Sono due le circostanze in cui l'azienda può chiedere al dipendente di cambiare sede. Innanzitutto il datore può imporre il trasferimento da una unità produttiva all'altra se ricorrono comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. In seconda battuta per incompatibilità ambientale.
L'azienda può chiedere al dipendente di cambiare sede? La risposta è certamente affermativa. Ma ci sono casi ben delimitati in cui il datore può imporre il trasferimento del lavoratore? Anche in questo caso la risposta è affermativa. Questa opzione può infatti essere applicata solo a determinate condizione.
Nella maggior parte dei casi pone infatti il dipendente in una situazione di disagio, magari per via della maggior distanza che separa l'abitazione dal luogo di lavoro. Approfondiamo allora nel dettaglio quali sono i casi in cui azienda può richiedere al dipendente di cambiare sede e alcune circostanze particolari, come quella che coinvolge più lavoratori. Il tutto ricordando che il punto di riferimento normativo sono le leggi in materia e a seguire il Ccnl applicato. Esaminiamo quindi:
Il trasferimento è disciplinato dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro. In genere prevede il pagamento di specifiche indennità a favore del lavoratore e il rimborso delle spese sostenute per lo spostamento in altra località.
Secondo la giurisprudenza, l'indennità ha natura retributiva e se non è espressamente esclusa dagli accordi collettivi o individuali, viene conteggiata insieme agli altri elementi retributivi. Sono due le circostanze in cui l'azienda può chiedere al dipendente di cambiare sede. Innanzitutto il datore può imporre il trasferimento da una unità produttiva all'altra se ricorrono comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In seconda battuta per incompatibilità ambientale. Rispetto al primo punto, se il trasferimento avviene all'interno della stessa unità produttiva, non occorrono motivazioni. Nel secondo caso, è bene precisare che il cambio di sede non va considerato una sanzione.
In caso di ritenuta illegittimità del trasferimento, il lavoratore può accettarlo dando esecuzione al provvedimento e successivamente impugnarlo davanti al giudice. Oppure rifiutarlo agendo in via di autotutela. In questo caso spetta al datore di lavoro dimostrare la legittimità del trasferimento stesso in quanto giustificato dalle prescritte ragioni tecniche, organizzative e produttive. In caso di trasferimento illecito il dipendente ha diritto sia al risarcimento del danno e sia a essere riammesso nella precedente sede di lavoro.
Diversa è la situazione in cui il trasferimento avviene su esplicita iniziativa del lavoratore. In caso di rifiuto arbitrario da parte del datore di lavoro potrebbe essere considerata illegittima la concessione del trasferimento a favore di altri dipendenti, poiché il provvedimento di trasferimento da parte del datore di lavoro deve essere comunque ispirato da principi dì correttezza e buona fede.
A meno che non sia prevista dal Contratto colletti nazionale di lavoro, l'erogazione dell'indennità di trasferimento è esclusa per i trasferimenti richiesti dal lavoratore in quanto non viene riscontrata l'esigenza di compensarlo per il disagio provocato dal cambiamento del luogo di lavoro.
Il trasferimento collettivo si distingue da quello individuale in quanto riguarda una collettività di lavoratori considerati non individualmente ma quali componenti di una unità produttiva o di una parte di essa. Allo stesso modo di quanto avviene con quello individuale, il trasferimento collettivo deve essere motivato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
C'è quindi un altro caso da segnalare. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato che assiste con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di grave handicap ha il diritto a scegliere, se possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.