Il periodo di prova precede l'instaurazione del rapporto di lavoro vero e proprio. Il datore di lavoro e il lavoratore hanno la possibilità di recedere dal contratto in tempi rapidi e senza motivo. Consente al datore di lavoro di controllare le competenze del dipendente e di quest'ultimo di verificare che la posizione e l'azienda corrispondano alle sue aspettative.
Il vantaggio principale per il datore di lavoro è il mancato obbligo di rispettare le condizioni e la procedura di licenziamento se intende risolvere il contratto di lavoro del dipendente durante il periodo di prova. Non è comunque giuridicamente vincolante: un contratto di lavoro può essere concluso senza un periodo di prova. Esaminiamo meglio:
Prolungamento del periodo di prova, quando è possibile
Come deve essere strutturato il periodo di prova del lavoratore
A norma di legge, il periodo di prova dura 2 mesi per gli apprendisti, 6 mesi per i dirigenti e gli impiegati di prima categoria, 3 mesi per gli impiegati delle altre categorie, i viaggiatori o piazzisti, 1 mese per le categorie speciali, 15 giorni per gli operai, estendibili a 3 settimane o a 1 mese per alcune categorie, secondo quanto previsto dai contratti collettivi. Per tutto il periodo di prova, datore di lavoro e lavoratore possono decidere di recedere dal contratto in qualsiasi momento, senza motivo.
Ma i tribunali possono sempre considerare abusiva la cessazione del periodo di prova, soprattutto se la decisione del datore di lavoro non è legata alle competenze del lavoratore ma a ragioni discriminatorie o economiche. Se il datore di lavoro pone fine al periodo di prova del lavoratore, quest'ultimo ha in linea di principio diritto alla disoccupazione poiché si tratta di una perdita involontaria del posto di lavoro.
Per la Corte di Cassazione si può prolungare il periodo di prova sul lavoro se giustificato dalla volontà di adeguare lo stesso alla durata prevista dal contratto collettivo, se la clausola introdotta non prevede termini di durata del periodo di prova maggiori rispetto a quelli determinati dalla contrattazione collettiva.
Si tratta di una decisione che era stata confermata dal tribunale del lavoro, secondo cui l'esperimento del patto di prova è funzionale alle esigenze di entrambe le parti del rapporto di lavoro.
La maggior durata del periodo di prova stabilita dal contratto individuale in difformità dal contratto collettivo può ritenersi legittima nel caso in cui le mansioni di assunzione del lavoratore siano particolarmente complesse e tali da richiedere un prolungamento del patto di prova nell’interesse di entrambe le parti
Il periodo di prova non deve essere confuso con il periodo di prova applicabile al dipendente che cambia posizione nella stessa azienda.
Norme alla mano, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. Quindi l'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del periodo di prova. Dopodiché durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d'indennità.
Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Infine, compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.
Come spiegato dalla Corte di Cassazione, il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando rifletta l'accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua personalità.