Coronavirus, chi può non tornare a lavorare
Alcune categorie di lavoratori, alle prese con problemi di salute o con malattie specifiche, rischiano maggiormente di altre e possono rinviare il ritorno all'attività.
Il conto alla rovescia per la riapertura progressiva e graduale delle attività al termini dei giorni più critici della diffusione del contagio del coronavirus è già iniziato.
Se per la maggior parte dei lavoratori il rientro è programmato il 4 maggio, quando dovrebbe scattare l'attesa fase 2, per altri è già iniziato. Il governo ha infatti dato il via libera alla riapertura delle prime attività, come quelle legate alla silvicoltura, ma anche librerie e negozi di abbigliamento per bambini, mentre tanti altri negozi e fabbriche alzeranno la saracinesca nelle prossime due settimane.
C'è però un importante dettaglio che non va trascurato: fase 2 significa imparare a convivere con il coronavirus perché solo con la fase 3 ci sarà un cambio di marcia più deciso in cui le possibilità di contagio saranno prossime allo zero.
Ecco dunque che il rischio di diffusione del coronavirus è ancora ben presente e di conseguenza alcune categorie di lavoratori, alle prese con problemi di salute o con malattie specifiche, rischiano maggiormente di altre. Vogliamo quindi approfondire questo aspetto e dunque
Esistono alcune categorie di lavoratori per cui il periodo di malattia è equiparato alla ospedalizzazione o alla quarantena e tale periodo non è computabile ai fini del comporto.
Lo stanno ricordando in queste ore le organizzazioni sindacali a fronte delle numerose domande che stanno arrivano su chi può e non può tornare a lavorare con la riapertura delle aziende nella fase 2.
Pensiamo ad esempio a chi ha il diabete: deve tornare a lavorare? Come ricordano i rappresentanti dei lavoratori, l'opzione di assentarsi in malattia a scopo precauzionale è sicuramente concesso a coloro con necessità di terapie salvavita connesse agli stati morbosi e dunque ai soggetti vulnerabili.
Stessa opportunità per i malati oncologici, per gli immunodpressi e per coloro che hanno ottenuto il riconoscimento di soggetti svantaggiati con o senza connotazione di gravità in base alla legge 104.
La fase 2 va dunque affrontata con estrema cautela. Occorre cioè valutare con estrema attenzione la posizione dei lavoratori. Non basta naturalmente la parola del lavoratore di trovarsi in una condizione per cui è impossibile tornare al proprio posto.
Devono infatti presentare tutta la documentazione necessaria. I medici di famiglia sono quindi autorizzati dall'Istituto nazionale della previdenza sociale a emanare certificazioni di malattia per tutti i soggetti affetti da patologie croniche e in condizione di immunodepressione.
Lo rende noto lo stesso istituto, ricordando che il codice nosologico di riferimento è V07. L'Inps fa anche presente che in situazione di emergenza coronavirus, pazienti con patologia cronica e immunodepressi ma asintomatici sono da considerare a maggior rischio di contrarre infezione.