La possibilità di assentarsi dal lavoro per lutto è possibile solo nel caso di morte del coniuge, di parenti entro il secondo grado e affini di primo grado, oltre che del convivente stabile. In tutti i casi il numero massimo di giorni di cui può fruire è 3.
Tutti i dipendenti hanno diritto a un permesso retribuito in caso di decesso del coniuge o di un parente entro il secondo grado, ma anche di affini di primo grado o del convivente, a patto che la convivenza sia stabile e risulti nella certificazione anagrafica.
Se questa è la disposizione generale ci sono subito due dettagli di fondamentale importanza che balzano subito all'occhio. Il primo è che si tratta di una regola che vale per tutti i lavoratori con rapporto da dipendente, sia esso a tempo determinato o indeterminato.
In pratica possono fruire del permesso retribuito per lutto i dipendenti che fanno riferimento a uno dei numerosi Contratti collettivi nazionali di lavoro tra terziario e servizi, edilizia e legno, alimentari, credito e assicurazioni, tessili, trasporti, meccanici, agricoltura e allevamento, enti e istituzioni private, chimica, poligrafici e spettacolo, marittimi, enti pubblici.
Il secondo aspetto che emerge con chiarezza dalla normativa generale è il grado di parentela che deve legare il lavoratore al defunto. Sono inclusi i parenti di primo grado (padre e madre, figlio o figlia), quelli di secondo grado (nonno o nonna nipote ovvero figlio del figlio o della figlia, fratello o sorella) e gli affini di primo grado (suocero o suocera del titolare, figlio o figlia del coniuge).
Tra marito e moglie (compresi) non vi è rapporto di parentela o affinità ma una relazione detta di coniugio. Sono di conseguenza esclusi dai permessi per lutto le morti di bisnonno o bisnonna, pronipote (figlia o figlio del nipote), nipote (figlia o figlio del fratello o della sorella), zio e zia (fratello o sorella del padre o della madre).
Allo stesso modo sono esclusi gli affini di secondo grado: nonno o nonna del coniuge, nipote (figlio del figlio del coniuge) cognato o cognata. Così come gli affini di terzo grado: bisnonno o bisnonna del coniuge, pronipote (figlio del nipote del coniuge), nipote (figlio del cognato o della cognata), zio o zia del coniuge.
La possibilità di assentarsi dal lavoro per lutto è possibile solo nel caso di morte del coniuge, di parenti entro il secondo grado e affini di primo grado, oltre che del convivente stabile. Il dipendente deve presentare la relativa istanza correlata da dichiarazione sostitutiva di certificazione.
In tutti i casi il numero massimo di giorni di cui può fruire è 3. Come abbiamo visto, occorre prestare molta attenzione a stabilire correttamente il grado di parentela o affinità. Punto di riferimento è comunque il Codice civile in cui sono presenti le norme in materia.
Il secondo aspetto da non sottovalutare è la modalità di utilizzo di questi 3 giorni. Devono infatti essere fruiti in modo continuativo. E attenzione: se rientra un giorno festivo come una domenica o un giorno in cui l'azienda in cui si lavora è chiusa, questi ultimi vanno conteggiati nei 3 giorni di permesso per lutto.
Il riferimento al convivente stabile non va inteso solo in senso stretto ma in modo più ampio. Comprende cioè i casi di convivenza di un qualsiasi componente della famiglia anagrafica del dipendente. Occorre comunque dimostrarlo facendo riferimento alle certificazioni rilasciate all'ufficio anagrafe del comune di residenza.
Sicuramente più complesso è la questione che riguarda la decorrenza dei giorni di permesso per la morte di un parente. I vari Contratti collettivi nazionali di lavoro tendono a non stabilire alcun limite di tempo entro cui fruire dei 3 giorni, ma non ne consentono l'utilizzo oltre un ragionevole lasso di tempo dal decesso.
Di conseguenza vanno chiesti e utilizzati a decorrere dall'evento o comunque a ridosso del lutto. In ogni caso a essere decisivo è sempre il buon senso delle parti. I permessi per lutto sono un diritto soggettivo per il dipendente e quindi la loro fruizione non può essere interrotta per motivi di servizio.