Quali sono le decisioni che si attendono sia per miglioramenti che per peggioramenti di stipendi e pensioni: anticipazioni e chiarimenti
Si va verso la definizione delle nuove misure che dovranno rientrare nella prossima Manovra Finanziaria 2024 e, tra posizioni contrastanti su alcuni provvedimenti e le poche risorse economiche disponibili, tramontata l’ipotesi di una riforma delle pensioni strutturale, è il momento delle decisioni da prendere su stipendi e pensioni tra miglioramenti e peggioramenti importanti.
Partendo dal taglio del cuneo fiscale, si punta a rendere strutturale l’aumento deciso con il nuovo Decreto Lavoro di maggio, che ha portato il taglio del cuneo fiscale dal 3% al 7% per redditi annui fino a 25mila euro e dal 2% al 6% per redditi tra 25mila e 35mila euro annui, e se non saranno disponibili le risorse economiche per farlo diventare strutturale, quanto meno si punta ad una proroga della misura per i primi sei mesi dell’anno, rimandando, dunque, eventuali altri discussioni e decisioni all’inizio della prossima estate.
L’aumento del taglio del cuneo fiscale da confermare prevederebbe, però, miglioramenti degli stipendi non a tutti i lavoratori dipendenti, ma, dunque, solo a chi ha redditi entro i 35mila euro all’anno, cioè per chi percepisce stipendi fino a 2.692 euro lordi mensili.
Altra decisione attesa che potrebbe prevedere miglioramenti per gli stipendi è quella relativa all’estensione dei fringe benefit. E’ stata, infatti, già aumentata la soglia esentasse fino a 3mila euro dei fringe benefit ma solo ai lavoratori dipendenti con figli minori.
I fringe benefit sono importi riconosciuti ai lavoratori per l’uso di beni e servizi che si aggiungono alla retribuzione principale e che prevedono ufficialmente da settembre nuovi limiti per la non imponibilità dell’agevolazione che può essere concessa ai lavoratori dai datori di lavoro.
I benefit che non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente sono somme riconosciute o rimborsate ai lavoratori dai datori di lavoro sono, per esempio, buoni spesa, buoni pasto, buoni per cellulari, computer o auto aziendali, prestiti agevolati, ecc, e rientra tra i fringe benefit che il datore di lavoro può riconoscere ai lavoratori anche il pagamento delle utenze domestiche di luce, acqua e gas.
Ma la vera sorpresa che potrebbe essere decisa portando nuovi aumenti per gli stipendi (anche in tal caso non per tutti ma solo per chi ha determinati redditi) potrebbe essere o l’istituzione del nuovo bonus una tantum sulla scia del bonus già riconosciuto lo scorso anno di 150-200 euro dal governo Draghi che, seppur paradossale perché essendoci poche risorse economiche bene sarebbe impiegare quelle disponibili in misure strutturali più che una tantum, potrebbe essere un errore da un punto di vista finanziario ma rappresentare una misura immediata a diretta per garantire aumenti di stipendi per ottenere anche maggior consenso in vista delle elezioni europee del prossimo anno.
Sarebbero, però, esclusi dalla misura i lavoratori che percepiscono redditi più alti, perché la misura interesserebbe ancora una volta chi percepisce redditi medio-bassi. A migliorare gli stipendi potrebbe arrivare anche la nuova detassazione della tredicesima mensilità.
La decisione peggiorativa che potrebbe incidere, in negativo, sugli stipendi è, invece il possibile mancato rinnovo del Ccnl statali. Stando, infatti, a quanto riportano le ultime notizie, per il rinnovo del contratto degli statali sarebbero necessari circa 8 miliardi di euro ma si tratta di risorse non disponibili e facili da trovare, per cui potrebbero essere previsti solo misure parziali.
Parte delle risorse dovrebbero essere recuperate, secondo i piani del governo, da tagli alla spesa pubblica, o sottraendole alle cosiddette politiche invariate, come, per esempio, proprio per i rinnovi contrattuali e altre spese per la continuità dei servizi pubblici, ma non si sa se effettivamente saranno recuperati i soldi necessari per cui tutto è ancora in forse e incerto.
Passando al capitolo pensioni, si presenta molto ampio per gli interventi da attuare e attesi, ma anche in questo caso, sempre per mancanze di risorse economiche, non tutto, se non poche cose, si potrà fare.
A partire dai miglioramenti: non ci sarà una vera e propria riforma delle pensioni per abbassare per tutti l’età pensionabile, ma probabilmente solo qualche proroga di misure già in vigore, come l’ape social per andare in pensione a 63 anni di età e con 30 anni di contributi ma da ampliare a ulteriori categorie di lavoratori usuranti e gravosi, o la quota 103, per andare in pensione a 62 anni di età e con 41 anni di contributi, anche se al momento è molto incerta la misura.
Sembra, invece, tramontare la possibilità di approvazione della pensione anticipata con quota 41 per tutti, per permettere di andare in pensione solo con 41 anni di contributi e senza alcun requisito anagrafico stabilito ma accettando di calcolare la propria pensione finale esclusivamente con sistema contributivo, decisione che permetterebbe di risparmiare soldi ma non sarebbe abbastanza per l’approvazione della misura.
In tema di uscite anticipate per le pensioni, l’unica decisione positiva per le pensioni potrebbe essere il nuovo strumento unico per gli esodi incentivati contestuali a nuove assunzioni che permetterebbe di anticipare la pensione da 5-7 a 10 anni.
Il nuovo strumento unico per gli esodi incentivati potrebbe riunire gli attuali sistema di uscita anticipata di contratto di espansione, che permette di andare in pensione prima fino a 5 anni, isopensione, che permette di andare in pensione prima fino a 7 anni, e trattativa privata tra impresa e singolo lavoratore, permettendo di anticipare la pensione fino a 5-7 anni percependo un’indennità fino alla maturazione dei normali requisiti di pensione richiesti.
Andando in pensione prima con il nuovo sistema si perderebbero, però, completamente i contributi degli anni persi a lavoro per l’uscita anticipata, correndo il rischio di ricevere una pensione finale più bassa.
Decisioni migliorative per quanto riguarda gli importi di pensione, dovrebbero interessare le pensioni minime, che potrebbero aumentare da 600 a 700 euro a partire da gennaio 2024, ma anche le pensioni di chi percepisce redditi medio-bassi, tra nuovo bonus una tantum simile a quello dello scorso anno riconosciuto dall governo Draghi di 150-200 euro, e detassazione della tredicesima.
Decisioni peggiorative per le pensioni potrebbero essere prese per recuperare ulteriori miliardi di euro da investire nella nuova Manovra, da nuove misure contro l’evasione, dalla rivalutazione non piena delle pensioni anche per il prossimo anno a causa delle percentuali rivalutative nuove decise dal governo.
In particolare, le precedenti percentuali rivalutative in vigore lo scorso anno 2022 erano tre ed erano le seguenti:
E decisioni peggiorative relative alla rivalutazione pensionistica 2024 si attendono anche per il tasso di rivalutazione annua delle pensioni che, secondo le aspettative, dovrebbe essere più basso rispetto al tasso di inflazione, portando aumenti delle pensioni per tutti inferiori al previsto, come già accaduto quest’anno.