Spetta alla singola azienda determinare i criteri e l'organizzazione del lavoro quotidiano, anche in riferimento alla gestione delle pause.
Nessun dipendente dovrebbe lanciarsi in maratone lavorative di 8, 10 o 12 ore di lavoro consecutivo. Il fisico e la mente non reggerebbero ed è la stessa legge a metterlo nero su bianco. La principale difficoltà che deriva dall'individuazione delle corrette pause nell'impiego a turni deriva dall'assenza di una legge che stabilisce il numero massimo di ore al giorno di lavoro.
Perché sappiamo solo che l'orario settimanale è di 40 ore da distribuire in 5 o 6 giorni e fermo restano che i contratti collettivi nazionali di categoria possono prevedere alcune particolarità come il cosiddetto orario multiperiodale o una durata più breve. In fin dei conti non bisogna dimenticare che non tutti i lavori sono uguali e alcune mansioni, per il tipo di fatica o per le condizioni dell'impiego, non possono essere esercitate per molte ore consecutive.
Stabilito allora che la legge non stabilisce il numero massimo di ore al giorno di lavoro, spetta alla singola azienda determinare i criteri e l'organizzazione del lavoro quotidiano sia in riferimento al limite massimo di ore di impiego e sia all'ora di ingresso e a quella di uscita. E anche alla durata e alla modalità di fruizione delle pause tra un turno e l'altro.
Al netto delle esigenze aziendali e dell'organizzazione interna, le norme 2019 stabiliscono i criteri di base. Se sono previste nell'arco della giornata più di 6 ore di lavoro, il dipendente ha diritto a una pausa per il riposo e da impiegare come meglio crede. E fermo restando che deve durare almeno 10 minuti nel contesto dell'orario di lavoro, sono i contratti collettivi a stabilire la durata dell'intervallo.
In base alla mansione svolto e al tipo di impiego può infatti essere necessario una pausa più lunga. Pensiamo ad esempio ai metalmeccanici. Un altro aspetto chiave, oltre alla durata, è il momento della giornata in cui il lavoratore può fermarsi per rifiatare e recuperare energie mentali e fisiche. Spetta ancora una volta al datore di lavoro individuare il momento migliore tenendo conto della doppia esigenza dell'organizzazione aziendale e del riposto dei dipendenti.
Le norme stabiliscono testualmente che se l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa lavoro, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.
Un caso a parte è quello del riposo tra un turno e l'altro, rispetto a cui occorre fare trascorre almeno 11 ore di riposo ogni 24 ore con base di partenza l'inizio della prestazione lavorativa. A ben vedere si tratta di una disposizione che non sempre viene rispettata alla lettera. Anche in questo caso è possibile ricordare il riferimento normativo per cui il lavoratore ha diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero. L'intervallo consecutivo - si legge - è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.