La batteria nucleare 10 volte più durevole
Protagonisti della realizzazione che si basa sul decadimento beta del nichel-63 e sfrutta diodi molto efficienti per far passare la corrente sono stati ricercatori russi.
Batterie nucleari, un prototipo creato mai visto primo cn una durata e una autonomia mai vista. E la rivoluzione del'energia pulita che vede sempre l'Italia protagonista.
Il solo fatto che il prototipo raggiunge una potenza di 10 volte superiore rispetto a quelle chimiche di uso comune apre scenari impensabili per la batteria nucleare. E non spaventi la denominazioni perché, a differenza di quelle tradizioni, non si basano si una reazione chimica ma sfruttano una reazione nucleare spontanea. Si tratta del cosiddetto decadimento beta, in cui un elemento chimico si trasforma in un altro elemento con un differente numero atomico. A cambiare è il numero di protoni nell'atomo. I ricercatori hanno allora sviluppato una prototipo di batteria nucleare utilizzando il nichel-63 come elemento che decade per convertire l'energia.
Protagonisti di questa realizzazione che si basa sul decadimento beta del nichel-63 e sfrutta diodi molto efficienti per far passare la corrente sono stati ricercatori russi. Per massimizzare la densità di potenza hanno simulato il passaggio di elettroni e il meccanismo di conversione per produrre energia elettrica a partire dal decadimento. E i risultati sono stati sorprendenti perché il dispositivo sarebbe stato in grado di conquistare la massima efficacia con lo spessore della sorgente di nichel-63 a 2 micrometri e i diodi di Schottky a 10 micrometri. L'isotopo radioattivo nichel-63, poi, rende il sistema più duraturo, pari a 100 anni ovvero una potenza 10 volte superiore rispetto a quella dei corrispettivi chimici.
I risultati dello studio sono pubblicati su Diamond and Related Materials. Non si tratta comunque di una novità assoluta, considerando che si parla di batterie nucleari da più di 100 anni. Il problema è che non è stata mai raggiunta la potenza sufficiente, oltre a dimensioni accettabili. Già, perché l'obiettivo dei ricercatori russi è quello di rendere le batterie più efficienti dal punto di vista energetico, ma anche più maneggevoli. Di conseguenza la fase della progettazione e la scelta dei materiali sono stati elementi decisivi. Un buon esempio è rappresentato dall'utilizzo dei semiconduttori per convertire l'energia del decadimento beta in energia elettrica a opera Paul Rappaport, negli anni cinquanta, poi utilizzate negli anni settanta nei pacemaker.
Prima ancora, negli anni dieci, Henry Moseley aveva proposto un dispositivo fondato su questa reazione per produrre energia. Gli elettroni provenienti dal decadimento beta del radio avevano la differenza di potenziale tra due elementi del dispositivo ed erano alla base del circuito elettrico. Ma il prototipo si era rivelato poco potente e poco utile per applicazioni pratiche.
C'è però una vicenda tutta italiana che lascia ben sperare per il futuro. Si tratta di quella che vede protagonista l'ingegnere italiano Gianni Lisini, protagonista della realizzazione della batteria eterna. O quasi, perché la durata di 20 anni è decisamente ragguardevole. Come ci tiene a far sapere il 40enne di Voghera, che ha reso pubblica la sua invenzione al Jotto Fair di Pisa, il merito è tutto suo, della sua inventiva e del suo portafogli. Non ci sono grandi gruppi alle spalle, ma la sua super batteria potrebbe fare gola a tutte le imprese, inclusi i produttori di auto elettriche. Per quanto riguarda il funzionamento, la batteria è composta da un accumulatore chimico affiancato a un condensatore in grado di accumulare fino a 5.000 Farad, con il vantaggio di avere un numero praticamente infinito di cariche e scariche, a differenza delle poche centinaia delle comuni batterie chimiche.
La decisione è di quelle storiche perché sorgerà a Frascati la Divertor Tokamak Test facility ovvero il Centro di eccellenza internazionale per la ricerca sulla fusione nucleare. La cittadina laziale ha ottenuto il via libera sopravanzando la concorrenza sulla base di requisiti tecnici, economici e ambientali. Il passo importante di questa decisione è presto detta: la fusione è il processo opposto alla fissione nucleare con cui riprodurre il meccanismo fisico per ottenere energia in grado di sostituire i combustibili fossili. Ma soprattutto dimostra la competitività del nostro Paese, pronto a contribuire i programmi di ricerca internazionali Demo, Broader Approach e Iter ed è partner delle agenzie europee EuroFusion e Fusion for Energy.
Il dipartimento Fusione e Tecnologie della Sicurezza Nucleare dell'Enea con i Centri di Ricerca di Frascati e del Brasimone è tra i primi a realizzare impianti per lo studio dei plasmi a confinamento magnetico, macchine per la fusione come il Frascati Tokamak e il Frascati Tokamak Upgrade.
Ma non mancano le polemiche rispetto alla decisione di individuare proprio a Frascati la sede del Centro ricerca fusione nucleare. Tutto nasce proprio dall'aggiudicazione ovvero dalla graduatoria finale stilata dalla commissione di valutazione. Alle spalle di Frascati si è collegata la Cittadella della ricerca di Brindisi (Puglia) e quindi il sito di Manoppello, in provincia di Pescara (Abruzzo). A seguire Brasimone (Emilia Romagna), Casale Monferrato (Piemonte), Capitolo San Matteo-Salerno (Campania), Porto Marghera (Veneto), Ferrania (Liguria) e La Spezia (Liguria). Eppure una parte degli esponenti del sud del Partito democratico hanno protestato rispetto a questa classifica, contestando la presenza di troppo personale Enea di Frascati che avrebbe indirizzato la scelta e, più in generale, una decisione considerata eccessivamente forzata.
Anche e soprattutto quando si parla di nucleare occorre procedere con le dovute cautele e non farsi trascinare dai luoghi comuni perché, come ripetono da anni gli esperti, la fusione nucleare pulita rappresenta una grande rivoluzione sempre più ricercata per la produzione di energia. Ecco allora che la decisione di far sorgere a Frascati il primo Divertor Tokamak Test facility (DTT) ovvero il Centro di eccellenza internazionale per la ricerca sulla fusione nucleare, è uno di quegli eventi da non perdere di vista per i riflessi nel breve e nel lungo periodo. Anche perché i tempi sono piuttosto ristretto e lo start ai lavori del Dtt è in programma entro il 30 novembre 2018 con una tabella di marcia di sette anni.
Se la fusione è il processo opposto alla fissione nucleare (sono importanti le necessarie distinzioni) e si propone di riprodurre il meccanismo fisico che alimenta le stelle per ottenere energia rinnovabile in grado di sostituire i combustibili fossili, con la DTT l'obiettivo fornire risposte scientifiche e tecnologiche alle grande questioni che il processo di fusione porta con sé, tra cui quello della gestione di temperature elevate.
Stando allora al programma dei lavori, a essere coinvolti in questo ambizioso programma sulla fusione nucleare sono 1.500 persone con un ritorno stimato di 2 miliardi di euro, a fronte di un investimento di circa 500 milioni di euro. A contribuire economicamente allo sviluppo del programma sono sia soggetti pubblici e sia privati, tra cui Eurofusion, il consorzio europeo che gestisce le attività di ricerca sulla fusione, che partecipa con un finanziamento di 60 milioni di euro per conto della Commissione europea, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con 40 milioni di euro, il Ministero dello sviluppo economico con 40 milioni di euro dal 2019.
Di più: ecco la Repubblica Popolare Cinese con 30 milioni di euro, la Regione Lazio con 25 milioni di euro, l'Enea e i partner con 50 milioni di euro cui si aggiunge un prestito della Banca europea degli investimenti da 250 milioni di euro. A svelare tutti i dettagli ci ha pensato il Consiglio d'amministrazione dell'Enea con il via libera alla relazione conclusiva con la graduatoria finale delle nove località candidate ad ospitare la macchina per la fusione nucleare che ha visto la vittoria di Frascati. Per la cronaca, alle sue spalle si sono piazzate Cittadella della Ricerca (Brindisi) e Manoppello (Pescara).
Il supermagnete, uno dei 18 che verranno realizzati, è stato costruito proprio in Liguria, nella zona che viene definita la Silin Valley italiana, da una delle aziende Malacalza, la Asg Superconductors, in una fabbrica realizzata proprio per questo obiettivo e che produrrà dieci dei 18 magneti necessari.
E' stato realizzata da questa industria, ma proviene dalla ricerca, dallo studio e fattibilità di F4E, dall'Enea e la relativa Agenzia Ue insieme a quella giapponese. Europa e Giappone saranno i protagonisti di questa storica imprese.
Il supermagnete è il più grande al mondo, con una forma che ricrda la D ed è largo metri e lungo 16 metri, pensante 150 tonnellate e con l'imbracutura necessaria per il trasportoi fino a 200 tonnellate come uno dei più grandi e recenti Boing.
Proviamo a immaginare da una parte la presenza di una superpotenza tecnologica come il Giappone, da sempre impegnata nel settore del nucleare. E dall'altra un supercomputer Cray XC50 con una potenza di picco di oltre 4 petaflops ovvero il doppio rispetto a quella offerta dal precedente Helios. Uno di quelli che potrebbe far compiere l'ennesimo salto in avanti sul fronte della ricerca sulla fusione nucleare. Ebbene, le due cose sono adesso molto vicine e potrebbe cambiare sia il posizionamento del Giappone nello scacchiere mondiale e sia gli equilibri internazionali. E, si badi bene, non stiamo affatto parlando di scenari teorici perché i progetti sono in fase avanzatissima e a breve si comprenderanno più a fondo gli effetti.
La tabella di marcia per la sperimentazione di questo supercomputer per la fusione nucleare è pronta e prevede l'installazione del nuovo sistema al Rokkasho Fusion Institute così come richiesto dal National Institutes for Quantum and Radiological Science and Technology. Già entro la fine dell'anno sarà formalmente costruito e dunque pronto per la messa in funzione. La macchina metterà a disposizione di un migliaio di ricercatori europei e giapponesi la potenza di calcolo indispensabile per calcoli sulla fisica del plasma. Già, perché a questo punto occorrono alcune precisazioni. Il nuovo supercomputer non è altro che un tassello del complesso mosaico del progetto Iter.
Si tratta della collaborazione internazionale per la fattibilità scientifica della fusione come fonte di energia sostenibile e pulita. Come spiegato da Mamoru Nakano di Cray Japan, la velocità e l'ambiente software integrato del Cray XC50 miglioreranno l'infrastruttura del National Institute for Quantum and Radiological Science e consentiranno ai ricercato di accelerare i tempi di scoperta. A breve tutte le carte saranno svelate e le effettive potenzialità ben note.
Non solo il supercomputer Cray XC50 più potente nel mondo nel campo nella ricerca avanzata sulla fusione nucleare. Vale infatti la pena ricordare come questo sia solo un capitolo di una parte ben più grande alla quale prendono parte anche altri attori protagonisti. Come il Massachusetts Institute of Technology che ha da tempo rivelato il suo impegno sul progetto di fusione per la realizzazione di un reattore da 200 megawatt online entro il 2033. Più precisamente, la volontà è di utilizzare nuovi materiali superconduttori e una tecnologia capace di creare campi magnetici quattro volte più potenti rispetto a quelli adesso in uso.
La fusione nucleare ha rappresentato per decenni una sorta di sogno proibito di scienziati visionari spesso additati come sognatori. Una prospettiva che ha incuriosito anche intellettuali e registi che su questa tematica hanno costruito storie di successo. Come la celebre pellicola “Il Santo” della Paramount Pictures con la regia di Philip Noyce e con un cast d’eccezione. Roger Moore, Val Kimer, Elisabeth Shue nella quale la formula della fusione nucleare diventa il fulcro attorno al quale si dipana la narrazione..
Ma sembra proprio che sia arrivato il momento di abbandonare ogni aspetto onirico e approdare alla consapevolezza che la fusione nucleare potrebbe essere realtà in tempi brevissimi. Addirittura entro 15 anni secondo quanto emerge dall’accordo tra Mit ed Eni che parteciperà con un budget di cinquanta milioni di dollari al progetto che il Massachusetts Institute of Technology, sta sviluppando negli Stati Uniti
Il sogno della fusione nucleare, l’approdo che permetterebbe di risolvere i problemi di approvvigionamento energetico dell’intero pianeta, potrebbe diventare dunque realtà entro un lasso di tempo relativamente breve. 15 anni, rapportati ai tempi della scienza, non è una prospettiva di lungo respiro anzi. L'obiettivo del progetto è realizzare la fusione, ossia il processo che imita le reazioni che avvengono nelle stelle, utilizzando superconduttori ad alta temperatura da poco disponibili in commercio. Raggiungere questo traguardo significherebbe produrre energia dalla fusione nucleare, una fonte inesauribile che non emette gas serra. Questo l'obiettivo del Mit (il Massachusetts Institute of Technology), che sta lavorando da diverso tempo alla realizzazione della tecnologia necessaria.
Il Mit sta lavorando da tempo a questa ipotesi e a tale proposito ha costituito l'azienda Commonwealth Fusion Systems alla quale, l'italiana Eni partecipa con 50 milioni di dollari. Una partnership che ha come obiettivo quello di realizzare la fusione nucleare, ossia il processo che imita le reazioni che avvengono nelle stelle, utilizzando superconduttori ad alta temperatura da poco disponibili in commercio.
Questa tecnologia, secondo il Mit, potrebbe portare allo sviluppo di un reattore chiamato Sparc, più piccolo, più economico e più facile da costruire rispetto ai progetti in corso, primo fra tutti Iter, il reattore in fase di costruzione nel Sud della Francia e nato da una grande collaborazione internazionale, con Unione Europea, Giappone, Federazione Russa, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud, India e Italia. Se si riuscisse realmente a centrare questo obiettivo, l’umanità avrebbe fatto un passo avanti di notevole importanza per garantire a tutti l’energia sufficiente al fabbisogno. A costi infinitamente minori rispetto a quelli attuali. Energia inesauribile. Senza emissioni nocive per l’ambiente.