Aumentata nel Lazio, Calabria, ovunque
I principali evasori fiscali in Italia sono gli industriali seguiti da bancari e assicurativi, commercianti, artigiani, professionisti e lavoratori dipendenti.
La stima dell'organizzazione artigiana considera le riscossioni attualizzate tra scudi, concordati e sanatorie. E la cifra che emerge dalle tenebre è da capogiro. Secondo la Cgia, con i condoni è stata raggiunta la cifra record di 132 miliardi di euro incassati dallo Stato nell'arco di 45 anni. Da qui il suggerimento del segretario Renato Mason, secondo cui per ridurre le possibilità di evasione bisogna abbassare le tasse e contrarre il numero di adempimenti fiscali. Il tutto si inserisce alla perfezione all'interno della stima effettuata dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani, per cui la piaga dell'evasione fiscale è aumentata del 4,7% nel mese di maggio su base annua.
Secondo l'Ufficio studi della Cgia di Mestre, l'operazione più vantaggiosa per le casse dello Stato è stata la sanatoria fiscale del 2003 che ha permesso al Fisco di riscuotere 34,1 miliardi di euro. Ma degna di menzione è anche quella che nel 1973 ha aperto la stagione dei condoni: questa misura, avviata prima della riforma fiscale che ha introdotto l'Irpef, ha consentito di incassare 31,6 miliardi di euro. Anche le sanatorie applicate negli anni 80 sono state redditizie: tra il condono fiscale e quello edilizio intercorsi tra il 1982 e il 1988, lo Stato ha beneficiato di 18,4 miliardi di euro. La voluntary disclosure ovvero l'emersione dei capitali portati illegalmente all'estero voluta dal precedente governo, ha portato con sé un gettito di 5,2 miliardi di euro. Con la rottamazione delle cartelle esattoriali l'anno scorso il Fisco ha incassato 3,9 miliardi di euro.
Una misura una tantum che è servita a ridare un po' di ossigeno alle casse pubbliche e a ingrossare i risultati della lotta all'evasione che rimangono ancora inferiori alle attese, considerato il calcolo del Ministero dell’Economia, secondo cui è pari a 110 miliardi di euro l'anno.
E in parallelo si registra appunto la nuova stima del Centro Studi e Ricerche Sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics sulla base dei dati dello Sportello del Contribuente e cinque aree di evasione fiscale analizzate ovvero l'economia sommersa, l'economia criminale, l'evasione delle società di capitali, l'evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese. Le regioni in cui sono aumentati gli evasori fiscali?
Di interessante c'è anche lo studio per categorie, secondo cui i principali evasori fiscali in Italia sono gli industriali (33,2%) seguiti da bancari e assicurativi (30,7%), commercianti (11,8%), artigiani (9,4%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%).
Quote minori ovvero rischi di evasioni più contenuti di evasione fiscale nei settori dei servizi alle persone, nella produzione di beni alimentari e di consumo, nella sanità e nell'istruzione, nella produzione di beni di investimento, di beni intermedi, energia e rifiuti. Tra gli approfondimenti dello studio viene poi fuori come la Lombardia sia invece la regione con la più alta evasione imputabile alle imprese o alle partite Iva. Alle sue spalle si collocano nell'ordine Lazio, Campania e Veneto.
C'è evasione ed evasione. Perché se il tratto comune di imprese e professionisti (non tutti, per carità) è quello di eludere al fisco parte dei ricavi, c'è chi lo fa di più e chi è quasi costretto per ragioni di sopravvivenza. La lente di ingrandimento della Cgia di Mestre serve appunto per individuare le differenze ed evitare di fare tutta l'erba un fascio. Ma in un'ottica costruttiva, i dati forniti dall'organizzazione veneta sono anche preziosi per capire quali correttivi applicare. Ecco allora che andando a spulciare tra le tabelle prodotte, emerge come il massimo dell'evasione fiscale si registra tra le professioni. E tra queste, la maglia nera spetta alle attività legali e alla contabilità, seguite a stretto giro dall'attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale. Nel complesso, l'economia sommersa vale 207,5 miliardi di euro.
Sarebbe comunque sbagliato gettare la croce addosso ai lavoratori autonomi, proprio perché l'evasione fiscale è un tratto comune di più settori produttivi. Stando ai dati Cgia, quasi la metà delle aziende si macchia del reato di mancato versamento dell'Iva. Ma poi rimane in pista il problema del lavoro nero e anche i cittadini non sono immuni dal fare i furbetti con il fisco se il 17,8% di attività non dichiarate riguardano affitti in nero. In ogni caso, la rilevazione è utile per individuare le criticità nel sistema fiscale che spingono all'evasione. Per l'Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, ad esempio, l'indice va puntato contro il peso del prelievo fiscale e gli ostacoli burocratici ai danni degli imprenditori. E se il Sud è la regione che fa registrare il tasso maggiore di evasione (7,6%), a ruota ci sono il Centro (6,5%), il Nordest (6%) e il Nordovest (5,4%). E nessuna regione è esente, considerando questa graduatoria:
Quell'obbligo di denuncia al fisco non va proprio giù e scatta la rivolta dei commercialisti in rivolta. Perché in qualche modo viene inficiato il rapporto con i clienti. Succede infatti che secondo una direttiva dell'Unione europea, i professionisti sono obbligati a denunciare le operazioni sospette. A fare la spia, secondo una interpretazione cruda e senza troppi giri di parole. La norma comunitaria è stata pensata per bloccare gli schemi elusivi transfrontalieri delle multinazionali. Proprio queste sono le ragioni che hanno spinto Bruxelles a serrare i ranghi e stringere le maglie. Ma evidentemente non hanno fatti i conti con i destinatari del provvedimento e la loro volontà di mantenere autonomia nelle scelte.
Allarme allora sulla direttiva dell'Unione europea approvata lo scorso 13 marzo dall'Ecofin, che impone la segnalazione delle operazioni sospette. Come si legge testualmente nel documento, la volontà è di obbligare commercialisti e consulenti fiscali a comunicare gli schemi di pianificazione fiscale aggressiva predisposti per i loro clienti. Il timore è che possa essere solo il primo passo ovvero che dalla richiesta di prestare massima attenzione alle azioni delle grandi società (e soprattutto a segnalarle) si possa passare anche ai piccoli imprenditori e ai professionisti dei vari settori. Se la procedura sembra formalmente corretta, il rischio di andare oltre il dovuto è dietro l'angolo
Perché poi, cosa significa pianificazione fiscale aggressiva? Fino a che punto commercialisti e avvocati tributaristi sono chiamati a comunicare le operazioni dei loro clienti? Perfino l'Ace (Aiuto alla crescita economica) ovvero la misura per incentivare gli investimenti voluta dal governo italiano, è considerata da Bruxelles una pratica aggressiva. La posizione dei professionisti è chiara: non vogliono essere considerati pubblici ufficiali (d'altronde non lo sono) e i rapporti con i clienti sono destinati a essere a rischio. Tutti i dubbi dei consulenti fiscali sono stati riassunti in un documento inviato al Tesoro prima che Bruxelles approvasse il testo.
Come si legge nel documento spedito dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti al ministro dell'Economia, obbligare le persone a comunicare alle autorità pubbliche l'esistenza di fatti o atti illegali è il sogno di ogni governo. Ma se è vero che informatori volontari sono di norma previsti dalla legge, dall'altro l'obbligo di denuncia, soggetto a sanzioni penali in caso di violazione non è frequente anche in relazione a situazioni che sono chiaramente particolarmente gravi.
L’incubo di un grande fratello che sorveglia dall’alto la situazione patrimoniale di ciascuno, si materializza ogni giorno di più negli occhi dei contribuenti italiani. L’Agenzia delle Entrate ha infatti elaborato un nuovo algoritmo capace, stando alle indiscrezioni che circolano a riguardo, di dare un contributo determinante in questa sfida. Algoritmo che è già stato ribattezzato risparmiometro e già questa parola, per i contribuenti, suona sinistra visto che fa rima con redditometro che ha già provveduto a spargere timori e paure nei cuori dei contribuenti italiani negli scorsi anni. Si tratta, dunque, di un nuovo sistema per controllare e spiare i conti correnti da un Fisco sempre più invasivo.
Quindi il risparmiometro è il nuovo sistema elaborato dall’Agenzia delle Entrate per controllare le eventuali evasioni da parte dei contribuenti italiani. In maniera non certo sobrio a quanto pare. Il meccanismo alla base di questo strumento è quello di stimare le spese medie di ogni contribuente, confrontarle con il reddito dichiarato e capire se vi sono incongruenze, ovvero se le spese effettuate superano i redditi conseguiti. Il principio che ha ispirato questa misura potrebbe sembrare corretto.
Un accertamento fiscale non può fare a meno di indagare sui conti correnti, conti deposito ed obbligazioni, buoni fruttiferi e carte di credito, nonché prodotti finanziari emessi da assicurazioni e società che si occupano di compravendita di metalli preziosi. Il risparmiometro, però, inverte l’onere della prova: se sul tuo conto corrente ci sono pochi movimenti potresti essere un evasore. L’eventuale incoerenza riscontrata potrebbe essere sintomatica di un “rischio fiscale”. In mancanza di prove verrebbe applicata la tassa sul risparmio, non su tutta la somma depositata in banca ma soltanto su quella parte che, secondo i controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate, ritenuta eccessiva rispetto ai redditi dichiarati.
Il risparmiometro quindi potrebbe trasformarsi ben presto in un vero e proprio modo per spiare i conti correnti degli italiani ideato dal Fisco per ridurre al minimo le cattive tentazioni. Basta fare qualche esempio però per immedesimarsi nelle paure che in questo momento potrebbero spingere i contribuenti a vivere davvero stati di panico accentuato. Con il Fisco e con l’Agenzia delle Entrate, non si scherza, questo è chiaro. Proviamo a considerare un caso che non è poi così improbabile. Coppia di trentenni, con figli, i cui stipendi non bastano a soddisfare le spese quotidiane.
Ovvio che il ricorso all’aiuto dei propri genitori, magari pensionati, è un’ipotesi tutt’altro che peregrina da prendere in considerazione. E l’aiuto, magari per pagare l’affitto di casa, arriva in questi casi sempre in contanti. Come farebbero questi ragazzi a dimostrare al fisco da dove provengono questi soldi? La speranza è che i test a cui il risparmiometro sarà sottoposto prima di entrare in vigore in maniera ufficiale servano ad evidenziare tutto quello che no va per evitare che la scure dell’Agenzia delle Entrate si abbatta sui soliti noti. Quelli che hanno certamente meno colpe riguardo alla clamorosa evasione fiscale che si registra ogni anno in Italia.