Il Codice della Strada rappresenta il principale riferimento normativo per la regolamentazione della circolazione stradale in Italia. La sua applicazione non si limita esclusivamente alle strade pubbliche, ma si estende, secondo criteri ben precisi, anche a numerose aree di proprietà privata che, per destinazione funzionale, risultano aperte all’uso della collettività.
Il Codice della Strada, oltre a disciplinare la circolazione su tutte le arterie di proprietà pubblica, regola anche ogni area destinata a uso pubblico, a prescindere dal regime proprietario. Nel dettaglio, ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 3, comma 1, n. 9, del Codice della Strada, per "strada" si intende uno spazio ad uso pubblico destinato alla circolazione di veicoli, pedoni o animali. Non rileva dunque che l’area sia iscritta al catasto come proprietà privata; ciò che conta, ai fini dell’applicazione della normativa, è la sua destinazione funzionale all’utilizzo collettivo.
L’elemento determinante è rappresentato dall’effettiva fruizione pubblica: parcheggi di centri commerciali, stazioni di servizio o superfici condominiali prive di sbarramenti costituiscono tipiche aree in cui le regole del Codice trovano piena applicazione. Dal punto di vista normativo, questa estensione è rafforzata dalla più recente modifica dell’articolo 7, che chiarisce come le disposizioni sul traffico, la sosta e la segnaletica siano applicabili anche fuori dalla carreggiata pubblica, purché vi sia accesso generalizzato da parte degli utenti.
Nel sistema italiano, le strade si classificano principalmente in pubbliche e private, in base alla proprietà, e si distinguono tra ad uso esclusivo (privato) e ad uso pubblico (via vicinale pubblica o assimilata). Le strade di proprietà privata, ma accessibili ad una collettività indistinta, sono dette ad “uso pubblico”: esse sono gravate da una servitù pubblica di passaggio e ricomprendono sia vie cittadine sia tracciati rurali, sia aree di servizio o piazzali utilizzati dalla generalità dei cittadini.
Giuridicamente, ciò comporta che le aree di proprietà privata, prive di barriere o limiti di accesso e effettivamente utilizzate per il transito, siano equiparate alle strade comunali ai fini dell’applicazione del Codice della Strada. L’inquadramento di un’area come ad uso pubblico deriva dalla destinazione funzionale (servizio di una comunità), dall’idoneità a soddisfare esigenze collettive e da un titolo, anche fattuale (usucapione, uso pubblico consolidato, atti formali), che legittimi tale destinazione. La presenza di segnaletica ufficiale e l'assenza di sbarramenti sono elementi sintomatici, ma non sufficienti in via esclusiva; occorre valutare l’insieme di prove documentali, catastali e, se necessario, testimoniali.
Il principio cardine ribadito dalla Corte di Cassazione è che la proprietà del suolo non limita l’efficacia delle disposizioni del Codice della Strada, se l’area è destinata alla circolazione pubblica. Del resto, l’errore interpretativo di considerare immune da controlli le superfici private aperte, sulla base della sola titolarità dominicale, è stato più volte censurato dalla Suprema Corte, che ha attribuito agli organi di polizia la competenza ad accertare violazioni e garantire la sicurezza anche su tali aree (art. 11 e art. 12 Codice della Strada).
L’unica eccezione è rappresentata dalla presenza di impedimenti fisici (ad esempio, cancelli chiusi o segnali di passo carrabile autorizzato) che vietano il libero accesso. In questi casi, l’area si qualifica per uso esclusivo e resta estranea alla regolamentazione della viabilità pubblica. Specularmente, la segnaletica "strada privata" o "proprietà privata" ha valore solo se accompagnata da specifica autorizzazione e da barriere fisiche idonee a impedire l’ingresso generalizzato.
Uno dei principali risvolti pratici dell’estensione del Codice della Strada anche alle aree private aperte è l’individuazione delle responsabilità in caso di incidenti. Il Codice Civile (art. 2054 c.c.) sancisce che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie debba risarcire i danni prodotti a persone o cose dalla circolazione, salvo prova d’aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Quando il sinistro avviene su una strada privata ad uso pubblico, la normativa e la prassi giurisprudenziale equiparano tali aree alle vie comunali sia dal punto di vista dell’accertamento delle responsabilità sia ai fini assicurativi.
La polizza RC Auto copre i sinistri verificatisi ovunque vi sia la circolazione di veicoli secondo la loro destinazione funzionale, anche in parcheggi, aree condominiali aperte e spazi destinati al pubblico, a condizione che non vi siano restrizioni di accesso. Nonostante nelle aree private il regime sanzionatorio può presentare limitazioni per alcune violazioni, i principi su responsabilità civile e obbligo di risarcimento restano invariati: la compagnia è tenuta a indennizzare i terzi danneggiati, a meno che non sia provata una condotta dolosa o una esclusione espressa dal contratto assicurativo.
In situazioni di concorso di colpa tra più conducenti, opera la presunzione legale di pari responsabilità, salvo prova contraria. La distinzione tra responsabilità effettiva e presunta, così come la possibilità della rivalsa in casi di utilizzo non autorizzato del veicolo, prescindono dall’area in cui è avvenuto l’incidente, purché questa sia ad uso pubblico.
Nell’ambito delle recenti riforme del Codice della Strada, la distinzione tra dominio pubblico e privato ha ulteriormente perso rilevanza, a vantaggio di un approccio funzionale. La riformulazione dell’art. 7 ribadisce che le norme sulla sosta, le prescrizioni di segnaletica e le relative sanzioni amministrative si applicano anche ai parcheggi fuori carreggiata e a tutte le aree accessibili senza restrizioni specifiche.
Questa evoluzione interpretativa ha una duplice importanza: da un lato, elimina il rischio di “zone franche” soggette a incertezza normativa e, dall’altro, tutela l’utente della strada garantendo uniformità delle regole di condotta e di sicurezza indipendentemente dalla proprietà della superficie. Le decisioni più recenti della Corte di Cassazione confermano la legittimità degli interventi degli organi di polizia locale anche in aree private di libero accesso, consolidando un orientamento giurisprudenziale volto a difendere l’interesse collettivo alla mobilità sicura.
La manutenzione delle strade private aperte alla circolazione pubblica ricade primariamente sui proprietari, che possono costituirsi in consorzi obbligatori se l’uso pubblico dell’area è comprovato. Il Comune partecipa alle spese limitatamente ai lavori in vie vicinali gravate da servitù di passaggio collettivo, in misura variabile in base all’importanza della strada. I riferimenti normativi di riferimento sono gli artt. 2, 14 e 37 del Codice della Strada e le disposizioni correlate al D.L.Lgt. 1 settembre 1918, n. 1446 e L. 12 febbraio 1958, n. 126.
Solo in presenza di barriere fisiche, o se viene meno la destinazione ad uso pubblico (ad es. chiusura della via, installazione di cancello, revoca della servitù), il Codice della Strada cessa di trovare applicazione sull’area in questione. Negli altri casi, la segnaletica orizzontale e verticale, la disciplina delle distanze di sicurezza e il rispetto delle regole generali restano obbligatori anche per i privati proprietari, che risultano tenuti ad assicurare le condizioni minime di sicurezza e accessibilità previste dalla normativa statale.