In caso di fallimento dell'azienda non scatta immediatamente l'allontanamento del lavoratore. Il dipendente continua a mantenere i diritti fino a quanto il curatore fallimentare non prende la decisione definitiva.
Le incertezze nel mondo del lavoro sono sempre dietro l'angolo. Alcune volte le ragioni vanno ricondotte a una gestione sconsiderata dell'impresa mentre in altri casi, improvvise crisi economiche possono provocare il tracollo dell'azienda.
D'altronde basta leggere le pagine delle cronache sul lavoro per scoprire come siano numerosi i racconti di fallimenti da parte di imprenditori in difficoltà o comunque di chiusura di una o più sedi. Se c'è un aspetto da valutare è quello della forza lavoro e delle conseguenze che possono provocare il fallimento o la chiusura di una sede. Quali sono i loro diritti? Come vengono gestiti i loto contratti? Approfondiamo questi e altri casi nell'articolo e più precisamente vediamo nei dettagli:
Se azienda fallisce, quali sono i diritti dei lavoratori
Se azienda chiude una sede, quali sono i diritti dei lavoratori
Il fallimento di un'azienda è un epilogo estremo che non può che avere una incidenza diretta sui lavoratori e i loro diritti. Si tratta di una circostanza critica che finisce per travolgere tutti, anche i dipendenti con contratto a tempo indeterminato che evidentemente non possono considerarsi al sicuro.
Più precisamente, in caso di fallimento dell'azienda non scatta immediatamente l'allontanamento del lavoratore. Non viene cioè licenziato anche se le possibilità sono che avvenga sono concrete. Di conseguenza, il dipendente continua a mantenere i diritti fino a quanto il curatore fallimentare non prende la decisione definitiva. Anche quella dell'interruzione del rapporto di lavoro. Spetta infatti al curatore occuparsi dell'esercizio provvisorio e della liquidazione di tutti i debitori.
Spetta a questa figura decidere quali dipendenti possono continuare a svolgere le proprie mansioni nella fase di esercizio provvisorio dell'azienda. In pratica può decidere chi licenziare e chi invece mantenere. Ma attenzione alle tempistiche perché il lavoratore conserva il diritto di mettere in mora il curatore e lasciare che sia un giudice delegato decidere se la sospensione dall'impiego debba concludersi con un licenziamento o un reintegro. E lo deve fare entro 60 giorni.
Altro aspetto cardine è quello relativo al Tfr ovvero al Trattamento di fine rapporto, la cosiddetta liquidazione. Si tratta di quella somma che il datore di lavoro mette da parte e corrisponde al dipendente al termine del rapporto professionale.
Ebbene, in caso di fallimento, infatti, interviene il lavoratore ha diritto a fare riferimento al Fondo di garanzia dell'Inps a pagare il Tfr e le ultime tre mensilità arretrate.
Ma solo se rispetta l'iter procedurale che prevede l'invio dell'istanza di ammissione allo stato passivo al curatore fallimentare; l'attesa della dichiarazione di stato passivo da parte del giudice delegato; la presentazione della copia autentica dello stato passivo all'Inps, allegando una certificazione della cancelleria di assenza di opposizioni, il modello SR52, la copia autentica del decreto sull'azione di opposizione o impugnazione e la copia della domanda di ammissione al passivo completa di documentazione.
La chiusura della sede di un'azienda non comporta in automatica il licenziamento del lavoratore. Anzi, può scattare il trasferimento nella sede in altro luogo o di un'altra città.
Tuttavia il lavoratore conserva il diritto di rifiutarsi senza che questa decisione rappresenti giusta causa di licenziamento. Ma solo se, con la chiusura e il trasferimento della sede di lavoro, la distanza dall'abitazione del lavoratore risulti maggiore di quella indicata nel contratto di assunzione di almeno 50 chilometri o 80 minuti mediante mezzi pubblici.