Il report dell'American academy of arts and sciences rincuora gli iscritti ai licei classici e alle discipline umanistiche delle università. Ma chi si laurea al Sud lavora dopo rispetto a chi lo fa al Nord.
Le lauree umanistiche, e non solo, ovvero tutte quelle sembrano essere quelle inutili, staccatte dalla realtà più concreta, quelle che sembrano portare difficilmente ad una occupazione, devono essere riconsiderate e non di poco. E poi gli stipendi medi in Italia e chi lavora di più e chi meno secondo recenti statistiche, una indagine che ha provocato non poche polemiche
La vulgata di questi anni è chiara: le lauree in materie umanistiche servono a poco ovvero non rispondono ai bisogni del mercato del lavoro. Meglio puntare su quelle tecniche, in grado di garantire maggiori opportunità occupazionali. Eppure le cose non stanno proprio così. Non secondo l'American academy of arts and sciences secondo cui le cosiddette arti liberali sono capaci di assicurare guadagni più alti e un grado di soddisfazione almeno paragonabile a quello degli altri corsi di studio universitari. Insomma, le inutili lauree umanistiche sono invece molto utili e danno sempre più lavoro. Anche se poi, in base al Rapporto Almalaurea sulla "Condizione occupazionale dei laureati", chi si laurea al Sud lavora dopo rispetto a chi lo fa al Nord.
Il report dell'American academy of arts and sciences rincuora gli iscritti ai licei classici e alle discipline umanistiche delle università italiane: le prospettive economiche non sono affatto negative. Sulla base di quanto si legge, i laureati percepiscono un reddito mediano, il valore al centro della curva di distribuzione, pari a 52.000 dollari l'anno dopo il titolo triennale e pari a 72.000 dollari dopo il conseguimento dell'equivalente della nostra laurea magistrale. Intendiamoci, si tratta di una cifra più bassa rispetto agli 82.000 dollari di chi si laurea in ingegneria, ma si tratta di un distacco non così marcato e comunque di una somma maggiore dei 34.000 dollari di chi ha conseguito solo un diploma.
E poi non è affatto detto che i laureati in materie umanistiche siano poi così distanti dalla realtà ovvero dalle nuove conquiste del sapere tecnologico. Come spiegato da Lorenzo Tomasin, ordinario di storia della Lingua italiana all'Università di Losanna, i laureati in ambito umanistico hanno un approccio teorico che si applica anche in ambiti che sembrano distantissimi. Tira in ballo gli esempi del machine learning e dello speech recognition: chi li può analizzare meglio di un umanista?, si domanda. E poi, chi entra in una facoltà umanistica sa dal primo giorno che non andrà a professionalizzarsi, fa ancora notare, e questo predispone dal punto di vista della reazione psicologica.
Come anticipato, secondo il nuovo rapporto di Almalaurea sulla "Condizione occupazionale dei laureati", tra Nord e Sud è forte la disparità territoriale tra i laureati magistrali biennali a un anno dal titolo: è pari a 18 punti percentuali. Si traduce in una quota di occupati pari al 65 per cento tra i residenti al Nord e al 47 per cento tra coloro che risiedono nelle aree meridionali.
Queste informazioni si rivelano particolarmente utili alla luce della situazione degli stipendi medi in Italia. Anche e soprattutto perché secondo il Trades Union Congress, nel 2018 in Italia è prevista una decrescita dei salari. Provando ad analizzare la situazione di alcune delle categorie più popolari, la fotografia è la seguente:
Se si guarda all'industria, i lavoratori dipendenti con 40,5 ore medie lavorate alla settimana si trovano infatti nella media europea. L'Italia è ultima soprattutto per ore lavorate nel settore dell'educazione con 28,9 ore la settimana, circa dieci in meno della media dell'Unione europea (38,1 ore) e quasi 14 in meno del Regno Unito.
Nei dati rilevati dal dossier emerge quanto lavorano gli italiani rispetto ai cittadini degli altri Paesi europei. E quali sono i settori, e le professioni, in cui la settimana lavorativa dura più che per altri? Ai piani alti ci sono gli inglesi, che registrano una media di 42,3 ore la settimana mentre il nostro risulta un popolo dunque di santi, poeti navigatori, ma di certo non di (grandi) lavoratori. L'Italia - stando alla più recente rilevazione dell'ufficio statistico dell'Unione europea - è il Paese nel quale si lavorano meno ore la settimana (37,2 in media) a fronte delle 39,6 dei colleghi della Unione europea. È ultima soprattutto per ore lavorate nel settore dell'educazione con 28,9 ore la settimana: circa dieci in meno della media europea e quasi 14 in meno del Regno Unito.
La colpa di una scarsa prduttività e di poche ora lavorate viene data in Italia, che fa calare drasticamene la media, ad insegnati e personale scolastico e dipednenti pubblici. E questi dati , su queste due categorie, non sono stato certo accolti bene dagli interessati con relativa polemica
I lavoratori dipendenti italiani assunti negli alberghi e nelle strutture della ristorazione sono impegnati in media 41,5 ore la settimana, dato in linea con la media europea. Anche in questo caso superano i tedeschi che segnano 41,2 ore. Il dossier redatto dall'Eurostat ha preso in considerazione anche il settore bancario e assicurativo: i dipendenti italiani lavorano circa 39,4 ore (40,6 è la media dell'Unione europea). Le ore di lavoro scendono per chi è occupato nella sanità e nei servizi di cura: qui i dipendenti sono impegnati in media per 37,5 ore, quasi due ore in meno rispetto ai colleghi europei che di ore, in media, ne lavorano 39,4. Nel Regno Unito salgono a 40,6.
Questo è il quadro dei lavoratori dipendenti: il numero di ore lavorate cresce invece in modo consistente per i lavoratori autonomi. In Italia gli occupati indipendenti lavorano 45,8 ore la settimana a fronte delle 47,4 ore nel resto della Unione europea. Al primo posto, c'è il Belgio con 54,1. Più stakanovisti risultano quelli che hanno aziende con dipendenti: 48,7 ore a fronte delle 50,1 registrate in media nel resto dell'Europa rispetto a quelli senza dipendenti. Questi ultimi sono impegnati ogni settimana 44,5 ore a fronte delle 46,1 medie dell'Unione europea.