Embraco di Riva di Chieri, due progetti per salvare e rilanciare

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Embraco di Riva di Chieri, due progetti

I nomi delle aziende sono ancora top secret e saranno rivelati solo il 15 maggio, in occasione dell'incontro al Ministero dello Sviluppo Economico.

E se la svolta fosse dietro l'angolo? L'auspicio è dei lavoratori Embraco e dei sindacati che li rappresentano: due aziende sarebbero infatti pronte per il rilancio della fabbrica di Riva di Chieri. La prudenza è necessaria poiché i potenziali acquirenti non hanno ancora espresso fino in fondo le loro intenzioni, ma stando a quanto trapela, una società sino-israeliana potrebbe mettere in salvo 350 dei 497 posti di lavoro in bilico mentre la torinese Astelav altri 40. Poi inizierebbe una nuova storia tutta da scrivere. Più esattamente, la prima potrebbe produrre filtri per l'acqua e robot per la pulizia automatica dei pannelli fotovoltaici mentre la seconda è specializzata nella rigenerazione di elettrodomestici usati.

I nomi rivelati il 15 maggio

I nomi sono ancora top secret e saranno rivelati solo il 15 maggio, in occasione dell'incontro al Ministero dello Sviluppo Economico. Siamo comunque alle fasi preliminari di questi ulteriori sviluppi perché le organizzazioni sindacali non hanno ancora incontrato i due nuovi possibili acquirenti che, come è naturale che sia, ha per ora preso contatti con i soli vertici Embraco. Il tutto ricordando che Ministero dello Sviluppo Economico ed Embraco hanno avviato la ricerca di soggetti interessati a reindustrializzare lo stabilimento piemontese. Complessivamente sono stati proposti nove progetti alla società brasiliana, pronta a passare in mano giapponese, e la scrematura ha portato al mantenimento dei due considerati più affidabili.

A oggi, se 60 lavoratori hanno lasciato l'azienda accettando la buonuscita, altri 497 sono sulla via del licenziamento a partire dal 2019 per via dello stop alla produzione di compressori per frigoriferi. A detta dei rappresentanti dei lavoratori, la fase è stringente e l'auspicio è che il 15 maggio si metta la parola fine a questa vicenda. Promettono comunque battaglia perché sentono di avere il dovere di accompagnare tutto il percorso dei lavoratori Embraco, che si sono adoperati per salvare la loro azienda e i posti di lavoro.

Un caso esemplare

La storia dell'Embraco è esemplare di una situazione italiana tutta particolare che, però, purtroppo nel nostro Paese è un costante, senza dimenticare i tanti casi dove sono successi e accadono tuttora problemi di licenziamento e simili e  che, assai, poco arrivano alla ribalta delle cronache. Cerchiamo di capire coem stanno le cose con una serie di testimonianze.

Giovanni Mancuso è stao assunto in Embraco nel 1995 a 20 anni e ha lavorato e tuttora lavora come tecnico specializzato nella linee che producono processori per i frigoriferi. L'impresa procede bene e arriva ad avere 2mila e oltre dipendenti (oggi ve ne sono solo 500). A metà degli anni novanta, lui e altri colleghi vengono inviti in Slovacchia per insegnare agli operai e tecnici di quella nazione come lavorare. E quegli stessi, racconta Giovanni, li avvertivano che avrebebro chiuso in Italia, per dare solo il lavoro in Slovacchia e si chiedevano perchè veissero prprio loro ad insegnare il mestiere.

Nel 2004 arrivano il nuovo piano di industrializzazione e i volumi diventano circa la metà. Molti si licenziano o sono costretti a farlo, come ha scelto la stessa moglie di Giovanni che ora ha un altro ipiego e lo stesso Giovanni si dice contento. Una decisione presa da tantissimi, tanto che in Emarco rimangono solo in 800. 
Embraco Italia ora sta per chiudere, mentre, come si potrà leggere sotto da un altro racconto raccolto in Slovacchia le cose paiono andare a gonfie vele.

E nel frattempo, appunto di croncaca, i sindacati hanno da poco lasciati i tavoli e la trattativa appare arenata. Speriamo sia solo sospesa.

E in Slovacchia nuove assunzioni e crescono gli stipendi

Come volevasi dimostrare, verrebbe da dire. Perché è bastato fare un salto in Slovacchia per rendersi conto come le condizioni di lavoro della Whirlpool sia ben diverse rispetto a quanto sta accadendo dentro i confini nazionali. Più esattamente gli stipendi sono in crescita e la stessa azienda ha avviato un programma di assunzioni. Insomma, per dirla con le parole degli operai di Spisska, le imprese lavorano bene e non c'è alcuna invidia per la bella Italia. Al contrario, si prova dispiace per i nostri connazionali, alle prese con un presente carico di difficoltà e un futuro carico di incertezze e tutto da scrivere. Insomma, siamo davanti all'altro volto della Whirlpool.

C'è una frase che Michelangelo Romano, il primo operaio che, da Chieri, è stato mandato in Slovacchia per installare la produzione, che rappresenta l'estrema sintesi di lungo percorso: era l'inizio degli anni Duemila, li hanno spediti a Spisska e hanno costruito tutto. Ma era un altro mondo. Ecco, il reportage del quotidiano La Stampa è carico di valore perché ricostruisce il passato e racconta il presente della catena di lavoro degli operai Whirlpool, da confrontare con la vita occupazione dei colleghi italiani. Da una parte c'è allora una Whirlpool che continua ad assumere tra meccanici, responsabili della manutenzione degli impianti, esperti di informatica e consulenti legali. Ed è quella slovacca di Spisska Nova Ves. Dall'altra c'è Embraco che chiude e licenzia in Italia.

Tanto per capire di cosa stiamo narrando, Embraco è il ramo brasiliano del gruppo Whirlpool che ha deciso di licenziare 500 persone nello stabilimento a Riva di Chieri, nella provincia di Torino, e di trasferire la produzione di compressori per frigoriferi in Slovacchia. Perché questa decisione? Per ragioni (soprattutto) economiche e un dato vale su tutti: 900 euro è lo stipendio dei dipendenti della Embraco in Slovacchia; 1.700 euro è il salario dei dipendenti Embraco in Italia prima della crisi. Ma attenzione, ammonisce un operaio Whirlpool raggiunto dall'inviata del quotidiano, la vita costa: per affittare un monolocale a Spisska, cinque ore di macchina dalla capitale - racconta - servono almeno trecento euro al mese.

E c'è un'altra differenza da evidenziare: l'economia in Slovacchia cresce del 5,4%, la disoccupazione è al 5,9%, il Paese ha la più alta produzione di automobili pro capite del continente. Insomma, siamo davanti a un'economia emergente mentre l'Italia, bene che vada, è una fase stagnante.

Ma sono centinaia le aziende in crisi...

Per molti aspetti non si può che rimanere sorpresi perché nella lista anche solo delle più importanti aziende italiane del turismo e commercio in crisi sono finiti colossi la cui solidità non è mai stata messa in discussione. Il problema è che si contano solo quelle iù grandi e di due soli settori, quando la crisi è molto più vasta, con la problematica anche dei licenziamenti e delle casseintegrazione e anche delle piccole-medie imprese e o professionisti spesso dimenticati

Alla base dello stato di difficoltà c'è naturalmente la concorrenza della grandi imprese dell'ecommerce, in grado di proporre prezzi più competitivi e decisamente più vantaggiosi sia per l'acquisto di prodotti - smartphone e tablet, ma anche profumi e capi di abbigliamento - e sia di servizi, come un viaggio o una vacanza, in Italia o all'estero. Nella maggior parte dei casi, il tutto avviene lontani dalle luci dei riflettori e senza un intervento diretto della politica, ma questa è un'altra storia oggetto di discussione e di diversità di vedute. Anche perché di mezzo non c'è solo il destino delle imprese, ma anche di migliaia di lavoratori.

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha aperto diversi tavoli con i rappresentanti delle aziende e dei lavoratori, ma a oggi è tutto fermo ovvero non è stata trovata una soluzione. Ecco allora Trony on la chiusura di una serie di negozi, Mediamarket (Mediaworld e Saturn) con i suoi licenziamenti, Todì in crisi profonda, Auchan per il settore della grande distribuzione organizzata, Dico Discount alle prese con cessioni d'azienda, Limoni Douglas pronti a unirsi nell'ambito di una ristrutturazione, Conbipel che sembrava navigare nell'oro, Mercatone Uno con la sua crisi che si trascina da tempo, Conforama e l'applicazione dei contratti di solidarietà. E ancora: Md e Maury's, Unieuro, altra grande catena di vendita di prodotti di elettronica di consumo, e Valtur, marchio delle vacanze.

Catene informatiche

Il dado è tratto e le prime saracinesche di Trony, Mediaworld ed Euronics sono state tirate giù. La spiegazione ufficiale è l'incapacità di reggere la competizione con l'ecommerce. Il divario dei prezzi applicati sui prodotti di elettronica di consumo è troppo evidente per non spingere i consumatori ad affidarsi al web, anche a costo di non fare a meno di quel contatto fisico che tanto piace e tanto rassicura i consumatori italiani. E a poco sembra bastare la cosiddetta guerra delle promozioni e di sconti sull'Iva, considerata la risposta disperata ad Amazon. Offerte e riduzioni di prezzo non sembrano sufficienti per spostare gli equilibri.

Perché di mezzo non c'è solo Amazon, la più popolare delle piattaforme di commercio elettronico, ma anche i vari ePrice, eBay, Yeppon, Pixmania e Monclick. Nessun prodotto è di fatto tagliato fuori e tra smartphone e frigoriferi, tablet e forni, fotocamere e televisori, console per giocare e computer, lavastoviglie e stampanti, i consumatori italiani hanno trovato un altro prezioso spazio per fare acquisti risparmiando. Tutto molto interessante e stimolante dal punto di vista degli utenti. Ma evidentemente lo è da meno per gli imprenditori che hanno investito risorse e per gli stessi lavoratori dei punti vendita costretti a trovare un'altra occupazione.

Basta prendere in mano uno dei tanti volantini che periodicamente sfornano Trony, Mediaworld, Euronics per farsi un'idea degli sconti applicati. C'è stato perfino chi, come Unieuro, ha messo sul piatto il taglio dei prezzi fino al 50% sugli elettrodomestici. Ma di volta in volta si vedono anche il finanziamento a tasso zero, la cancellazione dell'Iva al 22% sugli acquisti, lo svuota tutto, le vendite sottocosto e i ben noti prezzi civetta per cercare di attrarre il maggior numero di clienti possibili. Segno del cambiamento dei tempi e della difficoltà delle catene di vendita di prodotti di elettronica di consumo a recitare una parte da protagonisti.

E così, le cronache ci consegnano la sparizione nei centri città di punti vendita, la riduzione dei margini di guadagno dei distributori, la perdita di quota di mercato del canale fisico, procedure fallimentari e concordati preventivi. Tanto per essere chiari, 43 negozi di uno dei soci di Trony sono in fallimento con tanto di licenziamento di 500 lavoratori. Euronics ha ceduto a Unieuro 21 punti vendita diretti tra Lazio, Abruzzo e Marche. Mediaworld ha annunciato 180 esuberi e chiuso due punti a Milano e Grosseto.

Rinascente

Era successo qualche anno fa anche a Napoli e le reazioni erano state simili se non proprio uguali. A proposito della chiusura della sede di Via Toledo, sgomento ed incredulità la facevano da padroni, come accade oggi. Come è possibile? La domanda più frequente. Non potrebbe essere altrimenti quando la notizia della chiusura non riguarda negozi piccoli e grandi che siano.

Ma il marchio, e che marchio, che per anni, in Italia, ha incarnato il modello unico ed invincibile del grande magazzino, quando i grandi magazzini rappresentavano qualcosa di esotico. Non essendo ancora diffusi in maniera così capillare come sarebbe capitato qualche decennio più tardi, rappresentavano quasi la Mecca dell’acquirente più incallito, quello più furbo e quello che voleva dimostrare di avere orizzonti ampi. Stiamo parlando della Rinascente di Genova che chiude i battenti nel 2018 e apre l’ennesima crisi del lavoro in Italia.

Circa sessanta persone resteranno dall’oggi al domani senza più un’occupazione. Un dramma che non riguarda solo la Rinascente perché basta fare una panoramica anche suk web per capire che poi, tutto sommato, le aziende italiane non godono di ottima salute. E, come spesso accade, queste vicende si circondano di un’aura di beffa visto che alcuni indicatori economici suggerirebbero euforia e la certezza che la crisi è ormai alle spalle. Ma non è così come vedremo nel corso di questo articolo.

Incredulità e rabbia. Questi sono i sentimenti che la chiusura della Rinascente nel centro di Genova lascia in eredità a chi aveva sempre visto questo marchio come invincibile. Una chiusura che avverrà entro il ventotto ottobre del 2018. E d’altra parte la genesi della Rinascente, o meglio le speranze di chi a vario titolo ha contribuito a rendere la Rinascente il mito che è attualmente, voleva essere proprio questo. Alla stregua di altri grandi gruppi internazionali ai quali spesso questo marchio è stato accostato.

Un colpo all’occupazione della città visto che sessanta persone resteranno senza lavoro e alla città stessa che perde un’altra grande azienda presente nel capoluogo ligure dal 1960, a causa della sua scarsa appetibilità commerciale, a quanto pare. Incredibile ma vero. come incredibili ed inutili sono stati anche i sacrifici dei dipendenti che non si sono risparmiati ed hanno provato in tutti i modi a resistere come dimostra il contratto di solidarietà che avevano deciso di adottare negli ultimi cinque anni.

Auchan in Campania

La decisione di Auchan di via Argine a Napoli di passare la mano e cedere la proprietà alla società Sole 365 non è andata giù a sindacati e lavoratori.

Stando a quanto raccontano, l'operazione sarebbe avvenuta all'oscuro ovvero senza che fosse stata data alcuna comunicazione. I problemi sono anche di altro tipo perché la nuova società avrebbe assorbito solo una parte del personale a cui non applicherà il contratto del commercio. Inevitabili allora le ripercussioni sia sotto il profilo occupazionale che di stipendio.

Da qui la decisione dei lavoratori di incrociare le braccia a tempo indeterminato. Si ricorda che sono coinvolti circa 700 persone negli ipermercati Auchan di Nola, Giugliano, Mugnano e Pompei. Un numero di rilievo che, temono le organizzazioni sindacali, potrebbe addirittura diventare più alto se la stessa operazione dovesse ripetersi in almeno uno dei 22 punto vendita Auchan in Itala. 

Vale tuttavia la pena far notare come, a oggi, non sono arrivati segnali di possibili cambi di proprietà in altre città. Ma è pur vero, come stanno facendo notare lavoratori e sindacati, che questo tipo di operazioni non sempre si consuma sotto la luce dei riflettori. Sono attese risposte nelle prossime ore, anche in relazione al rientro dallo sciopero.

Dynamicall e settore call center

Ancora una complicata situazione lavorativa da raccontare: questa volta siamo a Cagliari e di mezzo c'è il destino occupazionale di 30 persone della Dynamicall. Il mondo è quello dei call center e i dubbi nascono da una ragione ben precisa.

Come è possibile - si domandano i lavoratori coinvolti, spalleggiati dalle organizzazioni sindacali - che siano mandati a casa se l'importante commessa Enel Energia aggiudicata dal consorzio Call2net sia ancora attiva e duri da 10 anni?

I rappresentanti dei dipendenti hanno un dubbio ovvero che si tratta di una furbata. Il sospetto - tutto da dimostrare, sia chiaro - è che si tratta del preludio di un allontanamento di massa per poi consentire alla società Zeroquattronove di procedere all'assunzione di altri e differenti lavoratori. 

Piaggio Aereo

La situazione è pesantissima, anche perché i lavoratori coinvolti sono stati invitati a rimanere a casa proprio da sabato, alla vigilia di una delle domeniche di Pasqua più amare di sempre. Da qui la decisione di organizzare un presidio di due ore, dalle 10 alle 12, davanti alla sede in via Meucci della Dynamicall a Cagliari. Saranno presenti tutti i lavoratori del call center.

Le lettere sono state inviate e ricevute. Peccato solo che contenevano solo brutte notizie ovvero il licenziamento dal posto di lavoro. Succede a 114 lavoratori Piaggio Aero. Tutti loro sono adesso in cassa integrazione, ma al termine di questo periodo, usciranno dal libro per ritrovarsi senza occupazione. Succederà nel prossimo mese di luglio.

Si tratta insomma dell'ennesima mazzata - coinvolti 80 lavoratori a Genova e 34 a Villanova d'Albenga - in un periodo non certo brillante dal punto di vista imprenditoria e con il Ministero dello Sviluppo Economico coinvolto a più riprese nel fare da mediatore alle troppe crisi aziendali. La conferma arriva proprio dalle organizzazione sindacali di categorie che hanno pubblicato riferito come Piaggio Aero abbia avviato la procedura di licenziamento collettivo nonostante l'assicurazione (a detta dei sindacati) di esuberi.

Resta da capire se ci sono margini di trattative perché i sindacati hanno chiesto un incontro con l'azienda per capire quali sono le intenzioni. E in caso di porta chiusa ovvero di mancanza di volontà a sedersi attorno a un tavolo, hanno già annunciato l'intenzione di scendere in piazza. Il punto è che la delusione è manifestata non solo nei confronti dell'azienda, ma anche dell'esecutivo che avrebbe dato il via libera alla riorganizzazione di Piaggio Aero con l'approvazione del piano industriale allo scopo di evitarne il fallimento.

Ed Embraco

È la globalizzazione baby. Sembra questo il triste epilogo di un caso che ha suscitato molto scalpore provocando una reazione piuttosto stizzita del solitamente molto sobrio Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Si tratta del caso Embraco, l’azienda controllata dal gruppo Whirpool che ha deciso di togliere le tende senza alcun preavviso da Riva di Chieri dove era presente con uno suo stabilimento. Una scelta che ha avuto ripercussioni disastrose per circa 500 lavoratori (erano addirittura duemila negli anni ’90) che si sono trovati praticamente senza un’occupazione e senza futuro da un giorno all’altro. La trattativa intavolata dallo stesso ministro Calenda è infatti naufragata e la decisione dei vertici aziendali di potenziare la produzione della fabbrica Spisska Nova Ves nella periferia di Bratislava è stata confermata.

Una decisione che ha, come abbiamo già avuto modo di dire in precedenza, scatenato l’ira del ministro Calenda che ha messo l’accento, in maniera inequivocabile su un uso illegittimo dei fondi europei per creare condizioni migliori per attrarre le imprese dagli altri Paesi membri. Insomma l’accusa sarebbe quella di aver intavolato una trattativa segreta con i vertici di Embraco per spostare la produzione nello stabilimento Spisska Nova Ves nella periferia di Bratislava.

Questa reazione veemente ha rischiato di avviare quasi un caso diplomatico tra Slovacchia ed Italia. La risposta dell’esecutivo slovacco non si è fatta attendere ed è arrivata perentoria con una telefonata all’ambasciatore italiano con la quale il ministro dell'Economia slovacco Peter Ziga ha voluto stigmatizzare il comportamento del collega italiano sottolineando come, per l’Embraco ogni sostegno garantito è sempre stato in linea con le regole europee, adeguatamente negoziato e reso noto. Ziga ha poi fatto sapere che considera questa uscita di Calenda come un corollario della campagna elettorale italiana e si è dimostrato pronto a fornire qualsiasi tipo di informazione richiesta su quale è la situazione reale, sgombrando così il campo da qualsiasi sospetto di trattative segrete del governo slovacco con la multinazionale del gruppo Whirlpool. Il titolare del dicastero dell'Economia ha respinto al mittente anche le accuse di dumping fiscale e sociale spiegando come la stessa Slovacchia sia vittima del differenziale di condizioni strutturali fra diversi Paesi dell'area dell'Europa Centrale. Ziga ha infine sottolineato che l’ammontare degli aiuti di Stato slovacchi in relazione al Pil è il più basso nell’Europa centrale ed orientale.

Le speranze per i lavoratori italiani sono adesso affidate a due gruppi, uno italiano e l'altro straniero, che si sono offerti di subentrare alla multinazionale brasiliana..

E la preoccupazione in Fca

Tutto è andato al di sotto delle aspettative. Stando infatti a quanto dichiarato da Fca, la partecipazione dei lavoratori allo sciopero è stata piuttosto scarsa. E anzi, in alcuni casi si è rivelata perfino irrisoria. A Pomigliano D'Arco (Napoli), ad esempio, avrebbero preso parte due operai su 1.275 presenti del primo turno nello stabilimento (dati Fca). Di conseguenza i disagi sono stati inesistenti e la macchina produttiva è andata avanti senza complicazioni. Stessa cosa, in realtà, anche altrove, considerando che secondo l'azienda del Lingotto, nessuna adesione è stata registrata negli stabilimenti di Melfi, Cassino, Termoli, Cento, Pratola Serra. A chiudere il cerchio, si registra la partecipazione di un solo lavoratore su 841 della fabbrica di Termoli.

Si può allora parlare di fallimento dello sciopero generale di otto ore proclamato in tutti gli stabilimenti italiani di Fca dal Coordinamento operai autorganizzati? I numeri Fca sembrano parlare chiaro: al primo turno, nessuna adesione negli stabilimenti di Verrone, Cento, Atesta Plastic Unit, Cassino, Melfi, Pratola Serra e Mirafiori Carrozzerie. Due adesioni a Pomigliano su 1275 operai, equivalenti allo 0,16%, nessuna adesione tra gli impiegati. A Termoli, una sola adesione tra gli operai su 841 presenti, pari allo 0,12%. Nessuna partecipazione tra gli impiegati. La società rende noto che il turno centrale ha visto la totale partecipazione dei lavoratori.

I fatti di cronaca riferiscono invece di circa 150 lavoratori aderenti ai Si Cobas sugli svincoli che dalla strada statale 162. Solo a distanza di alcune ore la situazione si è normalizzata. Complicazioni sulla statale in direzione Napoli e in direzione Nola. Alla base della protesta c'è il piano industriale di Fca che, a detta dei manifestanti, non è sufficienti a garantire il futuro occupazionale dei lavoratori. Nel mirino anche la gestione aziendale degli ammortizzatori sociali da parte di Fca e la mancata applicazione della rotazione.

Mercatone Uno, uno speranza...

Finalmente un elemento che si spera positivo, di risoluzione, di una delle tante crisi che ci sono aziendali, spesso dimenticate.

Per i lavoratori del gruppo Mercatone Uno si apre uno spiraglio di speranza. La crisi che ha portato all’amministrazione straordinaria da ormai quasi tre anni (è iniziata il 7 aprile del 2015), potrebbe essere finalmente superata grazie al contributo di tutti gli attori che hanno preso parte a questa vicenda. Commissari, Governi, sindacati, ma soprattutto lavoratori. Questo è quanto è emerso dall’incontro tra le parti che hanno poi divulgato la notizia di un’istanza di aggiudicazione dei compendi societari presentata al Comitato di Sorveglianza e al MISE. Un aspetto importantissimo visto che consentirà di garantire la continuità aziendale in un rilevante perimetro di punti di vendita e il mantenimento di adeguati livelli occupazionali. Una soluzione, questa, che consentirebbe la continuità aziendale e la salvaguardia dei settantaquattro punti vendita della rete commerciale e dei livelli occupazionali che si attesterebbero oltre le tremila unità nei 59 punti vendita attualmente attivi. L’auspicio è di arrivare ad una definizione rapida dell’epilogo della procedura amministrativa nel rispetto dell’obiettivo di salvaguardare il più possibile i livelli occupazionali.

Senza dimenticare le chiusure per sfruttamento...

Appena 92 euro al mese, 33 centesimi all’ora per una giornata di lavoro normale, o forse anche più lunga: le ultime notizie sulla situazione lavorativa rese note da una denuncia della SLc Cgil di Taranto, riguardo un call center della città lasciano davvero senza parole e, ancora una volta, dipingono una situazione occupazionale ed economica italiana davvero tragica. Fortunatamente quetso call center è stato chiuso dopo la denucia, con un intervento della magistratura, ma racconta i nuovi mestieri da schiavi tutti italiani

Stando a quanto denunciato dalla SLc Cgil di Taranto, un call center della città avrebbe attirato personale offrendo agli impiegati uno stipendio annuo di 12mila euro. Ma la realtà si è rivelata ben diversa dalle promesse e dall’annuncio: appena 92 euro di stipendio mensile, per 33 centesimi all’ora, e decurtazioni del corrispettivo di un'ora di lavoro per chi andava 5 minuti al bagno o arrivava con 3 minuti di ritardo. Per Andrea Lumino, segretario generale di SLc Cgil Taranto, si è trattato di una situazione che ha superato di gran lunga ogni più macabra immaginazione".

Coloro che sono stati assunti nel suddetto call center appena ricevuta la busta paga sono rimasti senza parole e si sono licenziati dopo il primo bonifico di appena 92 euro per un intero mese di lavoro. Scattate immediatamente le proteste, l’azienda ha fatto sapere che la cifra calcolata di pagamento è stato risultato del loro effettivo lavoro, sottolineando che se per soli 5 minuti nell’arco della giornata ci si è allontanati dalla propria postazione di lavoro anche solo per andare in bagno sono state di volta in volta applicate decurtazioni sulla paga finale.

Non c'è solo questo. La carta igienica bisogna portarsela dal bagno, solo per fare un esempio, sempre legato alla toilette...ma soprattutto vengono promessi dei bonus per riuscire a far firmare dei contratti a qualsiasi costo, che poi alla fine non vengono mai riconosciuti.

E poi trattamente infernali, urla e persone che contiuamente ti controllano e ti stanno dietro la scrivania arrivando anche a urlarti nell'orecchio o prenderti in disparte e farti una fortissima pressione psicologica, al limite del fisico, per una telefonata andata male o un tuo comportamento che pare essere in contrasto con le "loro" regole.

Il segretario generale di SLc Cgil Taranto Lumino aveva annunciato, circa 2 mesi fa, che i legali del sindacato stavano valutando la possibilità di collegare questa situazione alla legge contro il caporalato, ed era già stato già preparato un esposto denuncia dei lavoratori e del sindacato da inviare alla Procura della Repubblica, al Sindaco, al Presidente della Provincia e al Prefetto. E così è avvenuto e il call center, dopo le dovute indiagine, è stato finalmente chiuso

Al Mise oltre 150 tavoli di crisi

Sono circa centossesantadue, infatti, i tavoli aperti al Mise, il Ministero dello sviluppo economico tra Sindacati e Governo e dai primi di settembre si riparte con una fitta serie di appuntamenti che vanno dalla Perugina alla delicata situazione di Ilva, dall'ex Antonio Merloni ai supermercati Tuodì. Un tentativo di sciogliere diverse matasse che si sono create intorno a queste aziende. Vicende più complesse del previsto sia perché alcune di queste sono state lasciate a marcire e adesso sono incancrenite, sia perché con un contesto di ammortizzatori sociali meno forte del passato, lo spettro dei licenziamenti sono dietro l’angolo.

I 162 tavoli aperti interessano aziende che impiegano complessivamente circa centocinquanta mila persone. Le vertenze senza dubbio più importanti sul tavolo sono quelle dell’Ilva, dell’Alitalia, dell’la Aferpi di Piombino. E tra i primi faccia a faccia in programma, Perugina , l'ex Antonio Merloni ai supermercati Tuodì. E si parla solo di aziende di grandi, medie dimensioni e tutte le altre? E i professionisti?