Come potrebbe essere riconosciuto il nuovo bonus una tantum annunciato dal governo, ma per aumentare stipendi e pensioni sarà necessario confermare anche altre misure
Aumentano ancora gli stipendi ad agosto per alcune categorie di lavoratori, sono aumentati a inizio anno per il nuovo taglio del cuneo fiscale deciso con la Manovra Finanziaria e poi aumentato con il Decreto Lavoro approvato lo scorso maggio, è aumentata fino a 3mila euro la soglia esentasse per i fringe benefit riconosciuti ai lavoratori dipendenti e si pensa anche ad altre misure per garantire aumenti di pensioni e stipendi ancora in modo da assicurare a tutti maggiore potere di acquisto.
La nuova intenzione è quella di introdurre un nuovo bonus 150-200 o detassare stipendi e pensioni una tantum, ma se non si interviene tutti aumenti 2023 saranno cancellati. Vediamo perché.
L’intenzione è, infatti, quella di definire una nuova detassazione per ridurre le tasse sulla tredicesima mensilità di dicembre fino al 15%. Il nuovo bonus una tantum per aumentare ancora pensioni e stipendi dei dipendenti italiani contro l’inflazione ancora alta non verrebbe riconosciuto a tutti i lavoratori ma, ancora una volta, solo a coloro che soddisfano determinati requisiti e condizioni.
Probabilmente, infatti, il nuovo bonus una tantum, sia erogato sotto forma di ulteriori soldi, sia riconosciuto con detassazione della tredicesima, dovrebbe interessare solo coloro che percepiscono redditi più bassi e forse la soglia sarà ancora una volta fissata sui 35mila euro annui, come già avvenuto per i bonus di 200 e 150 euro e per l’applicazione dei nuovi tagli del cuneo fiscale. Ma non resta che attendere le prossime decisioni del governo per capire come sarà definito il nuovo bonus, relativo importo e platea beneficiaria.
Se il nuovo bonus una tantum che il governo intende istituire dovrebbe garantire nuove aumenti per pensionati e lavoratori italiani, è bene sapere che senza nuovi interventi e conferme gli aumenti di quest’anno 2023 saranno a rischio, e altri molto ridotti.
Ma andiamo con ordine: tra rivalutazione pensionistica e nuovo taglio del cuneo fiscale, pensioni e stipendi sono aumentati quest’anno 2023 di qualche decina di euro, per alcuni anche centinaia di euro, ma si tratta di misure che se non confermate, per il taglio del cuneo fiscale che non è strutturale, o ben stabilite, come la nuova rivalutazione annua delle pensioni, potrebbero mettere a rischio gli aumenti definiti.
Partendo dal nuovo taglio del cuneo fiscale deciso con il Decreto Lavoro dello scorso primo maggio, è stato aumentato di ben 4 punti percentuali, passando dal 3% al 7% per chi percepisce redditi annui fino a 25mila euro, cioè per stipendi fino a 1.923 euro lordi mensili, e dal 2% al 6% per chi percepisce redditi annui lordi tra 25mila e 35mila euro, cioè per stipendi fino a 2.692 euro lordi mensili.
Non tutti i lavoratori dipendenti hanno, però, diritto ad avere gli aumenti degli stipendi perchè l’ulteriore taglio del cuneo fiscale si applica solo ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 35mila euro annui, per cui per lavoratori con stipendi dai circa 2.700 euro in su non è previsto alcun nuovo aumento. Tuttavia, il nuovo taglio del cuneo fiscale è una misura temporanea valida fino a fine anno per cui se non ci sarà una conferma tra settembre e ottobre, con nuovo decreto Lavoro su cui il governo sta lavorando, o con nuova riforma fiscale, o anche con la prossima Manovra Finanziaria 2024, che deve essere approvata entro fine anno per poi entrare in vigore a partire da gennaio 2024, allora si rischia la cancellazione degli aumenti riconosciuti e il ritorno agli stipendi più bassi prima percepiti.
Passando alla rivalutazione delle pensioni, che avviene ogni in base all’andamento di inflazione e dei prezzi al consumo Istat ma, secondo le previsioni, se entro ottobre non si decide un indice rivalutativo adeguato effettivamente all’inflazione vigente, gli aumenti delle pensioni 2024 sarebbero decisamente inferiori a quanto dovrebbero.
Si teme che, come già accaduto quest’anno, l’indice di rivalutazione pensionistica che sarà definito non sarà effettivamente adeguato all’andamento dell’inflazione, contribuendo così a ridurre gli aumenti delle pensioni auspicati e attesi.
Se, infatti, l’inflazione ora è al 6,4% circa e probabilmente a fine anno resterà sullo stesso livello, tra 6% e 7%, l’indice di rivalutazione delle pensioni per il 2024 dovrebbe essere almeno al 6% ma secondo le stime sarà più basso, forse al 4%, e si tratta di ripetere quanto già accaduto quest’anno, visto che l’inflazione a fine anno 2022 si attestava sull’11% ma l’indice di rivalutazione per il 2023 è stato fissato al 7,3%, alto certamente rispetto al solito ma che avrebbe dovuto essere almeno al 10% per garantire un effettivo maggiore potere di acquisto ai pensionati.