Fisco, Confcommercio, con aumento Iva +630 euro per acquisto auto

di Luigi Mannini pubblicato il
Fisco, Confcommercio, con aumento Iva +6

Se non si fa il governo gli italiani pagheranno un'Iva più salata

Un rischio di un aumento dell'iva del 25%, ma non solo e imposte nuove per tutti. Ecco cosa si rischia davvero

Il problema dell'iva come spiegheremo nel dettaglio è solo uno dei tanti. Ma in generale tutto costerà di più e questo è uno aspetto da non dimenticare e da sottolinare. I 630 euro di aumento sono un esempio per l'acquisto di un auto media, fatto da Confcommercio. Ma non c'è solo questo problema.

Il prossimo Governo avrà un compito già difficile, ovvero quello di scongiurare il tanto temuto aumento delle imposte indirette nel 2019 e, in minor misura, nel 2020, previsto dalle clausole di salvaguardia in vigore. Un compito gravoso che toccherà al prossimo esecutivo che se non riuscirà a trovare qualche soluzione, probabilmente sarà costretto a cambiare la propria agenda visto che non potrà mettere in campo i provvedimenti che hanno caratterizzato la recente campagna elettorale.
Al momento l'va appare aumentata con un aumento per le famiglie di circa 1.312 euro a famiglia, ma non sarà il solo come vedremo

Anche il Def 2018, dopo la sperimentazione dell’anno scorso, è corredato dagli “Indicatori di benessere equo e sostenibile” sulle diverse aree che caratterizzano la qualità della vita dei cittadini. Ma delle proposte sentite in campagna elettorale non c’è traccia nel Documento che è stato redatto interamente, come previsto in casi come questo, dal Governo che è rimasto in carica per sbrigare gli affari correnti.

Def, Pil in rialzo nel 2018

Se da un lato le prime informazioni che circolano sulla ormai prossima pubblicazione del Def da parte del Ministero dell’Economia del Governo ancora in carica in questa lenta e farraginosa transizione dopo le elezioni del 4 marzo, sono positive, dall’altro l’Italia sembra condannata a non poter gioire mai a pieno dei traguardi raggiunti. Sembra infatti ormai un dato accertato che il Pil nel 2018 crescerà di uno 0,1% in più rispetto alle previsioni attestandosi a un +1,6% rispetto all’1,5% delle precedenti previsioni. Un risultato che però rischia di non far sentire i suoi effetti benefici sull’economia italiana, o meglio di farlo per troppo poco tempo per raggiungere traguardi davvero significativi per la ripresa economica.

Questo perché, alla luce delle previsioni, gli effetti recessivi dell'aumento dell'Iva e delle accise che se non ci saranno opportune e tempestivi correttivi, graveranno per oltre 30 miliardi di euro sul bilancio dello Stato si farebbero sentire nel biennio 2019-2020 con la discesa all'1,4% e all'1,3%. Certo sono solo ipotesi, ma un indizio concreto viene direttamente dal Fondo Monetario Internazionale che ha fatto sapere che non si attende più il raggiungimento del pareggio di bilancio in Italia per il 2020. Non un bel segnale

Italia poi male per aumento iva e accise

E se l’economia in Italia sarà destinata a rallentare nel biennio 2019-2020, le motivazioni sono da rintracciare in un ambito ben preciso. Le chiamano clausole di salvaguardia ed entrano in vigore automaticamente nel caso in cui il bilancio non garantisca il raggiungimento di alcuni obiettivi ben precisi. In concreto consistono nell’aumento di Iva ed accise che, secondo uno studio pubblicato da Il Sole 24 Ore potrebbe portare ad un aggravio di spese per le famiglie italiane che si aggira intorno ai 317 euro di media nel prossimo anno.

Se il Governo non troverà infatti i soldi necessari per evitare che questo accada, l’anno prossimo gli italiani dovranno sborsare qualcosa come 30 miliardi di maggiori imposte complessive. Ovvio che, in questo quadro, pesi anche l’incertezza politica che dal 4 marzo ha avvolto l’Italia e non sembra certo svanire in tempi brevi. Per questo motivo il ministro dell’Economia uscente Pier Carlo Padoan ha lanciato un monito molto chiaro da Washington dove è atterrato per i lavori primaverili dell'Fmi. In sostanza Padoan ha sottolineato la bontà dell’impianto riformatorio messo in campo dai Governi di questi ultimi anni soffermandosi sulla necessità di andare avanti sulla stessa strada.

E rincari potrebbero essere maggiori

Tempi durissimi in arrivo per i contribuenti italiani perché a nuovo governo, qualunque esso sia, spetterà il compito tutt'altro che semplice di disinnescare oltre 60 miliardi di euro di tasse tra trappole fiscali e aumento dell'Iva. Ci riuscirà? E a che prezzo? Difficile a rispondere sin da subito, se non altro perché un nuovo esecutivo non c'è e restano perciò da scoprire intenzioni e strategie. E alla fine dei giochi sono gli stessi contribuenti chiamati a mettere mano al portafogli per sistema - in maniera diretta e indiretta - i conti pubblici piuttosto sballati. Per il Centro studi di Unimpresa si prospettano allora tempi molto duri.

Secondo l'analisi di Unimpresa, da qui a tre anni sono in arrivo 30 miliardi di euro per via dell'aumento Iva fino al 25% nel biennio 2019-2020. Non solo, ma altrettanti saranno versati dai contribuenti per via di quanto contenuto nell'ultima legge di bilancio ed evidentemente mai reso noto fino in fondo o comunque con estrema chiarezza. Gli studiosi parlando di trappole fiscali e puntano l'indice contro 27 voci nascoste o poco note. Dalle misure sulla fatturazione elettronica sono attesi aumenti delle entrate per 4,2 miliardi di euro nel triennio; la stretta sulle frodi nel commercio degli oli minerali vale 1,09 miliardi di euro; con la riduzione della soglia dei pagamenti della pubblica amministrazione a 5.000 euro occorre mettere in conto 495 milioni di euro; dai nuovi limiti alle compensazione automatica dei versamenti fiscali 717 milioni di euro.

Unimpresa ricorda che l'aumento dal 40 al 55% (per il 2018 e per il 2019) e al 70% (dal 2020) degli anticipi delle imposte sulle assicurazioni sono destinati a far incamerare più entrate pari a 960 milioni complessivi. Il ridimensionamento del fondo per la riduzione della pressione fiscale vale 1,2 miliardi di euro. Le nuove disposizioni in materi di giochi valgono invece in totale 421,2 milioni di euro. Sono sei le voci che riguardano le detrazioni per spese relative alla ristrutturazione edilizia o alla riqualificazione energetica. Ma poi ci sono anche gli effetti dei rinnovi contrattuali e delle nuove assunzioni, l'entrate in vigore della nuova Iri, l'imposta sostitutiva sui redditi da partecipazione delle persone fisiche e tante altre voci sono apparentemente minori.

Secondo i calcoli dell'associazione, nel biennio 2019-2020 l'aumento delle aliquote Iva - quella ordinaria dal 22 al 25% e quella agevolata dal 10 all'11,5% - comporterà un aumento del gettito tributario superiore a 30 miliardi di euro. Solo quest'anno, invece, Nel dettaglio, il gettito tributario salirà di 11,7 miliardi di euro, nel 2019 crescerà di 9,5 miliardi di euro e nel 2020 aumenterà di 8,3 miliardi di euro.

E occore fare in fretta

Non solo per conti alla mano occorrono subito 30 preziosi miliardi di euro per sterilizzare l'aumento dell'Iva (dal 10 al 12% quella intermedia e dal 22 al 24,2% quella ordinaria) ed evitare l'ennesima introduzione di una accise sui carburanti. Succede perché gli equilibri economici continuano a essere delicati e, a meno di un colpo di spugna, occorre andare in scia di quanto finora previsto. E anzi, considerando che il prossimo esecutivo sarà frutto di un compromesso, sarà inevitabile tenere conto della strada finora percorsa.

E che la situazione sia tremendamente delicata è dimostrato dalle recenti stime del Codacons sulla base dello studio di Confesercenti, secondo cui un eventuale incremento delle aliquote Iva dal prossimo anno sarebbe deleterio per i consumi perché produrrebbe una stangata per gli italiani pari a 791 euro annui a famiglia. E solo di costi diretti.

E già sono aumentate delle imposte, rendite finanziarie ad esempio

E già sono aumentatte le imposte che riguardano le rendite finanziarie destano molto interesse. Ci ha pensato il quotidiano “Il Sole24Ore” a spiegare nel dettaglio quali saranno le conseguenze del fatto che verranno tassate al 26%. Una tassazione che verrà estesa anche ai dividendi e alle plusvalenze legate alle cosiddette partecipazioni qualificate.

Questo significa che la novità più importante contenuta nell'iter economico consiste nel fatto che le rendite finanziarie saranno tassate a partire dal 2018 al 26 per cento e questa tassazione verrà applicata anche agli utili qualificati, sancendo la definitiva scomparsa di questa differenza tra utili qualificati e non qualificati. Un provvedimento che avvantaggerà, stando alle previsioni del quotidiano economico e finanziario più importante d’Italia, quelli che passeranno all’incasso di dividendi nella fascia di reddito che va oltre i settantacinque mila euro. Coloro che invece potranno incassare dividendi in una fascia di reddito più bassa dovrebbero risultare, invece, penalizzati da questo nuovo provvedimento.

Per le rendite, a partire dal prossimo anno, dunque, si applicherà l’imposta sostitutiva del 26%. Questo significa che scomparirà la differenza tra partecipazioni qualificate e non con probabili ricadute positive per coloro che passeranno all’incasso di dividendi in quella particolare fascia di reddito che supera oltre i settantacinque mila euro. Rischiano, invece, di essere notevolmente penalizzati i contribuenti che incasseranno dividendi e che si troveranno negli scaglioni di reddito più bassi. Lo stesso accadrà per le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate. Uno dei lati positivi che sembra aver convinto i risparmiatori risiede nel fatto che, dopo l’entrata in vigore di questo provvedimento, non esisterà più nessuna differenza tra plusvalenze e le minusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate con le minusvalenze e plusvalenze non qualificate.

Provvedimenti ovviamente che nell’ottica di chi li ha proposti dovrebbero consentire un introito positivo che per il 2018 è stato stimato pari a circa 253 milioni circa. Cifra che scenderà a dieci milioni nel 2019 prima che il saldo tra tassazione a Irpef e la nuova imposta sostitutiva assuma il segno negativo per una cifra che dovrebbe superare gli undici milioni di euro. Questo succederà dal dal 2020 in poi.

Per gli strumenti finanziari partecipativi e per i contratti di associazione in partecipazione si fa riferimento al rapporto fra apporto e patrimonio netto dell’emittente o dell’associante. Le novità avranno ripercussioni concrete anche per quel che riguarda l’impatto delle plusvalenze e delle minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, oppure altri strumenti finanziari. Le conseguenze di questi nuovi provvedimenti interesseranno sia le persone fisiche residenti, non residenti, le società semplici e gli enti non commerciali residenti in Italia.

E ancora tasse la mazzata locale

I dati della Uil sono chiari, le famiglie italiane sono schiacciate sempre da più tasse locali, sottolineando che pure quelle nazionali nonostante si dica siano in diminuzione (e lo sarebbero di circa 1 punto o 1,5 che comunque è pochissimo) non cessano di essere pesanti e molte, anzi, sono nscoste e occulte e le cose non sembrano tendere a migliorare. Anzi....nonostante tutte le promesse per il voto in arrivo, anche percè il debito pubblico è ancora altissimo

Che le tasse siano uno degli incubi peggiori per gli italiani che, nonostante le cicliche promesse di alleviamento del carico fiscale, sono ormai consapevoli di pagare un prezzo salatissimo per non avere in cambio servizi adeguati. Un mantra che torna soprattutto quando c’è una campagna elettorale in atto. E in un paese che vive questa condizione in maniera quasi permanente, si capisce che anche le tasse rappresentano un argomento spesso al centro di dibattiti e polemiche. Così quando l’analisi del servizio Politiche territoriali della Uil sull'andamento delle tasse locali nel 2017 svela che sono stati quarantasette i miliardi di euro pagati dagli italiani nel 2017 per tasse e balzelli regionali e comunali, il discorso si infiamma e prende vigore nuovamente. Questo significa, infatti, che in media ogni famiglia nel 2017 ha sborsato più di duemila euro per l'Imu o Tasi,  addizionali regionali Irpef, Irpef comunale, tassa sui rifiuti. In particolare, per l'Imu o Tasi, per immobili diversi dalla prima casa, l'esborso medio è stato di 814 euro; per le Addizionali Regionali Irpef mediamente l'esborso è stato di 726 euro; per le Addizionali Comunali Irpef 224 euro; per la Tari 302 euro.

Tanto per fare qualche esempio, in Lombardia il costo a tonnellata è di 253 euro, a Isernia 249 euro, a Pesaro Urbino 263 euro. E fin qui le differenze sono contenute, ma a Roma la stessa tonnellata di spazzatura costa 406,26 euro l'anno, a Napoli 430 euro, ad Avellino 451, a Palermo 550,47 euro. Siamo insomma davanti a una vera e propria giungla di tariffe attuale. A quanto pare, alla base di questi scompensi ci sono gli scarsi controlli sugli Ato ovvero gli Ambiti territoriali ottimali, introdotti con l'obiettivo di creare un modello di gestione aggregata dei rifiuti accorpando più ambiti comunali per abbassare le tariffe grazie alle economie di scala. Tra l'altro, i singoli comuni hanno la facoltà di introdurre agevolazioni ed esenzioni anche al di à degli specifici casi individuati dalla legge. Godono insomma della massima autonomia regolamentare che può essere utilizzata bene o male a seconda delle circostanze.

La vera patrimoniale

Un peso fiscale altissimo del valore di 40 miliardi di euro pesa sui proprietari di immobili in Italia come se si trattasse di una patrimoniale. Secondo le ultime notizie rese note dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, i 40 miliardi di euro rappresenterebbero il valore totale di Irpef, Ires, imposta di registro e di bollo e cedolare secca, che, stando alle ultime notizie, pesano per 9,1 miliardi e alle quali si sommano ulteriori 9,9 miliardi di tasse legate al trasferimento (dall'iva alle imposte su successioni e donazioni, dagli oneri catastali alle imposte di registro) e 21,2 miliardi di euro di imposte a carico dei proprietari degli immobili, da Imu, a Tasi, Tari e ulteriori eventuali.

Sempre secondo la Cgia, i maggior colpiti dal peso delle imposte sugli immobili sono soprattutto i proprietari di seconde case, per cui chi oggi, oltre all’abitazione principale, possiede una casa ‘in più’ al mare o in montagna, è decisamente penalizzato per quanto riguarda il carico fiscale sugli immobili. Secondo la stessa Cgia, infatti l'aumento del gettito prodotto da Ici, Imu e Tasi tra 2011 e 2016 è passato da poco più di un miliardo di euro a ben 11 miliardi e mezzo di euro. Elevato è stato anche l’aumento delle imposte registrato per immobili strumentali. Nello stesso periodo appena riportato, infatti, i proprietari di questa tipologia di immobili si sono visti più che raddoppiare il prelievo fiscale, salito da meno di 5 miliardi del 2011 (4,88 miliardi di euro) a quasi 10 oggi (9,72 miliardi).

E c'è allarme Ocse per tasse già troppo alte e ripresa

Le tasse italiane troppo alte: non si tratta certo di una novità, considerando che già da tempo si chiede una revisione del peso fiscale sui cittadini italiani. Ma le ultime notizie confermano ancora una volta l’allarme su tasse troppo alte. E a sostenerlo questa volta è l’Ocse, la stessa Organizzazione secondo cui il pil italiano è cresciuto nei primi due trimestri del 2017 ma il livello resta inferiore a quello del 2010.

La situazione generale italiana non appare affatto favorevole, soprattutto alla luce delle ultime notizie rese note dall’Ocse, secondo cui la tassazione italiana, soprattutto per quanto riguarda il lavoro e, in particolare, i contributi previdenziali, è molto alta. E’ necessario agire su questo fronte per una riduzione, lavorando, allo stesso tempo, su una nuova spinta agli incentivi. Secondo l’Ocase, per garantire crescita economica e sociale è necessario agire sul fronte fiscale con miglioramenti. Del resto, come spiegato, sono diversi i Paesi Ocse che hanno già avviato riforme fiscali, da Austria e Belgio, a Paesi Bassi, Grecia, Lussemburgo, Ungheria, tagliando le aliquote dell’imposta sul reddito delle società e revisioni per quanto riguarda le imprese.

L’Italia, invece, insieme ad altri Paesi come Belgio, Ungheria, Turchia, è tra i Paesi in cui sono aumentate significativamente le tasse sulle proprietà. E’ vero, sottolinea l’Ocase, che l’Italia ha abolito la tassa sulle prime abitazioni, ma è anche vero che, di contro, sono aumentate anche altre imposte, in una sorta di gioco di cane che si morde la coda. E per fare qualche esempio concreto, basta pensare alle imposte sulle accise, sul tabacco in particolare, e a quelle sui carburanti, in costante crescita.

C’è, inoltre, da aggiungere che, stando a quanto riportano le ultime notizie, solo qualche giorno la stessa Ocse ha parlato di un andamento del pil italiano negli ultimi sette anni come il peggiore tra i paesi Ocse dopo la Grecia (e pari al Portogallo), nonostante i miglioramenti segnati nel secondo trimestre, quando ha raggiunto 99,1 punti in aumento rispetto ai 98,7 del primo trimestre. La Grecia invece ha raggiunto 81,6 punti. Ma la media Ocse è di 113,3 punti, basti pensate che la Germania nel secondo trimestre ha segnato 112,6 punti e il Regno Unito 114 punti. Resta, dunque, ancora lenta la ripresa nel nostro Paese e, sempre secondo l’Ocse, sarebbe arrivato il momento di andare più a fondo con quelle riforme necessarie e urgenti per un rilancio economico reale dell’Italia. Si tratta di un quadro che evidenzia chiare difficoltà per il nostro Paese, acuite dalle ultime notizie sull’andamento dell’occupazione e soprattutto giovanile.

Stando, infatti, a quanto riportano le ultime notizie, sarebbe ancora salita la disoccupazione nel nostro Paese lo scorso mese di luglio, nonostante le stesse ultime notizie parlino di un aumento degli occupati. Ma si tratta di un dato non reale, visto che non considera tante categorie di persone che sono senza occupazione ma non la cercano nemmeno più, perché sfiduciati. E dalle ultime notizie emerge anche un paradosso: non solo la disoccupazione aumenta, penalizzando i giovani, ma, paradossalmente, i più occupati risultano gli over 50. Una situazione decisamente disagiante, che sta portando anche ad un aumento del livello di povertà nel nostro Paese, che probabilmente non si registra in nessun altro Paese e che, come spesso sottolineato, può essere considerata risultato delle attuali norme pensionistiche in vigore che costringono i lavoratori più anziani a rimanere sempre più a lungo a lavoro, tagliando letteralmente fuori dal mondo occupazionale i giovani.

E già le spese sono alte e aumentate nella prima parte dell'anno e cresceranno ancora

Si può parlare di stangata per via degli aumenti delle bollette e del pedaggio dell'autostrada che hanno dato il benvenuto a questo 2018? Sì, la risposta è affermativa perché da gennaio l'elettricità è più costosa del 5,3%, il metano del 5% e i pedaggi del 2,74%. Si tratta di uno scenario che si ripete ma che, al di là delle giustificazioni di rito, non sembra poggiare su solide basi motivazionali. L'economia italiana non sta infatti crescendo ai livelli sperati e anche la stessa inflazione ovvero il livello medio dei prezzi, è pressoché invariata. E né, altro particolare da non perdere di vista, i servizi offerti presentano nuove funzionalità o comunque attenzioni ulteriori per i consumatori, tali da richiedere un supplemento di spesa rispetto a quanto versato lo scorso anno. Al consumatore non resta che adeguarsi e, al massimo, protestare.

Sull'aumento dei costi dell'energia sono determinanti l'incremento dei prezzi all'ingrosso e l'aumento dei consumi per il freddo. Ma diciamolo pure: quella che si è scatenata sui costi della luce è una sorta di tempesta perfetta che ha preso allo sprovvista alcuni tra i più accreditati esperti del settore. Il rincaro messo in conto nelle ultime settimane è stato pari al +2,5% e non certo al 5,3%, più del doppio. L'Autorità per l'energia si è giustificata parlando di nove ragioni che hanno portato a una decisa crescita dei prezzi all'ingrosso nell'ultimo trimestre. Si va dalla minore disponibilità di energia nucleare dalla Francia all'aumento delle quotazioni d'oltralpe, da una minore efficienza del sistema per alcune limitazioni nei transiti di elettricità sulla rete italiana all'impatto dell'anno più arido degli ultimi 200 anni sulla generazione idroelettrica nazionale.

Più in generale, secondo le giustificazione ufficiali, a determinare l'aumento delle bollette della luce sono gli incrementi sia dei prezzi all'ingrosso sia dei costi per la sicurezza del sistema elettrico. E non va tanto meglio con il gas. Anche in questo caso c'è un'Autorità che regolamenta il settore e ha spiegato i motivi del rialzo. In prima battuta c'è la crescita della componente materia prima ovvero la revisione all'insù delle quotazioni del gas attese nei mercati all'ingrosso nel prossimo trimestre, anche per effetto della maggiore domanda dei mesi invernali. Aumenti all'ingrosso determinati anche dal dimezzamento della capacità di utilizzo del gasdotto Tenp per manutenzione. Basta per placare le ire dei consumatori?

Anche muoversi in autostrada costa adesso di più. Come ogni fine anno il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, insieme a quello dell'Economia, definisce gli eventuali rincari sulla base dei piani industriali delle concessionarie. Sono concessi se la società che gestisce l'autostrada ha in cantiere nuove opere solitamente. C'era stato un tetto imposto dall'allora ministro Maurizio Lupi che aveva definito il massimo: 1,5% a prescindere dai reali investimenti delle singole società concessionarie. Ma se la Brescia-Padova vede un aumento della tariffa pari al 2,08% e l'Autostrada del Brennero dell'1,67%, allora le disposizioni sono state disattese.

Questa volta gli aumenti del prezzo delle autostrade non va proprio giù. E non solo perché si ripetono di anno in anno, ma anche perché in molti casi il rincaro è a doppia cifra, fino ad arrivare al caso limite del +52,69% per percorrere la RAV (Aosta-Monte Bianco). E non si capiscono le ragioni di questi continui ritocchi all'insù in un periodo in cui l'economia non è affatto florida e i servizi offerte lungo le autostrade da nord a sud, da est a ovest, non siano affatto migliorati a tal punto da rendersi necessario un aggravio dei costi. Ma c'è una semplice evidenza che mette in luce le storture di questi ennesimi aumenti di fine anno: i rincari delle tariffe autostradali sono maggiori dell'inflazione e del tasso di crescita del Pil. Significa allora che siamo davanti a un regalo ai concessionari pagato dai contribuenti?

Secondo l'Unione nazionale dei consumatori, si tratta però di aumenti inaccettabili con un impatto devastante sui pendolari. L'aggiornamento delle tariffe delle autostrade è deciso dal Ministero dei Trasporti. In base all'inflazione del paese e al recupero degli investimenti, ogni concessionaria autostradale avanza la sua richiesta, ma spetta al Mit la parola finale.

In ogni caso c'è ben poco da fare perché la revisione dei prezzi è già realtà. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e delle Finanze si affrettano a precisare che l'incremento, in conformità alla convenzione unica, include il recupero del 70% dell'inflazione reale e la remunerazione dei nuovi investimenti. Sarà, ma le medie dell'adeguamento tariffario di competenza di Autostrade per l'Italia e Sias sono rispettivamente pari all'1,51% e al 3,02%. Abbiamo voluto vederci chiaro per capire l'effettivo aumento dei costi tratta per tratta e la fotografia scattata è la seguente:

  1. Asti-Cuneo invariata
  2. ATIVA (Tangenziale di Torino, Torino-Quincinetto, Ivrea-Santhià e Torino-Pinerolo) +1,72%
  3. Autostrade per l'Italia +1,51%
  4. Autostrada del Brennero +1,67%
  5. Autovie Venete +1,88%
  6. Brescia-Padova +2,08%
  7. Consorzio Autostrade Siciliane invariata
  8. CAV (autostrade Venete) +0,32%
  9. Centro Padane (Piacenza-Brescia) invariata
  10. Autocamionale della Cisa (A15) invariata
  11. Strada dei Parchi (A24 e A25) +12,89%
  12. Autostrada dei Fiori (Torino-Savona e Savona-Ventimiglia) +0,98%
  13. Bre.be.mi. (Brescia-Bergamo-Milano): +4,69%, TEEM +2,70% Pedemontana Lombarda +1,70%
  14. Milano Serravalle Milano Tangenziali +13,91%
  15. Tangenziale di Napoli +4,31%
  16. SALT (Società Autostrada Ligure Toscana) +2,10%
  17. RAV (Aosta-Monte Bianco) +52,69%
  18. Autostrade Meridionali (A3 Napoli Pompei Salerno) +5,98%
  19. Torino Savona +2,79%
  20. SATAP Tronco A4 Torino-Milano +8,34%
  21. SATAP Tronco A21 Torino-Piacenza +1,67%
  22. SAV Quincinetto Aosta invariata
  23. SITAF Torino Bardonecchia +5,71%
Si ricorda che la rete del gruppo Sias comprende le concessionarie Satap (A4 Torino-Milano ed A21 Torino-Piacenza), Salt (Sestri Levante-Livorno, Viareggio-Lucca e Fornola-La Spezia), Autostrada dei Fiori (Savona-Ventimiglia), Autocamionale della Cisa, Sav (Quincinetto-Aosta), Ats (Torino-Savona), Asti-Cuneo, Ativa (Tangenziale di Torino, Torino-Quincinetto, Ivrea-Santhià e Torino-Pinerolo), Sitaf (Frejus, Torino-Bardonecchia), Sitrasb (Gran San Bernardo), Tangenziale di Milano e Brescia-Bergamo-Milano. A ogni modo, tradotto in euro e andando al di là dei numeri, questo è l'aggravio di spesa per gli automobilisti italiani che viaggiano in autostada e tangenziali:
  1. Carisio Balocco (km 7,6): da 0,90 a 1,00 euro
  2. SATAP A4 Rondissone Santhià (km 46): da 5,50 a 5,90 euro
  3. Novara Est Rondissione (km 99): da 11,80 a 12,70 euro
  4. Casei Girola Tortona (km 15): da 0,90 a 1,00 euro
  5. Tortona Binasco (km 54): da 3,20 a 3,60 euro
  6. Binasco Milano Ovest: da 1,30 a 1,40 euro
  7. Milano Ghisolfa Rondissone: da 15,60 a 16,80 euro
  8. Prato Est Firenze Ovest: invariato
  9. Firenze Sud Firenze Scandicci: da 1,10 a 1,20 euro
  10. Roma Nord Orte: da 4,40 a 4,50 euro
  11. Lodi Milano Sud: da 2,30 a 2,40 euro
  12. Milano Est Bergamo: da 3,40 a 3,50 euro
  13. San Cesareo Roma Sud: da 1,10 a 1,20 euro
  14. Roma Est Tagliacozzo (km 69): da 7,30 a 8,20 euro
  15. Avezzano Roma Est (km 96): da 10,10 a 11,30 euro
  16. Roma Est Teramo (km 167): da 17,50 a 19,60 euro

E ancora..

Nello studio del Codacons si stima che il 2018 porterà con sè, per le famiglie italiane, una spesa maggiore di 942 Euro. I rincari annunciati infatti non riguardano solo quelli del circa 5% sia per le bollette della luce e del gas, ma anche gli aumenti dei pedaggi autostradali e l'introduzione dei costi per i saccheti della spesa nei supermercati.

Sono tante le voci di aumenti di costi che scatteranno il 1° Gennaio 2018 o che verranno applicate man mano durante il prossimo anno. Per bollette e autostrade l'aumento sarà immediato, per le altre voci come canoni telefonici, alimentari, trasporti e servizi bancari avverrà nei primi mesi dell'anno. Una stangata che costerà alle famiglie italiane 942 euro. Sperando almeno che le nuove leggi UE che tutelano il consumatore che veranno introdotto nel 2018 possano in qualche modo calmeriare l'aumento previsto. 

Sono previsti rincari anche per la benzina nel corso del 2018, sugli alimentari e di conseguenza anche per mangiare fuori casa. 

Rincari anche per i trasporti (di ogni genere: taxi, treni, aerei, navi, metro) e per i costi dei servizi bancari, senza dimenticare gli aumenti previsti per le tariffe dei cellulari.

A sorprendere sono i rialzi a cui saranno soggetti i prodotti che portiamo a tavola, anche quelli più comuni, dal grano ovvero dal pane e la pasta, all'olio di oliva, dal burro alle conserve alimentari fino alle uova. Le ragioni sono ben precise e fanno riferimento al clima impazzato che mette in discussione la produzione regolare. Il problema - fanno notare i sodalizi a tutela dei consumatori - è la possibile speculazione da parte dei commercianti. Da qui l'invito per consumatori e utenti finali a osservare ed evidentemente denunciare spropositati aumenti di prezzi.

Attenzione poi ai rincari, spesso sottotraccia e dunque non immediatamente individuabili, applicati dalle banche nella gestione dei conti correnti e delle assicurazioni in materia di polizze. C'è anche chi ha provato a elaborare stime sugli esborsi maggiori a cui saranno soggetti i consumatori italiani al definitivo rientro delle vacanze e dunque già in autunno. Per quanto riguarda i conti correnti si parla di una forbice tra 20 e 25 euro all'anno; sulle assicurazione il costo aggiuntivo varia da da 10 a 15 euro, sempre su base annuale. A giustificazione di quesi aggravi c'è la crisi del sistema degli istituti di credito, pagata anche dai clienti