Tanti ostacoli economici e politici portano ad una possibile soluzione di compromesso anche momentanea e temporaneo per la riforma pesioni 2023
La riforma delle pensioni 2023 continua ad essere ancora distante: nonostante, come riportano le ultime notizie, siano riprese le discussioni in merito, il dibattito previdenziale sia tornato vivo e le proposte avanzate continuano ad essere diverse, altrettanto diverse sono oggi le difficoltà e i problemi per la definizione di una nuova riforma delle pensioni che superi l’attuale Legge Fornero. Ma si parla di una soluzione compromesso per la riforma delle pensioni 2023 che prende sempre più piede.
Si tratta di un quadro generale al momento assolutamente assente: la situazione politico-economica di questo momento non è assolutamente la favorevole per sedersi a parlare di novità per le pensioni tra inflazione che continua ad aumentare (e continuerà a farlo) come effetto della guerra in Ucraina, prezzi dei beni di consumo in aumento, prezzi energetici schizzati alle stelle, risorse che mancano e rivalutazioni di tutte le prestazioni previdenziali che costeranno già circa 12-13 miliardi di euro dal 2023, nonché impegno del governo a definire misure e piani del Pnrr, con rispettiva divisione delle risorse disponibili. E si tratta di un impegno da cui non si può ora prescindere.
E poi ci sono le elezioni politiche del prossimo anno, appuntamento che rende restii a lavorare su una riforma delle pensioni che potrebbe risultare impopolare e far, di conseguenza, calare eventualmente i consensi, senza considerare che il premier Draghi ha più volte ribadito di non voler allargare ulteriormente il deficit del paese.
Secondo gli esperti, dunque, anche quest’anno 2022 potrebbe chiudersi con un nulla di fatto effettivo e concreto sulle novità pensioni che tanto si attendono.
Nel frattempo si pensa ad una soluzione di compromesso per la riforma delle pensioni 2023 e che è stata annunciata come pensione in due tempi.
Pur essendo ancora al momento bloccati i tavoli tra governo e sindacati, sembra che il governo stia discutendo di un sistema di pensione cosiddetto in due tempi per garantire una maggiore flessibilità in uscita e permettere a chi lo desiderasse di andare in pensione prima dei 67 anni di età, ricevendo una parte della pensione, quella contributiva, prima dei 67 anni, e una parte della pensione, quella retributiva, una volta maturati i normali requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi).
Solo una volta maturati comunque i requisiti pensionistici normalmente richiesti si riceverebbe così la propria pensione piena. Inoltre, per andare in pensione a due tempi bisognerà raggiungere almeno 63 o 64 anni di età, aver maturato almeno 20 anni di contributi versati allo Stato e una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale.
Si pensa anche a prorogare ancora le forme pensionistiche già in vigore che permettono ad alcune categorie di persone di andare in pensione prima, da ape social anche per precoci e usuranti con la platea dei beneficiari che è stata già allargata, a opzione donna.
Opzione donna potrebbe, inoltre, essere rivista e resa strutturale e che permetterebbe ancora alle lavoratrici sia dipendenti (private e pubbliche) che autonome di anticipare l’uscita dal lavoro rispettivamente a 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti sia pubbliche che private e a 59 anni di età per le lavoratrici autonome, avendo maturato 35 anni di contributi, e accettando il calcolo della propria pensione finale esclusivamente con metodo contributivo, andando in alcuni casi a tagliare l’importo spettante di assegno finale di pensione. Tutto è, però, ancora in ballo.