Benzina sintetica: cos'è?
Si tratta infatti di un carburante che si ricava dalle sostanze sostanze di scarto come le biomasse. Niente di più che dei rifiuti biodegradabili dell'agricoltura.
La benzina sintetica è una innvazione molto interessante sia per l'ecologia che per le prestazione che per i costi man mano che si andrà avanti. Ma non c'è solo la benzina sintetica.
A sorprendere è che sia proprio Audi a farsi capofila della svolta in termini di emissioni. Se non altro perché negli ultimi anni, la casa bavarese è stata tra quelle che ha investito di più sia sui motori a benzina e sia quelli a diesel, adesso messi alla berlina un po' ovunque. Ecco allora che decide ancora una volta di mettersi all'avanguardia e lo fa cercando di rendere sostenibili i suoi carburanti. Che si chiami benzina sintetica o e-benzin poco cambia perché l'intenzione è di sfruttare il suo potere anti-detonante. Il vantaggio, almeno sulla carta e stando a quanto pubblicamente dichiarato, è di contenere l'impatto per l'ambiente e allo stesso tempo proporre motori performanti.
C'è innanzitutto un aspetto che colpisce la benzina sintetica. Si tratta infatti di un carburante che si ricava dalle sostanze sostanze di scarto come le biomasse. Niente di più che dei rifiuti biodegradabili dell'agricoltura. Solo quest'aspetto sarebbe allora sufficiente per attirare l'attenzione in ottica sostenibilità. Le aspettative sono alte e la convinzione è massima considerando l'avvio delle prove dei Audi sul primo stock di benzina sintetica per verificare l'efficacia su un motore tradizionali. Dal punto di vista tecnico si ottiene innanzitutto con la produzione di isobutene gassoso e quindi con la trasformazione dell'isobutene in isottano con l'aggiunta di idrogeno.
Il produttore sta portando avanti la sperimentazione di carburanti ottenuti da energie rinnovabili. Audi punta allora ridurre la dipendenza della benzina dal petrolio e contenere le emissioni di anidride carbonica. L'assenza di zolfo e benzolo produce livelli molto bassi di emissioni, si affrettano a spiegare dalle parti di Ingolstadt. Sul fronte diesel, l'impegno è nello sviluppo di una tecnologia che con l'elettrolisi e l'anidride carbonica nell'aria punta a ricavare un gasolio sostenibile. Lo scopo della casa automobilistica tedesca è testare lo sviluppo di motori con un elevato rapporto di compressione migliorando l'efficienza complessiva.
Le prospettive non si limitano a questo progetto di benzina sintetica. Audi ha lavorato con Global Bioenergies, azienda francese che ricava idrocarburi dagli scarti dell'agricoltura per produrne una quantità adeguata e iniziare a testarne il funzionamento. E medio-lungo periodo la scommessa è eliminare l'utilizzo di biomasse, fino ad arrivare aad arrivare ai soli idrogeno e anidride carbonica per ottenere la benzina sintetica.
Il nuovo corso Audi è ufficialmente iniziato. Anzi, si tratta di un vero e proprio consolidamento della strategia di sviluppo delle e-fuel, considerando l'affiancamento ai già noti carburanti e-gas ed e-diesel del nuovo e-benzin, benzina alternativa non derivata dal petrolio e la cui sperimentazione è stata avviata in collaborazione con la Global Bioenergies di Leuna. Perché puntare su questa nuova soluzione? Perché è un carburante sintetico puro con un potere antidetonante che non sembra reggere paragone con altri prodotti simili. Il nuovo carburante viene ricavato dalle biomasse attraverso due fasi: Global Bioenergies produce prima isobutene gassoso e quindi il centro Fraunhofer trasforma l'isobutene in isoottano con l'aggiunta di idrogeno.
A conti fatti, oltre all'e-benzin, ci sono il metano sintetico e-gas, adesso impiegato per l'alimentazione della lineup g-tron A3, A4 e A5, e il gasolio di sintesi e-diesel prodotto dall'impiego di acqua, anidride carbonica ed elettricità, a testimoniare la svolta di Ingolstadt. Dal punto di vista tecnico, siamo davanti a isoottano liquido, di cui sono stati prodotti 60 litri. Per via dell'assenza di zolfo e benzolo, la combustione dell'isoottano produce una quantità bassa di sostanze nocive. Gli ingegneri della casa automobilistica tedesca stanno ora cercando di misurare le performance del carburante ottenuto da fonti rinnovabili a bordo di un'auto alimentata con un motore tradizionale, così da verificarne le caratteristiche di combustione e le emissioni.
Il potere antidetonante, rende noto Audi, è la chiave per la realizzazione di motori con un più elevato rapporto di compressione, per ottenere risultati di efficienza via via superiori. A medio termine, le società partner del progetto studiano l'affinamento del processo di produzione, così da renderlo indipendente dalle biomasse. In particolare come sostanze-base saranno sufficienti anidride carbonica e idrogeno realizzato con il metodo rigenerativo.
Il nuovo e-benzin mette in mostra anche altri vantaggi. Simamo infatti davanti a un prodotto indipendente dal petrolio, compatibile con le infrastrutture esistenti e offre la prospettiva di un ciclo del carbonio chiuso. Il nuovo carburante - come ci tiene a far sapere Reiner Mangold, direttore dello sviluppo prodotti sostenibili di Audi AG è isoottano liquido ed è ricavato dalle biomasse attraverso due fasi. Nella prima, la Global Bioenergies produce isobutene gassoso (C4H8). Nella seconda, il centro Fraunhofer per i processi chimico-biotecnologici (CBP) di Leuna trasforma l'isobutene in isoottano (C8H18) mediante l'aggiunta d'idrogeno. Grazie all'assenza di zolfo e benzolo, la combustione produce una quantità particolarmente bassa di sostanze nocive.
E' complicato dire quale sarà il futuro delle auto. Ad intuzione molti risponderanno auto elettriche o ad idrogeno, ma gli sperti sono piuttosto divisi, e per le auto elettriche rimane il problema sempre dell'inquinamento, seppur minore. E allora, ecco chi ha pensato ad una ulteriore via di sviluppo ed ecco il biometano. E non lo ha fatto una marca qualasiasi ma la Volkswagen.
Occorre precisare da subito che gli unici che al momento possono utilizzare le Volkswagen a biometano sono i dipendenti della S.e.s.a, una impresa di Este, in provincia di Padova, dove abbiamo potuto fare questa prova sui modelli Polo e Golf Tgi che al momento vanno a metano e che in equesta realtà che produce biometano, funzionano anche con questo combustibile che deriva dal riciclod ei rifiuti umidi provenienti della cucina.
Dunque, il biometano non si può trovare ancora al distributore, in quanto non è permesso dalla legge, ma ci sta muovendo per poterlo fare arrivare anche perchè i vantaggi sono davvero tanti.
In primo luogo queste auto diventerebbe i veicoli meno inquinanti in assoluto, più ancora delle auto elettriche e non ci sarabbe nessun problema degli scarti.
Il costo dei rifornimento sarebbe assolutamente basso con un costo dimezzato all'incirca come rapporto benzina o diesel e chilometri percorsi. E ancora, da sottolineare, per il funzionamento delle auto a metano con il biometano non si dovrebbe fare nessuno cambiamento tecnico.
Il biometano viene relizzto grazie alla rccolta differenziata, con 70 Kg di scarti di cucina si possono produrre 4 Kg di metano con i quali si fanno circa 100 Km.
Il costo, se ci fosse una rete di distribuzone capillare dovrebbe essere di menod i 1 euro.
Tutto vero: Panda Natural Power è in grado di percorrere migliaia di chilometri in totale tranquillità e senza effetti collaterali sul motore. La prima prova è stato il controllo delle emissioni allo scarico sul banco a rulli. La seconda la verifica delle prestazioni del motore. E in entrambi i casi i tecnici Fca hanno acceso il semaforo verde. A rivelare il nuovo record raggiunto dall'auto ecologica alimentata con biometano dal ciclo idrico ricavato è la sperimentazione in corso. Il tempo gioca tutto dalla parte della speciale Fiat Panda perché ormai trascorso un anno dall'avvio dei test e le prospettive - nel caso di conferma delle premesse - non possono che essere brillanti. Stiamo infatti parlando di un'auto che fa del biocombustibile che si ottiene dall'acqua di scarto, dagli scarti di biomasse di origine agricola o dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani della raccolta differenziata la sua linfa vitale.
Di conseguenza l'impatto per l'ambiente sarebbe straordinariamente basso. Fiat Panda viaggia allora alimentata solo con biometano prodotto dall'impianto per la depurazione delle acque reflue del Gruppo CAP a Bresso-Niguarda, Milano. I suo tour prosegue senza soste, considerando che esattamente un anno fa, è partita dal Mirafiori Motor Village di Torino per il lancio del progetto a cui prende parte anche LifeGate, il network italiano per lo sviluppo sostenibile. Interessante notare come il rifornimento avvenga grazie al gas prodotto dal depuratore di Bresso-Niguarda che raccoglie le acque reflue dei Comuni di Paderno Dugnano, Cormano, Cusano Milanino e Cinisello Balsamo, per il coinvolgimento di quasi 300.000 persone.
Sono i tecnici di Fca a voler far sapere come i vantaggi del metano ricavato da fonti rinnovabili siano numerosi e reali, anche oltre Panda Natural Power. In prima battuta stiamo parlando di una fonte pressoché inesauribile e capace di garantire livelli di emissioni inquinanti e di gas serra allo scarico contenuti e di certo non paragonabili a quelli delle auto che vediamo tutti i giorni transitare sulle strade. In seconda battuta, alla luce del ciclo di produzione e dell'utilizzo del carburante, il suo impatto sull'ambiente è paragonabile a quello delle auto elettriche alimentate con energia rinnovabile. Il ricorso al biometano non richiede cambiamenti e alle auto alimentate a metano o alla rete di distribuzione. Facile allora intuire come possa migliorare le prestazioni ambientali di tutto il parco circolante e non solo dei nuovi veicoli.
Infine, ma non da ultimo, il successo del progetto Panda Natural Power permette di ridurre la dipendenza dal petrolio, crea occupazione nella filiera nazionale, contribuisce alla sostenibilità economica di aziende agricole e allevamenti, facilita il riutilizzo efficiente dei rifiuti e, se ottenuto da reflui fognari - fanno ancora notare dalle parti di Fca - consente una riduzione della tassa rifiuti locale.
Diesel si, diesel no. Questo è l’amletico dubbio che ha preso il centro del dibattito su un argomento che crea fazioni opposte le cui posizioni difficilmente risultano conciliabili. Per questo motivo, la tentazione di mettere in campo una lotta ai motori diesel, ritenuto troppo inquinanti perfino dalla Ue, potrebbe essere mitigata da altre posizioni che dicono, in sostanza, che non bisogna demonizzarlo.
Se ne è discusso ampiamente proprio nel momento in cui la maggior parte dei centri urbani delle maggiori metropoli europee sono in procinto di essere interessati da provvedimenti che vietano il transito ai veicoli con motore diesel nello spazio di qualche anno. A Ginevra, durante lo svolgimento del tradizionale Salone Internazionale dell’Auto le principali case automobilistiche mondiali hanno però stigmatizzato una campagna di vera e propria demonizzazione. Vediamo come stanno realmente le cose.
La lotta al diesel si è accentuata negli ultimi tempi. Tanto che, anche in Italia, le due città più importanti, Milano e Roma, si sono accodate alla tendenza di chiudere i propri centri urbani al traffico dei veicoli con motore diesel. Scelta giusta? Il dibattito si è subito allargato tra quelli che ritengono inevitabile la diffusione di provvedimenti del genere e quelli, soprattutto dirigenti delle maggiori case automobilistiche mondiali, che hanno tracciato un quadro meno manicheo. È vero che i diesel possono essere motori molto inquinanti, ma bisogna valutare a quale categoria appartengono. Gli Euro 3 e gli Euro 4, più vecchi da questo punto di vista davvero possono essere un problema. Gli Euro 6 già producono meno anidride carbonica nell’atmosfera rispetto a un motore benzina di uguale cilindrata. E sono in atto gli step di aggiornamento che li trasformeranno in Euro 7.
Sul fatto che il diesel non sia poi così nefasto per l’inquinamento e che quindi non bisogna demonizzarlo, convergono dunque le maggiori case produttrici di livello mondiale. L’emergenza, a quanto pare, consiste, almeno in Italia, nella necessità di procedere a una sostituzione del parco auto più vecchio e quindi è più inquinante oltre a fornire minori garanzie di sicurezza. Si tratta di milioni di autovetture che dovrebbero essere interessate da provvedimenti di rottamazione, ad esempio, ovvero di incentivi ai proprietari per dar loro la possibilità di sostituire il vecchio veicolo con motore diesel inquinante, con modelli nuovi.
La mobilità a zero emissioni, e questo è un dato di fatto, è ancora roba per pochi e per le auto di piccola cilindrate. Il diesel, ovviamente le sue versioni più recenti, rappresenta ancora oggi il modo più efficace per abbattere le emissioni nocive per l’ambiente. Quindi è la soluzione più efficace in termini di consumi e inquinamento in particolare per le auto di grosse cilindrate e per i mezzi di trasporto merci. Parlare di mobilità green sarà quindi inutile, o perlomeno prematuro, fino a quando l’Italia non si doterà a sufficienza delle infrastrutture necessarie a sostenerla. Compreso l’impegno concreto, da parte delle istituzioni, a mettere in campo politiche coerenti ed efficaci.
Basta fin da subito, stop totale alle auto diesel e benzina nonchè gasolio e solo auto ibride puntando anche sulle auto elettriche. E' la decisione drastica di Toyota, che non è l'unica a copitere passi in questa direzione, grandi passi. E finalmente c'è fermento anche in Italia con incentivi, ma anche la prima auto elettrica che si potrà davvero provare e acquistare nei concessionari italiani.
Un altro grande produttore dice addio ai motori diesel e decide di puntare solo sulle soluzioni ecologiche. La mossa di Toyota di scommettere solo sulle auto elettriche sulle ibride stupisce solo fino a un certo punto perché si tratta di una tendenza sempre più diffusa tra le case automobilistiche. E poi, la stessa Toyota aveva già lanciato la gamma Prius con l'Aygo e la C-HR e di conseguenza si tratta solo di un arricchimento del ventaglio delle offerte. Stiamo parlando di un gruppo che in questo segmento di mercato fa la voce da padrone, considerando che il 43% dei veicoli elettrici e ibridi nel mondo porta il suo marchio. Se le ragioni ambientaliste e di contenimento delle emissioni nella scia del piano Environmental Challenge 2050 sono quelle prevalenti nella decisione di dire addio al diesel, è pur vero che il volume di vendite di veicoli alimentati a gasolio si è ridotto.
Che questo sia un mercato in crescita anche in Italia è dimostrato è dai numeri dell'ibrido: +71% di vendite nell'anno appena concluso rispetto a quello precedente. Sono 180.000 le auto ibride di Toyota e Lexus piazzate nel nostro Paese. L'obiettivo dichiarato pubblicata da Toyota è di vendere oltre 5,5 milioni di vetture elettrificate l'anno entro il 2030. E tra questi un milione di veicoli a zero emissioni. Per farlo lancia nelle concessionarie sin da questo mese di gennaio le varianti elettriche delle popolari Auris, Rav4 e Yaris. Continuano poi a essere acquistabili le versioni diesel di veicoli commerciali e fuoristrada ovvero i modelli Hilux, Land Cruiser, Proace e Proace Verso. I riflettori sono puntati anche e soprattutto sulla Prius, l'auto elettrica più venduta.
C'è poi il precendente dell'annuncio di voler fondare una nuova azienda, insieme a Mazda e alla Denso Corporation, responsabile dello sviluppo di nuove tecnologie per le automobili ibride ed elettriche. Si tratta di un passaggio di grande rilievo perché apre nuove prospettive di miglioramento del mercato, nel contesto dell'aumento dell'autonomia della vetture ovvero delle batterie e dell'immagazzinamento dell'energia. Seigo Kuzumaki, numero uno della ricerca e sviluppo di Toyota ha stimato che entro il 2050 i motori a combustione saranno fuori dal mercato per via delle norme sulla riduzione delle emissioni. E il produttore giapponese non vuole evidentemente farsi cogliere in contropiede.
Le strategie di Volkswagen per rimanere sempre ai massimi livelli spiegate dalla stessa società. Un grande programma sulle auto elettriche, ma da subito diesel e benzina ripuliti e non soltanto
Per il dopo scandalo del DieselGate Volkswagen spiega la sua strategia che passa certamente dall'elettrico che avrà un ruolo fondamentale come spiegato sotto, ma passerà prima del diesel ripulito con gli stretti parametri rivisti dall'Ue e dagli Usa per arrivare all'ibrido e al metano anche per le auto più piccole senza dimenticare i combustibi8li alternativi, come anche l'idrogeno.
Tutti i canali sono lasciati aperti per capire che direzione prenderà il mercato ed esserne subito protagonisti. E le iniziative degli ingegneri avranno come obiettivo di riuscire a creare piattafrome tecniche diffenti convergenti per diminuire i costi.
Tredici anni. Questo è il tempo necessario per assistere alla rivoluzione. Almeno stando a quello che si sta muovendo in casa Volkswagen. Archiviato non senza difficoltà il cosiddetto ‘dieselgate’ la casa automobilistica tedesca infatti sta seriamente investendo in un mercato destinato a diventare il nuovo eldorado del prossimo futuro. Le auto elettriche, infatti, sembrano ormai pronte a fare il loro prepotente ingresso nei mercati globali e non più vestendo i panni di un oggetto misterioso da trattare con curiosità e quel pizzico di sfiducia che si riserva sempre alle novità prima che sappiano dimostrare il loro valore. Il loro sviluppo procede da decenni, tanto che il primo veicolo elettrico di Volkswagen arrivato sul mercato risale addirittura al 1972. Il T2 Elektro-Tranporter è stato la base di partenza da cui il gruppo tedesco ha iniziato a sviluppare le proprie tecnologie di propulsione elettrica.
Tanto per capire quali sono stati i passi in avanti compiuti fino ad oggi basti pensare che il nuovo modello e-Golf offre trecento chilometri di autonomia e una velocità massima di centocinquanta chilometri all’ora. La rivoluzione green ormai è pronta a far sentire i propri effetti in tutto il mondo e l’obiettivo è quello di realizzarla entro 13 anni. Cioè domani per l’appunto. Una rivoluzione che non potrà che cambiare il mondo, riuscendo magari a contribuire anche a un miglioramento delle condizioni ambientali e di conseguenza anche delle condizioni di vita dell’uomo e delle altre specie viventi.
Alla base del concetto che lega la Volkswagen allo sviluppo delle auto elettriche c’ la voglia di stupire. La nuova gamma verrà immessa sul mercato a partire dal 2020, secondo la road map della casa automobilistica, sarà composta da tre modelli. I.D. avrà una potenza di 170 cv e un'autonomia dai 400 ai 600 Km. Poi sarà il momento di I.D. Buzz con un'autonomia fino a seicento chilometri e una potenza di ben 374 cv. Infine I.D. Crozz, primo SUV elettrico della casa tedesca, questo con un'autonomia fino a 500 km e e 306 cv. Insomma, all'appello manca solo un'utilitaria, ma solo perché è già disponibile oggi, visto che la UP a propulsione elettrica è già sul mercato.
Entro 13 anni, dunque, potrebbe cambiare il mondo e sono molti ad auspicare che la rivoluzione green delle auto elettriche possa finalmente cambiare il mondo. In meglio, ovviamente. Il 2025 sarà un anno fondamentale per il gruppo tedesco, perché proprio quell'anno vedrà l'arrivo dei primi modelli con guida totalmente autonoma, mentre le stime di vendita dovrebbero assestarsi sul milione di unità elettriche all'anno. Investimenti importanti che si aggirano intorno ai venti miliardi di euro testimoniano la reale volontà del colosso dell’auto tedesco di fare sul serio. Il programma di investimenti ha un orizzonte che arriva al 2030 quando la rivoluzione dovrebbe essere compiuta.
In tutto questo, ruolo fondamentale lo avranno anche le stazioni di ricarica, ecco perché il gruppo tedesco sta puntando forte anche in questo settore parallelo, stringendo partnership strategiche con i fornitori di energia elettrica e anche con i concorrenti, tra cui Nissan, Ford, Renault e BMW, per creare una rete sempre più capillare in Europa. In Italia arriveranno circa duecento venti nuovi posti dove fare la ricarica. Tra gli altri traguardi che rientrano in questo processo che ormai è irreversibile, c’è anche quello di abbattere i tempi di ricarica fino ridurli al tempo necessario per fare un normale rifornimento alla classica pompa di benzina come avviene oggi.
Arriva come un fulmine a ciel sereno entrando prepotentemente nel dibattito green che sta immaginando un’economia capace di reggersi sul concetto di sostenibilità ambientale. La notizia, divulgata proprio in questi giorni a proposito della volontà di vietare la circolazione e la messa in commercio dei veicoli con motore a diesel, riguarda un possibile impatto ancora più negativo sull’ambiente di quella che invece doveva rappresentare la scommessa vincente nella lotta all’inquinamento.
Stiamo parlando dell’auto elettrica che addirittura sarebbe più inquinante del diesel. Questa almeno è la tesi sostenuta dallo studio “Comparative Environmental Life Cycle Assessment of Conventional and Electric Vehicles” e pubblicato sul Journal of Industrial Ecology. Uno studio che ha restituito voce ai sostenitori del diesel. O almeno a quelli che sono convinti che il diesel sia stato sottoposto a una sorta di demonizzazione a tutto vantaggio dell’elettrico, idealizzato come la panacea di tutti i mali.
Dunque, a quanto pare, anche l’auto elettrica inquina. O meglio, non è detto che rappresenti quella svolta green da tanti invocata in questi ultimi anni soprattutto. Anche perché bisogna valutare se si tratta di energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili (in questo caso effettivamente c’è un fattore green) oppure no. Ad incidere sull’inquinamento atmosferico, infatti, non sono solo le emissioni dei motori a diesel. Ma sono tanti gli aspetti che contribuiscono a rendere, soprattutto in alcune città e in alcune zone particolari, l’aria irrespirabile. Come per esempio le polveri rilasciate dai freni e dal consumo dei pneumatici sull'asfalto. Addirittura secondo alcuni il motore diesel è ancora il miglior motore termico sia dal punto di vista della riduzione dei gas con effetto serra, con emissioni di CO2 inferiori del 25 - 30% rispetto ai benzina, sia dei danni alle persone per emissioni di particolato che di altri gas velenosi rilasciati dallo scarico. E, dato da non trascurare, emettano meno PM10 nel funzionamento rispetto a quelle elettriche.
Una delle principali conseguenze di questo studio che dimostra che l’auto elettrica inquina più del diesel è il declino di quella certezza, quasi dogmatica a questo punto, che l’auto elettrica possa assumere quel ruolo di risposta più efficace all’inquinamento atmosferico, che tanti avevano cullato. E che probabilmente, ha anche in qualche modo fuorviato il dibattito sulla questione della sostenibilità green del traporto veicolare. Lo studio “Comparative Environmental Life Cycle Assessment of Conventional and Electric Vehicles” pubblicato sul Journal of Industrial Ecology dimostra, infatti, che questa sostenibilità i motori elettrici non la possono sbandierare in maniera inequivocabile. Ma sono tante le variabili da valutare per confrontarle con i propulsori diesel. Forse troppe. Calcolando l'equivalente della CO2 emessa nell'intero ciclo di funzionamento dei veicoli, comprendendo sia la fabbricazione degli stessi che la produzione dell'energia con cui vengono fatti funzionare, si scopre che tutti i livelli di emissioni delle auto elettriche sono molto più alti rispetto ai diesel e ai benzina. Solo con l'arrivo delle rinnovabili totali le cose potranno cambiare. E solo con auto elettriche meno costose da produrre queste emissioni complessive potranno calare.
Che il diesel stia attraversando la sua fase più difficile è davanti agli occhi di tutti. E allo stesso tempo, mai come in questo periodo si fa un gran parlare delle auto elettriche e delle opportunità per gli utenti. Tuttavia è evidente come questo segmento di mercato non sia ancora decollato e, anzi, procede ancora piuttosto a rilento.
Sarà perché non è stata ancora inaugurata una grande stagione di incentivi all'acquisto o per il timore di una percorrenza a scartamento ridotto per via della scarsa durata, ma le vendite sono inferiori rispetto alle aspettative iniziali. Anche se è pur vero che produttori si stanno orientando verso auto più sostenibili, come quelle alimentate a fuel cell, a gas, ibride, a gpl o metano.
Addirittura un colosso come Fca sta lanciando segnali di addio al diesel per i veicoli non commerciali e ha annunciato lo stop della produzione a partire dal 2022. Eppure si procede a rilento. Ma non occorre meravigliarsi più di tanto perché i motivi sono chiari: gli investimenti per lo sviluppo di un'infrastruttura per la ricarica delle auto elettriche sono ancora troppo alti. A incidere maggiormente nell'inquinamento delle città sono le auto commerciale prima ancora che quelle a uso privato. I centri di produzione delle batterie dei veicoli elettrici sono all'estero.
Se ne è discusso ampiamente proprio nel momento in cui la maggior parte dei centri urbani delle maggiori metropoli europee sono in procinto di essere interessati da provvedimenti che vietano il transito ai veicoli con motore diesel nello spazio di qualche anno. A Ginevra, durante lo svolgimento del tradizionale Salone Internazionale dell’Auto le principali case automobilistiche mondiali hanno però stigmatizzato una campagna di vera e propria demonizzazione. Vediamo come stanno realmente le cose.
La lotta al diesel si è accentuata negli ultimi tempi. Tanto che, anche in Italia, le due città più importanti, Milano e Roma, si sono accodate alla tendenza di chiudere i propri centri urbani al traffico dei veicoli con motore diesel. Scelta giusta? Il dibattito si è subito allargato tra quelli che ritengono inevitabile la diffusione di provvedimenti del genere e quelli, soprattutto dirigenti delle maggiori case automobilistiche mondiali, che hanno tracciato un quadro meno manicheo. È vero che i diesel possono essere motori molto inquinanti, ma bisogna valutare a quale categoria appartengono. Gli Euro 3 e gli Euro 4, più vecchi da questo punto di vista davvero possono essere un problema. Gli Euro 6 già producono meno anidride carbonica nell’atmosfera rispetto a un motore benzina di uguale cilindrata. E sono in atto gli step di aggiornamento che li trasformeranno in Euro 7.
Sul fatto che il diesel non sia poi così nefasto per l’inquinamento e che quindi non bisogna demonizzarlo, convergono dunque le maggiori case produttrici di livello mondiale. L’emergenza, a quanto pare, consiste, almeno in Italia, nella necessità di procedere a una sostituzione del parco auto più vecchio e quindi è più inquinante oltre a fornire minori garanzie di sicurezza. Si tratta di milioni di autovetture che dovrebbero essere interessate da provvedimenti di rottamazione, ad esempio, ovvero di incentivi ai proprietari per dar loro la possibilità di sostituire il vecchio veicolo con motore diesel inquinante, con modelli nuovi.
La mobilità a zero emissioni, e questo è un dato di fatto, è ancora roba per pochi e per le auto di piccola cilindrate. Il diesel, ovviamente le sue versioni più recenti, rappresenta ancora oggi il modo più efficace per abbattere le emissioni nocive per l’ambiente. Quindi è la soluzione più efficace in termini di consumi e inquinamento in particolare per le auto di grosse cilindrate e per i mezzi di trasporto merci. Parlare di mobilità green sarà quindi inutile, o perlomeno prematuro, fino a quando l’Italia non si doterà a sufficienza delle infrastrutture necessarie a sostenerla. Compreso l’impegno concreto, da parte delle istituzioni, a mettere in campo politiche coerenti ed efficaci.
Una recente ricerca della Morgan Stanley indica proprio l'assenza di colonnine per la ricarica una delle ragioni della scarsa diffusione di auto elettriche. Sul piatto delle bilancia, un peso minore sembra avere l'evidenza che le auto elettriche non hanno bisogno di cambi d'olio o di altre manutenzioni tipiche dei motori meccanici come la sostituzione di filtri dell'aria, dell'olio e del combustibile, quindi i costi di manutenzione sono inferiori. Eppure, stando alle norme attuali, la ricarica delle auto elettriche si potrà fare entro il 2020 non solo attraverso le colonnine pubbliche installate dai Comuni, ma anche presso le stazioni di servizio tradizionali.
Secondo la nuove regole, nel caso di autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti di distribuzione carburanti e di ristrutturazione totale degli impianti di distribuzione carburanti esistenti, le Regioni prevedono l'obbligo di dotarsi di infrastrutture di ricarica elettrica di potenza elevata. Di più: la ricarica all'auto elettrica si potrà fare anche in autostrada. Il decreto prevede infatti che i concessionari presentino entro il 31 dicembre 2018 un piano di diffusione dei servizi di ricarica elettrica. Le stazioni di ricarica veloci autostradali dovranno essere posizionate a non più di 50 chilometri sullo stesso asse viario, mentre per strade urbane ed extraurbane la distanza massima sarà di 20 chilometri. Infine, altre disposizioni riguardano il pagamento, che dovrà essere possibile con carta di credito, e il prezzo dell'energia erogata, che dovrà essere ragionevole, facilmente e chiaramente comparabili, trasparente e non discriminatorio.
Il motore elettrico presente nelle autovetture di questo tipo ha delle rese superiori rispetto al motore termico. Nel caso in cui l'energia elettrica da immettere nel sistema di accumulo è generata da fonti rinnovabili il risultato finale sotto l'aspetto energetico è a vantaggio dei sistemi ad autotrazione elettrica. Nel caso in cui la generazione elettrica è da fonte rinnovabile si può parlare di assenza di emissioni in atmosfera per quanto riguarda la combustione, mentre possono comunque esistere polveri sottili generate dall'usura delle gomme e dell'asfalto e in parte dal sistema di frenata. Lo scarso livello di rumore dei veicoli elettrici migliora le condizioni di inquinamento acustico ed evita la realizzazione di barriere fonoassorbenti.
In italia al momento vi è il progetto di Enel di Evo+ che prevede di inserire nei prossimi 3 anni colonnine extraurbane in tutta Italia, circa 180, mentre 20 in Austria. E le prossime due sono state annunciate anche a Siracusa in piazza D'adda, menre le precedenti trenta sono state inserite nei distributori tra Milano e Roma per permettere di fare questo tragitto e viceversa con l'auto elettrica.
A livello Europeo, è stato, invece, siglato un accordo per delle colonnine di ricarica super veloci tra Volkswagen, Daimler, Bmw, Ford chiamato progetto Ionity che in 20 zone principali del continente per permettere tragitti lunghi collocherà 400 colonnine probabilmente tra i 120-150 Km di distanza. Si incomincierà dalla Germania, e saranno previsti pagamenti con bancomat, carta di credito e cellari per fare tutto in totale autonomia
Dall'altra parte oltre le colonnine di cui bigna migliorare la velocità di ricarica ma soprattutto l'installazione e la diffusione, bisogna agire sull'autonomia della batteria. E Honda ha annunciato un di avere come obbiettivo entro 7 anni di sviluppare un parco di auto elettriche con batterie che funzioneranno per 240 Km con una batteria notevolmente migliorata e una veloce ricarica, la metà dei tempi delle ricariche super veloci attuali, che impiegano ciraca 30-40 minuti. La finalità è arrivare a 15 minuti. E potrebbe esserci un accordo del tutto nuovo con una società ancora al momento sconosciuta per farle che sostituirebbe o andrebbe ad affiancare l'attuale.
Sarà forse perché non tutti sono così convinti che le auto elettriche rappresentino la soluzione ottimale in grado di mixare la riduzione delle impatto ambientale, il contenimento delle spese e le prestazioni su strada, ma ecco che sono già allo studio possibili alternative. A arrivano proprio quando il trend di crescita del segmento elettrico è davanti agli occhi. Siamo ancora lontani, almeno in Italia, dalla possibilità di parlare di boom, ma la rotta è stata già tracciata. Accanto alle auto alimentate elettricamente, iniziano adesso ad affiancarsi quelle a idrogeno. I vantaggi sono di diverso tipo: vengono considerate più amiche dell'ambiente e, dettaglio di primo piano, il combustibile può essere prodotto dai filtri delle sigarette. Stando all'Università di Nottingham, nota in tutto il mondo per la sua vena ecologista, i resti delle bionde sono in grado di produrre celle combustibile a idrogeno.
Insomma, con questa scoperta si raggiungerebbero due obiettivi con una sola operazione: il riciclo di uno dei rifiuti per eccellenza e il suo utilizzo a fini produttivi. A mettere la firma sullo studio che potrebbe aprire prospettive di grande rilievo per le auto a idrogeno, sono stati un professore di Chimica dei Materiali, Robert Mokaya, e uno studente universitario della Scuola di Chimica, Troy Scott Blankenship. Tutto è consultabile sulla rivista accademica Energy and Environmental Science, dalla quale si apprende che la chiave di volta è rappresentata dalla presenza di acetato di cellulosa nei mozzicone di sigaretta. I carboni attivi ottenuti mediante un processo di carbonizzazione e attivazione idrotermale, chiarisce Mokaya, sono molto porosi e hanno una capacità di stoccaggio di idrogeno senza precedenti.
Da un continente all'altro, non cambia il senso delle cose perché all'Università di Los Angeles, in California, c'è chi ha realizzato un supercondensatore a celle solari capace di produrre elettricità e assorbire energia con una cella combustibile a idrogeno. In questo caso, l'utilità di questa scoperta ha una ragione ben precisa: la possibilità di ridurre il prezzo delle auto a idrogeno, sicuramente più alto sia dei mezzi alimentati tradizionalmente a combustione e sia dei veicoli elettrici. Proprio questo è uno degli snodi più delicati che sta frenando le case automobilistiche a puntare con decisione su questa soluzione. Superato questo scoglio potrebbero aprirsi le porte del futuro. Rispetto alle auto elettriche, i mezzi a idrogeno hanno l'asso nella manica della maggiore autonomia su strada. La media è infatti di 312 miglia.
Le idee di Richard Kener, autore dello studio californiano, sono chiare: l'idrogeno è un ottimo carburante per i veicoli e, anzi, è il combustibile più pulito, oltre a essere economico e non inquinante per l'aria. Il suo ragionamento è semplice: le persone necessitano di carburante per far viaggiare i loro veicoli e di elettricità per far funzionare i loro dispositivi. Adesso si può produrre sia carburante che elettricità con un singolo dispositivo. Al di là del versante della mobilità e delle soluzioni più intelligenti, l'idrogeno è un biocombustibile molto ricercato perché, reagendo con l'ossigeno dell'aria è in grado di produrre energia elettrica e calore. In buonissima sostanza, viene considerato il combustibile del futuro e, nel caso di abbattimento dei costi, la sua applicazione potrebbe essere su larga scala per affiancarsi alla graduale ma costante diffusione delle auto elettriche.
Il test su strada è stato effettuato con un viaggio di 190 km da Seul a Pyeongchan utilizzando una flotta di vetture elettriche a celle combustibile. Un’anteprima assoluta a livello mondiale di quello che potrebbe essere un futuro molto, molto prossimo visto che, stando a quanto comunicato dalla casa coreana, i primi modelli potrebbero essere immessi sul mercato già nel 2021.
La Hyundai ha deciso di affrontare i 190 km di autostrada che dividono Seul da Pyeongchan per portare uno spicchio di futuro nel presente. Così si può interpretare la decisione di mettere in strada una flotta composta da cinque prototipi di auto a guida autonoma e ad idrogeno con a bordo cinque ingegneri che hanno svolto con perizia la loro missione di cavie nel test necessario a capire a che punto è lo stato dell’arte. E, a giudicare dai risultati, il futuro è molto più vicino di quello che in generale si è disposti a credere.
Successo testimoniato dalla distanza che già di per sé un record visto che è la prima volta al mondo che vetture con celle a combustibile, riescono a compiere questa impresa marciando a una velocità media di 100-110 km/h. Talmente tanto vicino che l’immissione sul mercato di questi veicoli potrebbe avvenire già nel 2021, perlomeno per quanto concerne il livello 4. Mentre per il quinto e ultimo livello, quello della guida completamente autonoma, la marca sarà pronta entro il 2030.
Ecco allora nello specifico come è andato il test della Hyundai. I veicoli utilizzati per la traversata di 190 chilometri sono tutti appartenenti al “livello 4” di guida autonoma, il penultimo in una scala che arriva fino a cinque. Questo significa che il livello di automazione è molto elevato grazie a sofisticati sensori radar, telecamere, lidar che si intrecciano, per ‘guidare’ correttamente il veicolo alle informazioni che il Gps manda in maniera continuativa.
Questo consente alle auto Hyundai di districarsi senza problemi nel traffico, evitando le altre vetture, eseguendo corretti cambi di corsia, manovre di sorpasso e superando anche l’ostacolo dei caselli autostradali grazie al sistema di pagamento automatico wireless Hi-pass. Inoltre presto dovrebbe essere disponibile anche il “Wellness Care”, ovvero un dispositivo capace di monitorare le condizioni di salute dei passeggeri che occupano i sedili posteriori, perfino il loro umore oltre a tutti i parametri vitali con la possibilità di avvisare, in caso di necessità, gli operatori sanitari. Tra le altre cose verrà installato anche una sorta di karaoke così da permettere ai passeggeri anche di cantare.
E' arrivata a Napoli il 12 Dicembre, dopo aver percorso 1800 chilometri a partire da Bruxelles la Hyundai ix35 Fuel cell dei carabinieri, che prenderà poi ufficialmente servizio nel comune di Bolzano dove vi è al momento l'unico punto di ricarica pubblico. Installato 3 anni fa, rifornisce 11 veicoli, soprattutto autobus, che hanno percorso in totale 1 milione di chilometri senza inquinare. Durante il tragitto il veicolo si è fermato per fare rifornimento in stazioni provvisorie, visto che quella di Bolzano è l'unica in Italia.
In occasione dell' European fuel cell conference, H2IT ha organizzato un viaggio dimostrativo con una Hyundai ix35 Fuel Cell da Bruxelles a Napoli: 1800 chilometri passando per la prima stazione di rifornimento ad idrogeno installata a Bolzano.
Il viaggio ha toccato anche Firenze e la capitale, il tutto utilizzando come unico combustile il pulitissimo idrogeno. Non si tratta del primo modello di auto ad idrogeno in circolazione in Italia. Infatti a Bolzano ne girano 11, soprattutto mezzi pubblici e presto ne ariverrano altri.
L'auto elettrica potrà salvare il pianeta? E' una domanda che in molti si stanno facendo e le recenti discussioni vertono proprio su questo. La conclusione su cui paiono essere concordi la maggiorparte degli studiosi e degli esperti del settore è che tutto dipende da dove proviene lenergie elettrica prodotta. Sa da idrocarburi, tutto rimane uguale, se da fonti rinovabili e pulite come nel caso della Norvegia (dove accade per il 98%), la svolta è assicurata.
Oltre che a livello di svolta, a livello di produzione di energia elettrica, molto dipende anche dalle batterie che verranno utilizzate e dai miglioramenti delle varie auto prodotte per la gestione dell'energia elettrica, la ricarica e l'autonomia. Facciamo una panoramia di alcuni modelli(tra l'auo elettrica d enegia solare Sion), anche tra i più innovati e e su questi aspetti e cosa sta accadendo in Italia.
Il passo successivo alle auto elettriche? Semplice: le auto elettriche solari. Si tratta di una grande rivoluzione - ancora da testare fino in fondo - ma che dimostra come il comparto sia in continua evoluzione, la mobilità sostenibile è quella del futuro, se non del presente, e che i problemi di durata della batteria possono essere sapientemente aggirati. In fin dei conti, al di là del settore della mobilità, sono tante le applicazioni dell'energia solare.
Punto di distinzione dell'auto elettrica solare Sion è allora la capacità di alimentarsi con l'energia del sole. Il produttore assicura un'autonomia di percorrenza di 250 chilometri grazie alla presenza di celle solari integrate che convertono l'energia solare in energia elettrica. Insomma, nulla di diverso rispetto ad altre applicazioni. Il costo? Quello di listino è di 16.000 euro. Inizia allora una nuova era per la mobilità sostenibile?