Nei piccoli paesi si risparmia
Lasciare il piccolo centro ha i suoi effetti indesiderati e nell'elenco dei contro c'è posto anche per i 491 euro di differenza di spesa mensile.
Questa volta non c'è alcuna supposizione o racconto di amico o parente sull'insostenibilità economica di vivere nelle grandi città. Ci pensa infatti l'Istat a mettere nero su bianco sulla base delle sue rilevazioni, come vivere nelle grandi città ha un costo maggiore rispetto ai piccoli paesi. E neanche di poco perché il divario è di circa 500 euro. Precisamente 491 euro in più al mese rispetto alle famiglie che risiedono nei comuni medio-piccoli. E per andare alla ricerca di questa sperequazione non occorre andare lontano. La voce che incide maggiormente è spesso la casa. Sia in affitto e sia di proprietà, la differenza c'è e si fa sentire.
Vivere in una grande città ha dunque il suo prezzo e prima di ipotizzare un eventuale trasferimento per cambiare vita occorre fare i conti con attenzione. Una sorta di tassa senza etichetta che l'Istat stima in quasi 500 euro al mese. Per un italiano medio si tratta senza dubbio di una cifra che impatta con decisione nel budget familiare. Da Roma a Napoli, da Firenze a Torino il caro-città si fa sentire sulla spesa media delle famiglie, sovraccaricata di oltre il 20% rispetto a quella dei comuni di media e piccola taglia. Naturalmente anche tra i piccoli centri occorre fare le dovute distinzioni perché esistono in Italia comuni comunque molto rinomati e ben quotati sul mercato.
Ecco allora che spunta in modo chiaro, misurato in euro fino all'ultimo centesimo, il divario tra centro e periferia, che va ad aggiungersi alle tante fratture già note e certificate, da quella tra Nord e Sud al gap generazionale. Questa volta la rottura è però su un altro livello, sempre territoriale, ma che tiene uniti, seppure con impatto differente, tutte le zone d'Italia. "Vieni vieni in città che stai a fare in campagna", cantava Giorgio Gaber in "Com'è bella la città". Vale anche questo invito negli anni attuali? Era il 1969 e l'ispiratrice era Milano, adesso (come allora), una delle città con il tenore di vita più elevato di tutta la penisola.
Lasciare il piccolo centro aveva e ha i suoi effetti indesiderati e nell'elenco dei contro c'è posto anche per i 491 euro che dividono i comuni centro dell'area metropolitana da quelli sotto i 50.000 abitanti. Mettiamo per ora da parte il resto delle voci. Da una spesa familiare di 2.899 a una di 2.407 euro mensili: questi sono i calcoli ancora più nel particolare. L'Istat, nell'Annuario statistico, fa notare come il capitolo abitazione faccia la parte da leone. E non sorprende perché è proprio questo l'indicatore maggiormente tenuto in considerazione per la misurazione dello stato economico di un territorio, piccolo o grande che sia.
A fare la differenza è quindi la casa, che in città assorbe il 44% del portafoglio familiare, quasi dieci punti percentuali in più della media. Un impatto non di poco conto per le tasche dei suoi abitanti. D'altra parte nei capoluoghi la quota di chi vive in affitto è più alta - il 22,5% contro il 17,5% del resto - senza considerare chi immagina di acquistare un'abitazione. E spesso la retta è salata, considerando che - dati Istat alla mano - quella standard è di 481 euro ovvero 130 euro in più a confronto con i municipi più piccoli. Si accennava alle case da acquistare: il discorso è lo stesso per i mutui con uno sconto per chi sta fuori porta di circa 100 euro. Si passa dai 653 ai 564 euro mensili.
Fin qui i dati del 2016, anno in cui i divari tra città e campagna sembrano essere esplosi. Ma se allarghiamo lo sguardo scopriamo una novità. Guardando le cifre dell'anno prima le distanze, sempre in euro, non mancavano ma erano sicuramente più attenuate. Anzi, più che dimezzate: la differenza di spesa si fermava a 194 euro.