INPS, il nuovo rapporto su pensioni e stipendi fa molto discutere e preoccupare

di Marianna Quatraro pubblicato il
INPS, il nuovo rapporto su pensioni e st

Quali sono gli importanti dati che emergono dal nuovo recente Rapporto Inps su pensioni e stipendi che fanno discutere e preoccupano

Il XXII Rapporto annuale dell’Inps fotografa l’andamento dell’Istituto e sostenibilità e integrità del sistema welfare. Il Rapporto analizza, infatti, l’evoluzione annuale dello stato di salute del nostro Paese e gli effetti di tale stato sull’Istituto Previdenziale, confermando anche il sostanziale superamento della situazione crisi pandemica. Ma ci sono dati su stipendi e pensioni che fanno discutere e altri che preoccupano.

  • I dati su pensioni e stipendi che fanno discutere
  • Quali sono i dati di pensioni e stipendi che fanno preoccupare

I dati su pensioni e stipendi che fanno discutere

Secondo quanto riportato dal XXII Rapporto annuale Inps, le famiglie di pensionati delle fasce più povere, tra il 2018 e il 2022, hanno perso il 10,6% del reddito reale, ben oltre 10 volte di più rispetto ai lavoratori, e si tratta di un dato importante che dimostra come l'inflazione colpisca più i pensionati dei lavoratori, pensionati che non hanno tratto particolari vantaggi dagli aumenti dei trattamenti di quest’anno, considerando che, come dimostrano i numeri, non ci sono stati pieni aumenti per tutti come avrebbero dovuto esserci.

Inoltre, ha sottolineato nella sua relazione il commissario straordinario dell'Inps, Micaela Gelera, alla fine del 2022, i pensionati in Italia erano 16,1 milioni, numero di poco superiore a quello del 2021, e nel 2022 le prestazioni pensionistiche previdenziali dell'Inps hanno assorbito quasi il 92% della spesa pensionistica dell'istituto, su cui hanno pesato soprattutto i trattamenti di anzianità e anticipati (oltre il 56% della spesa totale dell'Inps). 

La quota delle prestazioni assistenziali supera l'8% e riguarda soprattutto l'invalidità civile. Pur se la percentuale dichiarata della spesa per prestazioni assistenziali risulta bassa, per molti in dubbio, il dato rimette in discussione la necessità di affrontare la questione (ancora) della netta separazione tra spesa prettamente pensionistica e spesa assistenziale.

In occasione della presentazione del XXII Rapporto annuale dell’Inps, è emerso anche come il tasso di occupazione in Italia sia attualmente al 61%, un massimo storico in precedenza mai raggiunto, dato che per molti fotografa un'Italia più attiva nel mondo del lavoro. Eppure ci sono ancora tantissime e grandissime differenze tra lavoratori ricchi e più poveri, tra lavoratori del Nord e lavoratori del Sud, tra uomini e donne. E non sono differenze irrilevanti e che devono sussistere.

Fa discutere anche il dato del Rapporto Inps sui cosiddetti working poor, cioè coloro che lavorano ma percepiscono molto poco: secondo i dati, sono 871.800 in Italia mentre coloro che sono molto poveri a causa di stipendi estremamente bassi sono solo 20mila persona, una componente considerata marginale.

Ma, poco più di un anno fa, presentando il precedente rapporto, l’ex presidente Tridico aveva sottolineato come il 23% dei lavoratori guadagnasse in quel momento meno del Reddito di cittadinanza (780 euro) e oltre 4,3 milioni non raggiungessero i 9 euro lordi all’ora. Ci si chiede allora come sia possibile che oggi i ‘poveri’ siano così tanto diminuiti, considerando che gli stipendi non sono aumentati per tutti così tanto. 

In realtà, nella sua analisi, l’Inps considera i propri dati amministrativi sulle retribuzioni dei dipendenti delle imprese private, escludendo, però, i lavoratori domestici e agricoli, e selezionando poi quelli con retribuzione sotto il 60% della mediana, cioè con una retribuzione lorda giornaliero di 48,3 euro, cioè circa 6 euro all’ora, su un solo mese, ottobre 2022, escludendo anche in questo caso tutti quelli che lavorano poche settimane o pochi mesi all’anno, che sono poi proprio coloro a maggior rischio di povertà.

L’Inps nel ‘racconto’ dei suoi dati non considera, quindi, i lavoratori domestici, che sono tantissimi e percepiscono pochissimo, i lavoratori agricoli, anch’essi moltissimi, gli stagionali, che rappresentano una grande platea di lavoratori ‘poveri’ che però non rientrano nei ‘poors’ del Rapporto, diminuendone la percentuale e così saltano, in realtà, i dati Inps perché non forniscono una reale fotografica di tutti i lavoratori della nostra Italia.

Non è, nella realtà, infatti, solo una minuscola parte povera e non lo è solo per stipendi bassi ma anche perché non ha un contratto stabile, ma un contratto intermittente (quindi a bassa intensità di lavoro) o di apprendistato o perché in cassa integrazione.

I poveri con un contratto a tempo pieno e poveri per stipendi ‘da fame’ sono, secondo l’Inps, 20.300 persone e rappresentano lo 0,2% sul totale della platea dipendenti, lavoratori, come emerge dal Rapporto, con specifici Ccnl, come quello delle agenzie di somministrazione con Assolavoro, o del terziario e servizi siglato da Confcommercio e della logistica e trasporto merci.

E qui nasce una buona osservazione: non è vero allora, come più volte dichiarato, anche dalla stessa premier Meloni, che il salario minimo in Italia non servirebbe e non contribuirebbe ad aumentare gli stipendi perché, come appena emerso, la contrattazione collettiva non sempre tutela abbastanza i lavoratori, considerando che ci sono moltissimi lavoratori in Italia i cui minimi retributivi sono ben sotto i 9 euro all’ora.

Quali sono i dati di pensioni e stipendi che fanno preoccupare

E se ci sono dati emersi dal nuovo Rapporto Inps che fanno discutere, ci sono altri dati emersi che fanno invece preoccupare, a partire da quelli sulle pensioni. Dalla relazione emerge, infatti, che le pensioni sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente, con un leggero aumento delle prestazioni.

In particolare, l’importo delle pensioni erogate di anzianità e anticipate è stato in media di 1.915 euro; le pensioni di vecchiaia risultano calare, con una media di 889 euro per prestazione, caratterizzata da una minore anzianità contributiva, mentre gli importi per le prestazioni assistenziali risultano ancor più bassi, di 470 euro. E non sono di certo numeri confortanti, anzi, dimostrano come gli importi delle pensioni in Italia sono ancora troppo bassi e non permettono a tutti di vivere una vita effettivamente dignitosa. 

E in virtù delle basse pensioni sono anche diminuite le richieste di viste mediche, soprattutto specialistiche. I costi ‘per la salute’ sono aumentati e non sono più accessibili alla maggior parte dei pensionati che, per impossibilità, si privano anche di tutelare la propria salute. 

Un ulteriore dato emerso dal Rapporto Inps che fa preoccupare è il divario sull’aspettativa di vita dei lavoratori. Secondo l’Istituto, infatti, i lavoratori con stipendi bassi vivono 5 anni in meno rispetto a chi guadagna di più e donne costrette a pensioni più magre del -36% rispetto agli uomini. 

E’ poi vero, come emerso dal Rapporto Inps, che il tasso di occupazione è salito, soprattutto quella stabile, attestandosi al massimo storico del 61%, con un aumento significativo del lavoro privato a tempo indeterminato, ma è anche vero che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, emerge una forte difficoltà di tenuta del sistema previdenziale, che non è più totalmente sostenibile con i soli contributi.

Altro dato che preoccupa emerso dal nuovo rapporto Inps è relativo alla reale disponibilità di redditi e stipendi. Secondo il Rapporto Inps, infatti, l’inflazione ha determinato una riduzione del reddito disponibile in termini reali dell’1,2% le e famiglie più colpite dall’inflazione alle del 2022 sono quelle dei pensionati italiani.

E’ chiaro, dunque, come sia necessario dare a questa categoria di persone un maggiore potere di acquisto che, però, probabilmente il governo dirotterà con la nuova Manovra Finanziaria soprattutto sui lavoratori dipendenti confermando l’ulteriore taglio del taglio del cuneo fiscale. E ci si chiede: si farà poi per davvero?