Non solo dubbi e incertezza ma anche paradossi per aumenti di pensioni e stipendi il prossimo anno contro un’inflazione galoppante
Quali sono le incognite e i paradossi su rivalutazione pensioni e stipendi nel 2023? Le misure decise dall’ex governo Draghi di rivalutazione anticipata delle pensioni al 2% da ottobre a dicembre 2022 e conguagli allo 0,2% retroattivi da gennaio 2022, e di decontribuzione al 2% per gli stipendi si sono rese necessarie a causa dell’improvviso rialzo dell’inflazione, a causa di un andamento economico a livello mondiali decisamente particolare, causa soprattutto del conflitto ucraino.
Si tratta, però, di misure che contribuiscono ad aumentare pensioni e stipendi fino alla fine dell’anno perché cesseranno i loro effetti il 31 dicembre 2022 e ciò significa che si attendono nuovi provvedimenti dal nuovo governo Meloni che contribuiscano a garantire sia a pensionati che a lavoratori aumenti, rispettivamente, di pensioni e stipendi tali da continuare a garantire loro maggiore potere di acquisto contro un’inflazione galoppante. Ma ci sono incognite e paradossi.
La rivalutazione automatica delle pensioni scatta infatti ogni anno ma la grande incognita è che non si sa ancora su quale indice avverrà la rivalutazione delle pensioni nel 2023. Se, infatti, la rivalutazione annuale delle pensioni si basa sull’andamento dell’inflazione, considerando l’attuale andamento dell’inflazione galoppante, dovrebbe essere al 10% o anche all’11%, ma sarà difficile che sarà effettivamente calcolata su tale indice.
Mancano, infatti, le adeguate risorse economiche per garantire a tutti i pensionati aumenti delle pensioni su tali percentuali, per cui le strade saranno molto probabilmente altre da percorrere.
Con la rivalutazione pensionistica al 10% nel 2023, per esempio, le pensioni sui mille euro aumenterebbero di 100 euro al mese, per chi percepisce, invece, pensioni da 1.400 euro l’aumento sarebbe di 140 euro, che salirebbero a 200 euro per chi prende pensioni mensili da 2mila euro e così via secondo le percentuali riportate stabilite dalla legge.
Le ulteriori ipotesi in ballo al momento per la rivalutazione delle pensioni nel 2023 sono:
Se per garantire aumenti delle pensioni anche nel 2023 regna la grande incertezza sulla percentuale su cui calcolare la rivalutazione pensionistica del prossimo anno, peggio è la situazione per gli stipendi.
Pur se incerta, la rivalutazione delle pensioni nel 2023 avverrà comunque perché la legge stabilisce lo scatto automatico annuale degli importi di pensione da adeguare all’inflazione, per quanto riguarda gli stipendi, non esiste per tali importi un sistema di rivalutazione per adeguarne gli importi all’andamento economico e inflazionistico eppure, paradossalmente, l’inflazione colpisce anche i lavoratori.
Se l’inflazione sale e il caro vita aumenta ma gli stipendi restano sempre gli stessi, a meno che non scattino singoli rinnovi contrattuale che aumentano gli importi delle retribuzioni, il potere di acquisto dei lavoratori diminuisce, il che significa bloccare anche consumi ed economia, in generale.
Seppure dunque in maniera differente, per evitare differenze di trattamenti per pensioni e stipendi, l’ideale sarebbe valutare un nuovo sistema, strutturale, che sia sempre e comunque in grado di assicurare anche ai lavoratori aumenti periodici e cadenzati, pur se non elevati, che possa sempre garantire anche ai lavoratori come ai pensionati di avere maggiore potere di acquisto e di adeguamento all’andamento dell’economia attuale.
Nel frattempo, ciò che si sa è che per aumentare gli stipendi nel 2023 si parla o di nuovo taglio del cuneo fiscale o di introduzione della flat tax incrementale o di una combinazione di entrambe.
Alla luce dei possibili nuovi sistemi attualmente al vaglio del governo per aumentare gli stipendi nel 2023, per stipendi tra 500-3000 euro gli aumenti sarebbero diversi a seconda che si opti per nuovo taglio del cuneo fiscale, che secondo le stime dovrebbe portare aumenti medi tra 80-100 euro mensili, o anche 120, a seconda dei redditi che si percepiscono.
Teoricamente, chi percepisce uno stipendio di 500 euro dovrebbe avere aumenti mensili di circa 80 euro, mentre per stipendi sui 2mila euro si salirebbe sugli oltre 100 euro di aumento al mese e così via fino e oltre i 3mila euro.
Diverso, invece, sarebbe il calcolo dell’aumento degli stipendi con la flat tax incrementale: il principio della flat tax incrementale è quello di applicare l’aliquota unica del 15% sulla eventuale differenza di reddito tra un anno e un altro.
Con la flat tax incrementale, prendendo il caso di un lavoratore dipendente con stipendio di mille euro al mese con un reddito annuo di 13mila euro nel 2022 e 15mila euro nel 2023, se oggi i 2mila euro di aumento sarebbero tassati al 23%, aliquota applicata al primo scaglione di reddito Irpef, cioè 460 euro, con la flat tax incrementale al 15% si pagherebbero 300 euro, ottenendo così un aumento netto di 160 euro dello stipendio.
Se, invece, prendiamo il caso di un lavoratore che ha un reddito mensile di circa 2.700 euro per circa 35mila euro annui che salgono a 45mila euro per l’anno successivo, sui 10mila di differenza di reddito di applica il 15% di flat tax invece che l’aliquota del 35% valida per redditi entro fino a 50mila euro, con un risparmio di diverse centinaia di euro annue.
Per chi ha un reddito annuo di 36.400 euro per 2.800 al mese per 13 mesi un anno e l’anno successivo ha un reddito più alto di 3mila euro al mese per un totale annuo di 39mila euro, paga il 15% sui 2.600 euro di differenza e non il 38% previsto per lo scaglione di reddito di appartenenza.