato di diffamazione mentre altre - forse un po' a sorpresa - non lo sono. Ad esempio rivolgere a una persona l'epiteto di brutta non è considerata diffamazione bensì un giudizio sull'aspetto estetico.
Stessa cosa se si invita qualcuno a vergognarsi per un comportamento. Sicuramente più tecnica, ma da non prendere con leggerezza, è la differenza tra indagato e imputato.
In pratica, se si definisce imputata una persona che è solo indagata, si scivola nella diffamazione. Medesimo trattamento nel caso in cui venga attribuita l'etichetta di pregiudicato al di fuori dello stretto contesto di un procedimento penale in corso.
È sempre importante essere consapevoli che le attività sui social media possono avere conseguenze molto serie. Se si ritiene di essere stati diffamati o se si è accusati di diffamazione a causa di post sulla propria pagina Instagram, Facebook o Twitter, è consigliabile farsi assistere da un legale.
A norma di legge ovvero dell'articolo 595 del Codice penale, chi - comunicando con più persone anche attraverso la pubblicazione di frasi, foto e video - offende l'altrui reputazione è punito con la reclusione fino a 1 anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Ma se l'offesa non è generica ovvero consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena prevista è la reclusione fino a 2 anni ovvero la multa fino a 2.065 euro.
Il terzo principio stabilisce che se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (ed evidentemente in questa definizione rientrano i social media e dunque Instagram, Facebook, Twitter), ovvero in atto pubblico, la pena applicata è la reclusione da 6 mesi a 3 anni o la multa di almeno 516 euro.
A titolo di completezza, se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una sua rappresentanza o a una autorità costituita in collegio, le pene sono ulteriormente aumentate. In tutti i casi, il materiale deve essere diffamatorio, deve identificare chi l'ha prodotto e deve essere stato visto da terzi.