Rivalutazione delle pensioni 2023 al 7,3% potrebbe essere congelata o bloccata ma non per tutti: cosa prevedono le ipotesi al vaglio
Il decreto firmato dal Ministero dell’Economia per la rivalutazione delle pensioni nel 2023 ha previsto un ricalcolo delle pensioni a partire dal primo gennaio 2023 sull’indice provvisorio del 7,3%, con criteri di ricalcolo che prevedono la rivalutazione del trattamento pensionistico secondo tre diverse percentuali del 100%, 90% e 75% in base all’importo di pensione che si percepisce, e quindi a seconda del reddito inizialmente percepito.
L’indicizzazione è stata definita in maniera progressiva per scaglioni, considerando il trattamento minimo di 515,58 euro (importo annuo pari a 6.829,94 euro). La rivalutazione pensionistica al 7,3% non si vedeva da decenni ma, stando alle ultime notizie, ora per l’aumento delle pensioni di gennaio, la rivalutazione potrebbe essere congelata o bloccata per pagare sistemi di uscita nel 2023. Vediamo perché e cosa sta succedendo e potrebbe succedere.
La prima potrebbe essere quella di congelare, cioè di sospendere temporaneamente, la rivalutazione pensionistica al 7,3% ma solo sui redditi maggiori per poi effettuare un ricalcolo eventualmente nel corso dell’anno.
Altra ipotesi di lavoro potrebbe essere quella non di un congelamento della rivalutazione 2023 ma di un blocco totale e anche in tal caso solo per chi percepisce pensioni alte, presumibilmente dai 40mila euro in su. Si tratta di congelamenti e blocchi che permetterebbero al governo di risparmiare soldi da investire poi per la definizione di sistemi di uscita anticipata per tutti ma
Alle ipotesi di lavoro di blocco della rivalutazione delle pensioni al 7,3% a partire da gennaio 2023, sono già arrivate risposte contrarie da parte di chi sostiene che non debba esserci alcun taglio delle rivalutazioni delle pensioni che sono comunque importanti per tutti al pari della possibilità di andare in pensione prima, o forse anche di più perché comunque riguardano tutti i pensionati e non solo una parte.
A farsi da portavoce di tale posizione la capogruppo del Pd alla Camera, Debora Serracchiani, secondo cui sarebbe inaccettabile congelare ulteriormente l'adeguamento delle pensioni di milioni di pensionati per finanziare altre misure, perché in tal modo di cancellerebbe la possibilità di recuperare il potere d'acquisto fortemente toccato dall’andamento dell’inflazione.
Se dal governo trapeli l’intenzione di congelare e in alcuni casi bloccare la rivalutazione delle pensioni nel 2023 al 7,3% per recuperare soldi e finanziare altre misure, è bene spiegare che la tessa rivalutazione al 7,3% decisa per il prossimo anno in via provvisoria non sarebbe comunque piena per tutti, per cui non si dovrebbero investire in realtà tutti i soldi sulla carta calcolati considerando il sistema ‘classico’ di rivalutazione pensionistica nonché quello degli arretrati da considerare.
Le leggi in vigore non prevedono, infatti, mai una piena rivalutazione per tutti ma solo per pensioni entro determinati importi, fissando percentuali di rivalutazione differenti in base ai redditi che sono del: