Per la Corte di Cassazione, la durata dei permessi, se la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non deve subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro.
Sebbene l'impianto della legge 104 sia rimasto pressoché immutato da 30 anni, più volte la Cassazione è stata incaricata di dirimere controversie tra datore e lavoratore. Il principale riferimento va ai permessi legge 104 retribuiti per i lavoratori con grave disabilità o per i familiari incaricati della loro assistenza.
Ed è in particolare nella loro fruizione nel caso di un rapporto di lavoro part time che i giudici sono stati chiamati a esprimersi e l'Inps ad adeguare di conseguenza la normativa. Approfondiamo alcuni aspetti specifici della normativa e più precisamente:
Importanti chiarimenti legge 104 e part time
Sentenze Cassazione legge 104 e part time
Prima di entrare nel vivo delle sentenze della Cassazione sulla legge 104 e il part time, è indispensabile chiarire la differenza tra le varie modalità di lavoro parziale. Può essere infatti di tipo orizzontale se la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro.
Può essere di tipo verticale se il lavoro viene svolto in periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno. Infine, il part time di tipo misto è la combinazione delle due modalità precedentemente indicate. A norma di legge, i permessi legge 104 non devono essere riproporzionati con i lavoratori con contratto part time verticale o misto con percentuale della prestazione lavorativa superiore al 50% rispetto al tempo pieno.
Per la Corte di Cassazione, la durata dei permessi, se la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non deve subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro. Per i lavoratori dipendenti del settore privato assunti a tempo parziale di tipo verticale o misto, con attività lavorativa part time superiore al 50%, i tre giorni di permesso mensile non andranno riproporzionati e saranno quindi riconosciuti interamente.
La norma - come argomentato a tal proposito dall'Inps - opera una differenziazione tra gli istituti che hanno una connotazione patrimoniale e che si pongono in stretta corrispettività con la durata della prestazione lavorativa - per i quali è ammesso il riproporzionamento del trattamento - e gli istituti riconducibili a un ambito di diritti a connotazione non strettamente patrimoniale, che si è inteso salvaguardare da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa.
La Corte di Cassazione sottolinea la necessità di una valutazione comparativa delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, in particolare di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all'adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del rapporto di lavoro parziale di tipo verticale.
In linea con tale criterio, valutate le opposte esigenze, appare ragionevole – specifica la Suprema Corte - distinguere l'ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata con un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori. Solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l'esigenza di effettività di tutela del disabile, occorre riconoscere il diritto alla integrale fruizione dei permessi.