Aumenti pensioni e stipendi avvenuti finora quest'anno saranno cancellati se non si interviene tra Settembre-Ottobre

di Marianna Quatraro pubblicato il
Aumenti pensioni e stipendi avvenuti fin

Quali sono i provvedimenti che eviterebbero rischi di nuove riduzioni sia per pensioni che per stipendi: ecco cosa è cambiato quest’anno e prospettive

Perché gli aumenti di pensioni e stipendi del 2023 sono a forte rischio di annullamento se non si interviene tra Settembre-Ottobre? Quest’anno pensioni e stipendi sono aumentati rispetto allo scorso anno per la rivalutazione le prime e per nuovo taglio del cuneo fiscale i secondi, a cui aggiungere anche aumenti ulteriori riconosciuti nei mesi, dalla quattordicesima più alta, a bonus, ecc. Ma se non saranno confermati alcuni interventi, sia pensioni che stipendio rischiano di ridursi di nuovo. 

  • Aumenti pensioni 2023 a rischio se non si interviene tra Settembre-Ottobre
  • Perché gli aumenti degli stipendi del 2023 sono a rischio di annullamento se non si interviene tra Settembre-Ottobre

Aumenti pensioni 2023 a rischio se non si interviene tra Settembre-Ottobre

Gli aumenti delle pensioni 2023 sarebbero a rischio se non si interviene tra settembre e ottobre, o con nuova riforma fiscale, o con nuovo Decreto Lavoro, o con le prime misure da inserire poi nella nuova Manovra finanziaria 2024, a causa della rivalutazione non piena per tutte le pensioni, ad eccezione di quelle più basse, decise per quest’anno e sia per le percentuali rivalutative e sia per l’indice di rivalutazione da definire.

Ma andiamo con ordine: la rivalutazione delle pensioni avviene ogni in base all’andamento di inflazione e dei prezzi al consumo Istat ma, secondo le previsioni, se entro ottobre non si decide un indice rivalutativo adeguato effettivamente all’inflazione vigente, gli aumenti delle pensioni 2024 sarebbero decisamente inferiori a quanto dovrebbero.

Se, infatti, l’inflazione ora è al 6,4% circa e probabilmente a fine anno resterà sullo stesso livello, tra 6% e 7%, l’indice di rivalutazione delle pensioni per il 2024 dovrebbe essere almeno al 6% ma, molto probabilmente più basso, forse al 4%, e si tratta di ripetere quanto già accaduto quest’anno, visto che l’inflazione a fine anno 2022 si attestava sull’11% ma l’indice di rivalutazione per il 2023 è stato fissato al 7,3%, alto certamente rispetto al solito ma che avrebbe dovuto essere almeno al 10% per garantire un effettivo maggiore potere di acquisto ai pensionati.

A mettere a rischio l’aumento delle pensioni che dovrebbe effettivamente essere calcolato ci sono anche le nuove percentuali rivalutative decise dal governo Meloni per la perequazione delle pensioni. Le percentuali di rivalutazione in vigore da quest’anno 2023 non sono più tre ma sei e si riducono all’aumentare della pensione percepita, riducendone, di conseguenze, il potere rivalutativo.

In particolare, le precedenti percentuali rivalutative erano tre ed erano le seguenti:

  • del 100% per le pensioni fino a tre volte il minimo, fino a 2062 euro lordi;
  • del 90% per le pensioni tra tre e cinque volte il minimo, fino a 2577,90 euro lordi;
  • del 75% per gli assegni oltre cinque volte il minimo, oltre 2.577,90 euro lordi.
Le nuove percentuali di rivalutazione delle pensioni sono sei e sono le seguenti:
  • 100% per gli assegni fino a 4 volte il minimo, pari a 2.100 euro lordi mensili;
  • 85% per pensioni fino a 5 volte al minimo, fino 2.626 euro lordi al mese;
  • 53% per pensioni fino 6 volte il minimo, fino a 3.150 euro;
  • 47% per pensioni fino a 8 volte il minimo, pari a 4.200 euro;
  • 37% per pensioni fino a 10 volte il minimo, fino a 5.250 euro mensili;
  • 32% per pensioni oltre le 10 volte il minimo.
E’ chiaro che, calcolando la rivalutazione sulle sei nuove percentuali, ad eccezione delle pensioni più basse per cui resta la piena rivalutazione, tutte le altre pensioni sarebbero decisamente penalizzate.

Perché gli aumenti degli stipendi del 2023 sono a rischio di annullamento se non si interviene tra Settembre-Ottobre

Passando al capitolo stipendi, tra settembre e ottobre, o con la definizione del nuovo Decreto Lavoro o decidendo le misure che rientreranno nella nuova Manovra Finanziaria 2024, per evitare rischi di mancati nuovi aumenti degli stipendi del 2023 anche il prossimo anno, bisogna confermare il taglio del cuneo fiscale al 7% approvato con il Decreto Lavoro rendendolo strutturale. 

Lo scorso mese di maggio, il governo ha, infatti, aumentato il taglio del cuneo fiscale di ben 4 punti percentuali, portandolo dal 3% al 7% per chi percepisce redditi annui fino a 25mila euro, cioè per stipendi fino a 1.923 euro lordi mensili, e dal 2% al 6% per chi percepisce redditi annui lordi tra 25mila e 35mila euro, cioè per stipendi fino a 2.692 euro lordi mensili.

Con il nuovo taglio del cuneo fiscale, per esempio, uno stipendio di 1.500 euro, a luglio è aumentato di 105 euro, di 112 euro per chi prende stipendi di 1.600 euro, di 96 euro per chi prende stipendi di 2.100 euro fino a 161 euro per chi prende stipendi di 2.692 euro.

Non tutti i lavoratori dipendenti hanno, però, diritto ad avere gli aumenti degli stipendi perchè l’ulteriore taglio del cuneo fiscale si applica solo ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 35mila euro annui, per cui per lavoratori con stipendi dai circa 2.700 euro in su non è previsto alcun nuovo aumento. 

Al momento, però, stando a quanto definito con il Decreto Lavoro, il taglio del cuneo fiscale al 7% vale solo fino a fine anno, poi per evitare di far tornare gli stipendi ai livelli più bassi di prima ma continuare a garantire aumenti e, quindi, maggior potere di acquisto, bisognerebbe confermare il taglio del cuneo fiscale ancora per il prossimo anno.