Il contratto a tempo determinato, strumento giuridico essenziale nel panorama italiano delle relazioni di lavoro subordinato, è disciplinato da una normativa articolata che definisce limiti, tutele e condizioni necessarie per ricorrervi in modo corretto.
Il contratto a tempo determinato, noto anche come contratto a termine, è un rapporto di lavoro subordinato nel quale è formalmente stabilita una data di conclusione. Tale durata può essere determinata in funzione di una precisa data o mediante il riferimento a un evento oggettivamente verificabile. La normativa comunemente di riferimento è il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, integrato e aggiornato da successive disposizioni, tra cui il c.d. Decreto Dignità e le modifiche introdotte dal Decreto Lavoro n. 48/2023.
Elemento cardine della disciplina è la durata massima complessiva, fissata, di regola, in 24 mesi tra tutte le tipologie di contratti a termine tra gli stessi soggetti, anche in regime di somministrazione per mansioni di pari livello e categoria. Per contratti fino a 12 mesi non è richiesta causale; per quelli di durata superiore, bisogna attestare esigenze specifiche previste dalla contrattazione collettiva, oppure esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o di sostituzione di lavoratori assenti.
Il rinnovo di un contratto a tempo determinato consiste nella riassunzione a termine del medesimo lavoratore dallo stesso datore di lavoro, successivamente alla naturale scadenza del precedente rapporto. La legge non pone limiti numerici assoluti ai rinnovi, ma impone che la somma delle durate di tutti i contratti tra le stesse parti, relativi a mansioni equivalenti, non superi i 24 mesi complessivi, salvo eventuali previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva.
La reiterazione in abuso, ovvero attraverso molteplici contratti reiterati senza interruzione e fuori dalle regole previste, comporta la conversione a tempo indeterminato dell’ultimo rapporto.
È essenziale distinguere la proroga dal rinnovo. La proroga consiste nell’estensione della durata di un contratto in essere, operata prima della scadenza, mantenendo immutate le condizioni. Può essere effettuata – con il consenso del lavoratore – solo se il contratto iniziale era inferiore a 24 mesi e comunque fino a un massimo di quattro volte in 24 mesi.
Superato tale limite di proroghe, la normativa dispone la conversione in rapporto a tempo indeterminato. La proroga, a differenza del rinnovo, non interrompe la continuità del rapporto e si applica a mansioni identiche a quelle originarie.
Per prolungare o rinnovare un contratto oltre i primi 12 mesi, è necessaria una delle seguenti condizioni (cd. "causali"):
I CCNL nei diversi settori produttivi possono prevedere eventuali deroghe sul numero massimo di rinnovi, proroghe, percentuali di assunzione a termine, disciplina delle attività stagionali, limitazioni ulteriori e specifiche causali. È quindi necessario valutare sempre anche le disposizioni collettive applicate nell’impresa.
Nel settore pubblico, per i dirigenti si applicano limiti di durata differenti (massimo cinque anni), mentre per le mansioni di carattere stagionale o nelle start-up innovative possono valere regole, exemptions o limiti diversi.
Il quadro normativo dei contratti a termine è stato oggetto di interventi sostanziali e integrazioni da parte di circolari ministeriali, delle ultime disposizioni di legge e orientamento della giurisprudenza. Tra le novità più rilevanti per i rinnovi:
Di rilievo anche la pubblicazione di aggiornamenti interpretativi (ad esempio, Circolari INL) fondamentali per il corretto recepimento delle novità e delle prassi, in particolare nel consolidamento del principio della non discriminazione e dell'obbligo di comunicazione scritta.
Affinché il rinnovo del contratto a tempo determinato sia valido, devono essere rispettate alcune condizioni formali:
La violazione delle condizioni appena esposte può determinare la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato o l’applicazione di sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro.
Nel caso in cui il rapporto prosegua oltre la scadenza senza formale rinnovo o senza rispetto degli intervalli di legge, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere una maggiorazione retributiva pari al 20% della retribuzione per ogni giorno lavorato fino al decimo giorno successivo, e al 40% per ogni giorno ulteriore. Se la prosecuzione supera 30 giorni (per contratti iniziali sotto i sei mesi) o 50 giorni (negli altri casi), la normativa dispone la conversione in rapporto a tempo indeterminato.
I lavoratori con contratto a tempo determinato hanno diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello dei colleghi a tempo indeterminato, per posizione e mansioni analoghe, fatte salve oggettive incompatibilità derivate dalla natura temporanea del rapporto. In particolari condizioni (ad esempio attività stagionali) e per periodi specifici, questa parità si esercita secondo le regole dei CCNL applicati.
Inoltre, superati sei mesi di lavoro a termine con la medesima azienda, il lavoratore acquisisce il diritto di precedenza nelle trasformazioni o nuove assunzioni a tempo indeterminato sulla stessa posizione, da esercitare previa manifestazione scritta e nei limiti previsti dagli accordi collettivi.
Diversi settori produttivi presentano regole peculiari o esenzioni rispetto alla normativa generale, come nel caso di:
I contratti collettivi applicati nel comparto di interesse sono la fonte di regolamentazione primaria in presenza di disposizioni più favorevoli rispetto alla legislazione generale.
La violazione delle regole di rinnovo del contratto a tempo determinato comporta conseguenze sanzionatorie progressive:
Gli strumenti di tutela per contestare la legittimità del rinnovo sono disponibili tramite l’ufficio vertenze sindacale e con ricorso giudiziale presso il Giudice del Lavoro nei termini perentori di decadenza previsti.