Un elenco non esaustivo di comportamenti che possono costituire cattiva condotta che porta al licenziamento sono la disobbedienza agli ordini di un superiore gerarchico, le assenze ingiustificate, i ritardi ripetuti, al negligenza professionale, i comportamenti inappropriati come la consultazione abusiva di siti web personali durante l'orario di lavoro
Il provvedimento del licenziamento è la risoluzione del contratto di lavoro su iniziativa del datore di lavoro. Può essere pronunciata per un motivo economico o per uno personale ovvero inerente al lavoratore stesso.
Tra i motivi personali di licenziamento si distinguono quelli non disciplinari e quelli disciplinari legati a comportamenti illeciti. A seconda della gravità dei fatti, la colpa è semplice o grave. L'eventuale licenziamento per motivi personali deve essere motivato e giustificato da una causa reale e grave. Vediamo quindi
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Il motivo alla base del licenziamento deve essere sia reale, vale a dire che i fatti devono essere corretti e verificabili, ma anche gravi. Devono cioè essere tali affinché il licenziamento sia inevitabile. Il lavoratore commette una colpa quando non rispetta gli obblighi che gli incombono in applicazione del contratto di lavoro. La colpa corrisponde a un comportamento o ad atti illeciti del lavoratore nell'esercizio del suo lavoro.
Il licenziamento economico deve fondarsi su una causa reale e grave, ma è esterna alla persona del lavoratore, sia esso individuale o collettivo. Può essere invocato di fronte a difficoltà economiche, se c'è bisogno di una riorganizzazione per rimanere competitivi, per adattarsi ai cambiamenti tecnologici, per cessazione di attività, totale e definitiva ovvero non imputabile a colpa del datore di lavoro.
Il licenziamento per motivi personali si fonda su un fatto reale e grave, ed è relativo ai singoli lavoratori. Un elenco non esaustivo di comportamenti che possono costituire cattiva condotta che porta al licenziamento sono la disobbedienza agli ordini di un superiore gerarchico, le assenze ingiustificate, i ritardi ripetuti, al negligenza professionale, i comportamenti inappropriati come la consultazione abusiva di siti web personali durante l'orario di lavoro, ad esempio, le osservazioni offensive, l'abuso della libertà di espressione.
Su Facebook il dipendente gode di piena libertà di espressione. Per quanto riguarda la sua azienda, questa libertà conosce limiti. Si tratta di una evidenza particolarmente vera se il dipendente fa commenti offensivi o diffamatori nei confronti dell'azienda, dei suoi colleghi o dei suoi dirigenti. Il dipendente deve inoltre prestare attenzione a non rivelare informazioni sensibili che incidono sulla vita dell'azienda.
In caso contrario, il dipendente è esposto a varie sanzioni disciplinari, fino al licenziamento compreso. Ma queste sanzioni non sono automatiche e vanno valutate caso per caso. In linea di principio, finché i commenti del dipendente sull'azienda, da un PC o dallo smartphone e al di fuori dell'orario di lavoro, su un social network rimangono privati, non può essere incolpato.
Quando i commenti del dipendente sono pubblici, la situazione è meno chiara. Se le affermazioni del lavoratore sono insulti pubblici, il datore di lavoro può agire in giudizio per chiedere che sia condannato al risarcimento dei danni.
In ogni caso è vietato licenziare un dipendente perché ha esercitato i suoi diritti e le sue libertà fondamentali, come il diritto di sciopero, di voto, esercizio di attività sindacale o mutualistica. Allo stesso tempo è nullo il licenziamento basato su genere, stato civile, origine, convinzioni religiose.
Qualsiasi licenziamento può essere impugnato davanti al tribunale del lavoro. Il giudice decide sulla base delle informazioni fornite dalle parti (il datore di lavoro e il lavoratore) dopo aver disposto, se necessario, tutti gli atti istruttori che ritiene utili.
Se il giudice ritiene che non sussista una causa reale e grave, può proporre la reintegrazione del dipendente in azienda, mantenendo i vantaggi acquisiti. Se una delle parti rifiuta la reintegrazione, il giudice concede al lavoratore un'indennità a carico del datore di lavoro.
Il motivo alla base del licenziamento deve essere sia reale, vale a dire che i fatti devono essere corretti e verificabili, ma anche gravi