La possibilità per marito, moglie, figli e altri parenti di aiutare nel lavoro senza assunzione sussiste e vale solo nel caso in cui l’aiuto interessi un’attività autonoma. E’, invece, assolutamente vietato per i parenti, marito, moglie, figli o altri che siano, aiutare nel lavoro senza assunzione nel caso di aiuto in un lavoro da dipendente.
I parenti possono aiutare a lavoro senza essere regolarmente assunti? La legge prevede norme specifiche sulla possibilità per marito, moglie, figli o altri parenti che aiutano nel lavoro senza assunzione, distinguendo anche tra aiuti nel settore autonomo o dipendente. A seconda dei diversi casi, infatti, sussistono notevoli differenze. Vediamo allora se e quando marito, moglie, figli possono aiutare nel lavoro senza essere assunti.
La possibilità per marito, moglie, figli e altri parenti di aiutare nel lavoro senza assunzione sussiste e vale solo nel caso in cui l’aiuto interessi un’attività autonoma. E’, invece, assolutamente vietato per i parenti, marito, moglie, figli o altri che siano, aiutare nel lavoro senza assunzione nel caso di aiuto in un lavoro da dipendente.
Stando, infatti, a quanto previsto dalle norme attualmente in vigore, è vietato per i parenti aiutare nel lavoro quando si tratta di aiuto per marito, moglie, figli o altri parenti dipendenti di un’altra azienda, per esempio nel caso di una cassiera di un supermercato che si fa sostituire dal marito o dal figlio.
In tal caso, considerando che la cassiera è una dipendente di un’attività, farsi aiutare delegando un parente al proprio posto, senza regolare assunzione, significherebbe parlare di lavoro nero che, come ben sappiamo, è penalmente perseguibile e prevede anche pesanti sanzioni per il datore di lavoro.
Inoltre, in tal caso, se datore di lavoro o azienda si accorge che il proprio dipendente si fa aiutare nel lavoro da marito, moglie, figli o altri perenti, anche se saltuariamente, è tenuta a prendere provvedimenti che, nella maggior parte dei casi, possono prevede anche il licenziamento del dipendente stesso.
Del tutto diversa, invece, è la situazione di marito, moglie, figli o altri parenti che aiutano senza assunzione in un’attività autonoma. In questo caso, la legge permette di aiutare nel lavoro anche senza alcuna assunzione, gratuitamente e senza alcuna comunicazione necessaria ai relativi uffici del lavoro, a condizione, però, che si tratti di un aiuto considerato collaborazione occasionale.
Deve cioè trattarsi di lavoro prestato occasionalmente dai familiari conviventi con il lavoratore che si fa aiutare fino a massimo 90 ore all’anno. Se, infatti, si supera questo periodo di tempo si passa nella cosiddetta impresa familiare e le cose cambiano. Generalmente, per marito, moglie, figli o altri parenti aiutare nel lavoro senza essere assunti, spontaneamente, significa adempiere a doveri familiari e assolvere quasi ad un compito familiare.
Il lavoratore o l'impenditore che si fa aiutare dai parenti non deve retribuire il coniuge, il figlio o un altro parente che lo aiuta sul lavoro, né è tenuto al versamento dei contributi previdenziali versargli all’Inps. Ciò che, invece, toccherebbe è l’iscrizione all’Inail per prestazioni ricorrenti, rese, cioè, almeno una o due volte durante lo stesso mese, a condizione che nell’anno le prestazioni non superino le 10 giornate lavorative.
La legge permette di aiutare senza essere assunti in un’attività autonoma marito, moglie, figli e altri parenti entro il terzo grado, agli affini entro il secondo grado e ai figli. Tale possibilità, precisiamo, non vale per conviventi e fidanzati. Dunque, marito, moglie, figli o altri parenti che aiutano nel lavoro autonomo senza alcuna regolare assunzione non sono considerati, per la legge, lavoratori in nero né si corre il rischio di subire alcuna sanzione.