Secondo la Corte di Cassazione, tutti gli accrediti sul conto corrente sono di principio considerati redditi e di conseguenza devono essere soggetti a tassazione.
Con l'irrigidimento delle norme sul trasferimento di denaro da un conto corrente all'altro è inevitabile una maggiore attenzione da parte dei correntisti. Non dimentichiamo infatti che spetta a loro stessi dimostrare l'assenza di irregolarità nel caso di contestazione. Si tratta del principio dell'inversione dell'onere della prova.
Se la normativa fiscale in materia si fa sempre più rigida con controlli sempre più mirati da parte dell'Agenzia delle entrate per via dei nuovi strumenti a disposizione, c'è anche un'altra variabile da prendere in considerazione Si tratta delle sentenze dei tribunali, sempre più spesso chiamati a dirimere controversie tra contribuenti e fisco. Esaminiamo in questo articolo un aspetto ben preciso alla luce di una importante sentenza della Corte di Cassazione:
Secondo il Testo Unico sulle imposte sui redditi, tutti i versamenti di denaro contante sul proprio conto corrente o i bonifici ricevuti sono redditi e quindi vanno tassati se non inseriti nella dichiarazione dei redditi. Spetta al contribuente dimostrare il denaro è esenti, ad esempio perché frutto di una donazione oppure che si tratta di un reddito già tassati, come nel caso di vincite. Ma lo deve fare con prove certe ovvero con documenti con data tra scontrini, fatture e ricevute.
In caso contrario, il contribuente va incontro a sanzioni e tasse. A rafforzare questa posizione ci ha quindi pensato la Corte di Cassazione, secondo cui tutti gli accrediti sul conto corrente sono di principio considerati redditi e di conseguenza devono essere soggetti a tassazione. E qui ritorniamo al punto di partenza ovvero all'indispensabilità, da parte del contribuente, di dimostrare con documenti alla mano l'assenza di irregolarità fiscali.
La normativa in vigore non pone tetti ai contribuenti in termini di prelievi. In pratica il lavoratore dipendente, il professionista, il titolare di partita Iva possono prelevare anche diverse migliaia di euro nella stessa giornata senza temere - in linea di massima - che suoni qualche campanello di allarme negli uffici dell'Agenzia delle entrate.
In linea di massima perché l'istituto di credito che consegna il denaro deve inviare una segnalazione all'Unità di informazione finanziaria per ogni prelievi maggiore di 10.000 euro in un mese. Questa stessa regola vale anche per prelievi frazionati.
Parzialmente differente è il caso degli imprenditori in quanto non possono effettuare prelievi di contanti superiori a 1.000 euro della stessa giornata o di 5.000 euro in un mese. L'imprenditore che sfora questi limiti può essere soggetto a controlli da parte dell'Agenzia delle entrate con l'accusa di ricavi non dichiarati ovvero non tassati.
Per restare al riparo da imposte e sanzioni occorre muoversi in anticipo ovvero saper dimostrare le ragioni del prelievo e il modo in cui saranno o sono state utilizzate quelle cifre. Ricordiamo quindi che in riferimento ai versamenti di contanti o bonifici ricevuti sul proprio conto corrente non esistono limiti per legge e possono essere disposti per qualsiasi importo, anche superiore a 3.000 euro. Ma non bisogna credere che la macchina degli accertamenti resti fermi. La normativa fiscale vigente assegna infatti all'Agenzia delle entrate il potere di avviare delle indagini bancarie sui conti correnti ed eventualmente chiedere al contribuente accertamenti sulla provenienza del denaro.
Tutti i versamenti di denaro contante sul proprio conto corrente o i bonifici ricevuti sono redditi e quindi vanno tassati se non inseriti nella dichiarazione dei redditi.