Conviene lavorare se si è in pensione e con quale contratto? I pro e contro per chi ha raggiunto il traguardo della pensione, la possibilità di restare attivi nel mondo del lavoro è più attuale che mai, anche nel 2025, grazie alle normative che garantiscono la piena compatibilità tra pensione e attività lavorativa. Tuttavia, è fondamentale analizzare con attenzione vincoli, benefici, novità e modalità contrattuali per fare una scelta consapevole.
Continuare a lavorare dopo il pensionamento non è solo una questione di incremento della disponibilità economica. Questa scelta permette di arricchire il proprio bagaglio di esperienze, mantenendo una routine attiva e un ruolo sociale, che molti pensionati considerano importante a livello personale e psicologico.
Il principale vantaggio pratico è la possibilità di arrotondare l’assegno previdenziale tramite lo stipendio, con la certezza che, salvo eccezioni, oggi non esistono limiti reddituali al cumulo tra pensione e reddito da lavoro. L’opportunità di versare ulteriori contributi consente di maturare un supplemento di pensione (ossia un incremento dell’assegno mensile), a patto che si lavorino almeno 4 giorni a settimana in modo continuativo, così da ottenere versamenti più consistenti.
Tra gli aspetti meno positivi c’è il rischio di un’aliquota fiscale più elevata, dato che i redditi da lavoro e pensione si sommano nell’IRPEF e possono quindi spingere in uno scaglione più alto. È inoltre indispensabile considerare le necessità personali, la voglia di impegnarsi, eventuali vincoli di salute o familiari.
Nella maggioranza dei casi, chi va in pensione nel 2025 può lavorare senza vincoli, sia come dipendente sia come autonomo. Tutta la normativa principale, introdotta dal decreto legge 112/2008 e successive Leggi di Bilancio, rimane confermata: le pensioni di vecchiaia, anticipate e quelle liquidate col sistema misto o retributivo sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro.
Soltanto alcune categorie di pensioni (invalidità, reversibilità, anticipo con Quota 104, APE Sociale) prevedono delle restrizioni:
Dal 2025, la Legge di Bilancio ha introdotto una novità per la pensione anticipata contributiva maturata tramite previdenza complementare: chi calcola la pensione anche con quanto accumulato nei fondi pensione, non può cumulare pensione e reddito da lavoro dipendente o autonomo, salvo attività autonoma occasionale nei limiti sopra indicati.
Una volta chiarito che si può lavorare in pensione senza limiti, la scelta del tipo di contratto è del tutto libera: subordinato (a tempo indeterminato, determinato, part-time o full-time), autonomo, parasubordinato, collaborazione o a progetto.
La forma contrattuale deve essere valutata in base alle esigenze personali, alle prospettive di continuità, alle possibilità di gestione flessibile del tempo e all’inquadramento fiscale. In ogni caso, è obbligatorio il versamento di contributi, che possono generare dopo minimo 5 anni un supplemento sulla pensione. In alcuni casi è possibile richiedere questo incremento già dopo 2 anni dalla decorrenza della pensione (o dal precedente supplemento), secondo quanto chiarito dall’INPS.
Va tenuto presente il cumulo tra pensione e redditi all’estero, che coinvolge regole specifiche. Per chi fosse interessato a lavorare o aver lavorato in più paesi, è utile approfondire come funziona la pensione per chi ha lavorato all’estero.
Non tutti i pensionati possono cumulare i redditi senza restrizioni. Le principali eccezioni coinvolgono:
Occorre quindi una verifica attenta della propria tipologia di pensione, utilizzando come riferimento le più recenti disposizioni INPS e normative.
Un punto di forza del lavoro in pensione è la possibilità di incrementare l’assegno previdenziale tramite il supplemento di pensione.
Chi lavora dopo il pensionamento versa nuovi contributi e, dopo almeno 5 anni (o 2 in casi particolari), può fare domanda per un incremento mensile legato ai nuovi versamenti. Ciò vale per tutte le tipologie di contratto: tempo pieno, part-time, collaborazione, occasionale.
Il supplemento di pensione è particolarmente vantaggioso per chi ha un assegno basso e intende migliorare il proprio tenore di vita. Non si tratta però di un aumento automatico, ma deve essere richiesto formalmente, rispettando tempi e modalità definite.
L’elemento fiscale è determinante: i redditi da pensione e lavoro vanno a sommarsi nella dichiarazione dei redditi e possono comportare una tassazione Irpef più elevata, oltre alle addizionali locali dovute a Regione e Comune. Sia l’ente pensionistico (ad esempio INPS) sia il datore di lavoro applicano le ritenute in modo autonomo, e ciò può portare ad avere i conguagli fiscali a saldo in fase di dichiarazione.
Per gestire il carico fiscale è consigliabile pianificare con attenzione, considerare il lavoro part-time come strategia per non superare gli scaglioni Irpef penalizzanti e valutare eventuali detrazioni e deduzioni disponibili.
Si può essere riassunti dalla stessa azienda dopo la pensione?
Sì, dopo circa un mese dalla richiesta e dal versamento della prima quota pensionistica, qualsiasi lavoratore può essere riassunto o intraprendere una nuova attività lavorativa, nel rispetto delle nuove norme. È importante verificare il tipo di pensione percepita (anticipata, di vecchiaia, etc.) e le relative regole.
Esistono limiti di tempo o di età per lavorare dopo il pensionamento?
Per lavoratori subordinati, è necessaria la cessazione del rapporto lavorativo prima della pensione, ma dopo la maturazione dei requisiti e la decorrenza dell’assegno si può tornare a lavorare senza ostacoli. Per chi è in regime autonomo la prosecuzione non richiede interruzioni.
Quali settori e regioni impiegano più pensionati lavoratori?
I dati più recenti (Istat) mostrano che i pensionati attivi lavorano soprattutto nei servizi, nel commercio e in agricoltura. Sono più frequenti tra gli uomini residenti al Nord e tra i liberi professionisti. Si registra una crescita costante degli over 65 che scelgono di lavorare, con una progressiva longevità lavorativa.