Sei nuove banche nel mirino dei controlli della Bce: cosa fare per scegliere investimenti senza alcun rischio. I consigli per i correntisti
Dopo i recenti casi delle quattro banche Etruria, Marche, Chieti e Ferrara, i cui risparmiatori hanno perso i loro soldi in conseguenza di un decreto del governo, il tanto contestato decreto sulle banche popolari (Banco Popolare, UBI, BPER, BPM, Pop. Vicenza, Veneto Banca, Pop. Sondrio, Pop. Etruria, Credito Valtellinese e Popolare di Bari), dal primo gennaio 2016 sono cambiate le norme di gestione di crisi degli istituti bancari. Secondo quanto previsto attualmente, infatti, l’eventuale crisi di una banca si risolverà con il bail-in, meccanismo che prevederà il salvataggio dell’istituto di credito non più con i soldi pubblici dello Stato o delle banche centrali ma attraverso la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti, come quelli dei correntisti che hanno risparmi superiori ai 100mila euro, o la loro conversione in azioni, per ricapitalizzare la banca e risolvere la crisi.
Al momento le banche più sicure anche come indici sono sicuramente Ubi, MedioBanca, Credeme banco Popolare di Sondrio, e Banca Intesa. Si tratta di istituti che ufficialmente hanno comunicato di non aver ricevuto nessuna notifica dalla Bce al contrario di altre banche che hanno ricevuto richieste per maggiori delucidazioni sul rischio. Sei, in particolare, gli istituti di credito coinvolti: Carige, MPS (Monte dei Paschi di Siena), Unicredit, Banca Popolare, Bpm e Unicredit. Considerando poi Fissando la soglia del 20% come possesso di crediti deteriorati da non possedere in portafogli, è emerso che una banca cooperativa su dieci è in difficoltà.
Lungo l’elenco degli istituti in difficoltà secondo il Sole 24 Ore, da Cassa rurale e artigiana di Camerano (37,9%), Banca di Teramo (2,9%), alla Cassa rurale di Pinzolo (26,3%), Cassa rurale di Mori (26,2%), Banca di Pistoia (25,7%), Bcc Agrobresciano (25,6%), Bcc di Recanati (25,5%), Cassa rurale di Levico Termine (25%), Cassa rurale Brentonico (24,5%), Banco Sviluppo coop. Credito (23,9%), Cassa rurale di Pergine (23,5%), Bcc del Vibonese (23,5%), Bcc di Paceco (23,4%), Bcc di Ghisalba (22,9%), Bcc Toniolo San Cataldo (22,6%), Cassa rurale Pinetana (22,5%), Banca Don Rizzo – Bcc Sicilia occ. (22,3%), Cassa rurale Rovereto (22,2%).
Del lungo elenco fanno parte anche Banca di Rimini credito Cooperativo e Bcc Comuni cilentani (21,9%), Cassa rurale di Aldeno e Cadine e Bcc Sila Piccola (21,8%), Bcc Area Pratese e Cassa rurale Caldonazzo (21,7%), Bcc Verbicaro (21,3%), Bcc Picena (21,1%), Bcc Gatteo (20,9%), Bcc del Nisseno (20,8%), Bcc di Scafati e Cetara (20,8%), Bcc Colli Morenici del Garda e Banca di Anagni (20,7%), Credito cooperativo Interprovinciale Veneto e Bcc Masiano (20,6%), Bcc Falconara Marittima, Credito coop. Centro Calabria (20,5%), Bcc di Caltanissetta (20,3%), Bcc del Lamentino (20,2%).
Secondo Bankitalia, per sapere se una banca è sicura e i correntisti non corrono alcun rischio, la clientela deve innanzitutto sapere che potrebbe dover contribuire al risanamento di una banca anche nel caso in cui investa in strumenti finanziari diversi dalle azioni. Sarà quindi necessario assicurarsi che ogni istituto abbia messo a punto un proprio piano di risanamento, per determinare cosa fare in caso di forte crisi e la vigilanza della Bce e della Banca d’Italia dovrebbe evitare il sorgere di questi problemi. Se, però, la crisi risultasse inevitabile, eccoil bail in, forma di salvataggio interno che prevede che a risanare i conti della banca in crisi siano, innanzitutto, gli azionisti della banca che detengono il capitale più rischioso; quindi i soggetti in possesso di strumenti finanziari diversi, emessi dall’istituto di credito; e coloro che detengono i titoli assimilati ad azioni (come le obbligazioni convertibili), i bond senza garanzia e, infine, i depositi al di sopra dei 100mila euro.