Se il dipendente ha 5 giorni di tempo per fornire le proprie giustificazioni, il datore di lavoro deve scrivere la parola fine in tempi ben precisi. Più esattamente, la lettera di richiamo viene invalidata trascorsi due anni.
C'è la lettera di richiamo tra gli strumenti nelle mani del datore di lavoro per contestare un comportamento del lavoratore considerato scorretto. Si tratta di un atto formale e di conseguenza il dipendente deve assegnare il giusto peso e non prenderla alla leggera.
In ogni caso non è il provvedimento più severo, che resta il licenziamento, e né quello più leggero che è il richiamo verbale.
La maggiore attenzione è sul contenuto della missiva ovvero sulle contestazioni che l'azienda muove al dipendente. Nella maggior parte di casi questo strumento è utilizzato per richiamare il lavoratore alla puntualità rispetto a ripetuti ritardi.
In motivo possono essere anche tanti altri, come le assenze ingiustificate oppure l'adozione di un linguaggio scurrile o inappropriato nel posto di lavoro.
Ma potremmo ricorda anche l'insubordinazione verso superiori o il titolare oppure la negligenza nello svolgimento delle mansioni.
Non ci sono particolari differenze tra i vari Ccnl (terziario e servizi, edilizia e legno, alimentari, credito e assicurazioni, tessili, trasporti, meccanici, agricoltura e allevamento, enti e istituzioni private, chimica, poligrafici e spettacolo, marittimi, enti pubblici) poiché questo strumento è utilizzato pressoché in tutti i comparti per contestare la violazione dei generali obblighi di correttezza e buona fede che devono contraddistinguere il rapporto di lavoro.
Due aspetti vanno evidenziati. In prima battuta ci sono alcuni motivi per cui la lettera di richiamo al dipendente viene invalidata e li esaminiano in questo articolo.
Dopodiché al lavoratore occorre sempre concedere alcuni giorni di tempo dal ricevimento della missiva per presentare le sue giustificazioni e da lì l'azienda può decidere se e quali provvedimenti assumere. Esaminiamo tutti i dettagli tra:
Proprio per via del suo carattere formale e scritto, la lettera di richiamo deve essere scritta in maniera chiara e precisa. Anche perché, come vedremo nel paragrafo successivo, il lavoratore conserva il diritto di replica.
Più esattamente, il datore di lavoro deve esprimere con chiarezza quali sono le contestazioni mosse ovvero i comportamenti alla base del richiamo. In seconda battuta, la missiva deve contenere la richiesta di modifica dell'atteggiamento e in caso si tratti di una recidiva ricordare il precedente ovvero le sanzioni e i provvedimenti disciplinari già irrogati.
Infine, il datore deve ricordare le conseguenze disciplinari alle quali il lavoratore può andare incontro nel caso di persistenza del comportamento irregolare. Se il dipendente ha 5 giorni di tempo per fornire le proprie giustificazioni, il datore di lavoro deve scrivere la parola fine in tempi ben precisi.
Più esattamente, la lettera di richiamo viene invalidata trascorsi due anni. In ogni casi, dopo 10 giorni dalla risposta del dipendente senza che il datore abbia applicato una sanzione ulteriore, la procedura termina qui ovvero sono accettate le giustificazioni del dipendente e viene ritenuta sufficiente la lettera di richiamo per "mettere in riga" il lavoratore.
Un ruolo centrale in tutta questa procedura viene ricoperta dal dipendente stesso.
Entro 5 giorni dalla ricezione della lettera di richiamo può presentare le proprie giustificazioni, anche chiedendo di essere ascoltato. Non si tratta di un obbligo, ma di una possibilità facoltativa nel caso in cui ritenga che il datore sia in errore o che non abbia tenuto conto dei principi di buona fede e correttezza.
Ecco quindi che nella contromissiva può replicare contestando le accuse ricevute, ma cercando di essere il più preciso possibile.
Oppure ammettendo le colpe e scusandosi. In entrambi i casi non si tratta di un aspetto da prendere alla leggera perché è anche in base all'esito di questo confronto che l'azienda decidere se applicare o meno una sanzione disciplinare.