Le leggi in vigore attualmente nel 2022 che disciplinano licenziamento per crisi economica azienda

Il lavoratore conserva il diritto di proporre opposizione contro il provvedimento di licenziamento, sempre che lo ritenga ingiusto e non motivato da ragioni di carattere economico.

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
Le leggi in vigore attualmente nel 2022

Licenziamento per crisi economica azienda, quali sono le leggi 2022 in vigore?

La legge più recente che è intervenuta per modificare la procedura per il licenziamento per crisi economica dell'azienda è il Jobs Act. Prima ancora ci ha pensato la riforma Fornero a definire nuovi confini. Non è mai cambiato il senso di questo provvedimento in quanto il licenziamento per crisi economica azienda è il provvedimento con cui il datore interrompe unilateralmente il rapporto con il dipendente.

Alla base del licenziamento per crisi economica c'è una ragione ben precisa di cui datore e lavoratore devono prendere atto. Non ci sono infatti le condizioni economiche per proseguire e di conseguenza l'azienda deve assumere la dolorosa decisione di allontanare il dipendente come risultato, ad esempio, della riduzione di aree operative. Come è facile intuire, alla luce della delicatezza della questione, non è affatto così semplice e scontato attivare questa possibilità O meglio, è soggetta a un iter procedurale ben preciso e codificato dalle legge attualmente in vigore.

Queste ultime sono state più volte oggetto di cambiamento proprio per andare incontro alle mutevoli esigenze di carattere economico e sociale. Esaminiamo quindi con maggiore attenzioni alcuni aspetti e più precisamente:

  • Licenziamento per crisi economica azienda, quali sono le leggi 2022 in vigore
  • Cosa può fare il lavoratore nel caso di licenziamento per crisi economica azienda

Licenziamento per crisi economica azienda, quali sono le leggi 2022 in vigore

La legge più recente che è intervenuta per modificare la procedura per il licenziamento per crisi economica dell'azienda è il Jobs Act. Prima ancora ci ha pensato la riforma Fornero a definire nuovi confini. Non è mai cambiato il senso di questo provvedimento in quanto il licenziamento per crisi economica azienda è il provvedimento con cui il datore interrompe unilateralmente il rapporto con il dipendente. Quest'ultimo è di fatto estraneo ai fatti ovvero i suoi comportamenti non hanno inciso nella decisione.

Alla base di questa misura c'è quindi una crisi economica ovvero uno di quei casi che la normativa vigente fa rientrare tra nel giustificato motivo oggettivo. La decisione del datore di lavoro va intesa come ultima carta da giocare.

Diversamente ha infatti l'obbligo di ricollocare il lavoratore in un'altra posizione secondo l'istituto del repechage. Si tratta del cosiddetto obbligo di ripescaggio in vigore del mondo del lavoro. In pratica l'azienda deve cercare di salvaguardare il posto del dipendente prima di procedere al licenziamento. Anche quando di mezzo c'è una crisi economica.

Cosa può fare il lavoratore nel caso di licenziamento per crisi economica azienda

Da parte sua, il lavoratore conserva il diritto di proporre opposizione contro il provvedimento di licenziamento, sempre che lo ritenga ingiusto e dunque non motivato da ragioni di carattere economico. Ma è chiamato a seguire un percorso ben preciso, anche in riferimento ai tempi. In particolare, deve impugnare la misura del licenziamento entro 60 giorni ovvero dal momento in cui riceve la comunicazione del licenziamento se contiene anche le motivazioni della decisione del datore di lavoro. Oppure dal momento in cui riceve la comunicazione dei motivi di licenziamento se all'atto del licenziamento non sono stati indicati.

Non solo, ma poi ha 180 giorni per depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale impugnando davanti al giudice il provvedimento di licenziamento che lo ha raggiunto. Entro lo stesso tempo deve comunicare al datore di lavoro la richiesta di un tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro oppure una richiesta di arbitrato.

Dopo la riforma Fornero, se il giudice ritiene che il provvedimento di licenziamento sia illegittimo, nel caso delle imprese con più di 15 dipendenti o che hanno più di 60 dipendenti, può condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore una indennità da 12 a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale dovuta al lavoratore.

Il giudice può anche ordinare il reintegro del lavoratore nel proprio posto se le ragioni indicate dal datore come fondamento del licenziamento sono manifestamente infondate, compresa quella legata alla crisi economica. Con il Jobs Act, se il licenziamento è illegittimo il giudice può solo condannare il datore a pagare al lavoratore licenziato una indennità. L'importo è pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.

Il lavoratore conserva il diritto di proporre opposizione contro il provvedimento di licenziamento, sempre che lo ritenga ingiusto e non motivato da ragioni di carattere economico.