L’espansione dell’universo digitale ha modificato profondamente la maniera in cui vengono gestite informazioni, relazioni e patrimoni. Non si tratta più solo di beni tangibili: file digitali, profili social, archivi fotografici online e portafogli di criptovalute sono ora parte essenziale dell’identità e del patrimonio di ogni individuo. Questa trasformazione ha generato nuove esigenze di tutela sia per la memoria personale sia per le ricchezze immateriali e i diritti connessi. In particolare, la successione di beni digitali tra familiari solleva questioni etiche, legali e pratiche inedite.
La rilevanza dell’eredità digitale non è solo collegata alla crescita della ricchezza online, ma anche all’importanza dei dati personali, spesso custoditi in sistemi protetti da password e non sempre facilmente trasmissibili. La mancanza di regolamentazione puntuale in Italia e la frammentazione delle normative internazionali rendono necessaria una pianificazione consapevole. L’estensione del proprio patrimonio a dati e account digitali è diventata uno degli argomenti più discussi in ambito legale e familiare, con effetti tangibili già nel presente e un impatto destinato ad aumentare con l’ulteriore digitalizzazione della vita quotidiana.
Il concetto di eredità digitale si riferisce a tutti quei beni, diritti e contenuti detenuti in formato elettronico o accessibili tramite servizi online. Tali elementi possono essere raggruppati in diverse categorie, ognuna delle quali merita attenzione specifica:
Al contrario, alcuni elementi restano esclusi dalla successione digitale:
La gestione di questi asset va oltre la semplice trasmissione delle credenziali: occorre distinguere tra beni patrimoniali e personali, garantendo il rispetto delle volontà e dei diritti sia del defunto sia degli eredi. In assenza di disposizioni chiare, la “memoria digitale” rischia di essere dispersa o, peggio ancora, oggetto di controversie tra familiari o con i provider dei servizi.
Nel contesto italiano, non esiste ancora una normativa organica e specifica dedicata alla successione dei beni digitali. In mancanza di una legge settoriale si applicano quindi i principi generali del diritto successorio, adattati per includere anche i beni immateriali.
Una delle principali difficoltà nasce dal fatto che molti servizi digitali sono regolati da contratti unilateralmente predisposti dai provider. Tali accordi spesso vietano espressamente la cessione o la trasmissione dell’account, attribuendo all’utente una semplice licenza personale d’uso, non trasmissibile agli eredi. Questa clausola può determinare, di fatto, l’impossibilità per i familiari di accedere ai dati, se non alle condizioni definite dalla piattaforma stessa.
Dal punto di vista della privacy, se da un lato il Regolamento Generale UE sulla protezione dei dati personali (GDPR) non si applica alle persone decedute (cfr. Considerando 27 GDPR), il Codice Privacy italiano (D.lgs. 196/2003 all’art. 2-terdecies) prevede che i diritti sui dati digitali possono essere esercitati da chi agisce per interesse legittimo, motivi familiari o quale mandatario dell’interessato. Questo diritto, tuttavia, è soggetto a restrizioni e limiti, non opera nei casi in cui il defunto abbia vietato espressamente l’accesso ai dati, purché il divieto non ostacoli l’esercizio dei diritti patrimoniali di terzi.
La recente giurisprudenza, come confermato da ordinanze di tribunali e della Cassazione, ha riconosciuto il diritto degli eredi ad accedere a dati e contenuti digitali del defunto, ove motivati da esigenze di tutela della memoria e dei diritti successori. Tuttavia, restano margini d’incertezza, specialmente quando i provider si attengono rigidamente alle regole contrattuali estere o impongono procedure complesse per il riconoscimento degli eredi.
La trasmissione di account digitali e risorse online tra componenti di una stessa famiglia incontra diversi ostacoli, di natura sia tecnica che normativa. Tra le difficoltà più frequenti si annoverano:
Tali criticità sono amplificate quando le risorse digitali sono di tipo patrimoniale (come wallet di criptovalute), in cui la perdita delle chiavi private o delle credenziali può portare a danni economici irreversibili. In molti casi, la burocrazia per ottenere l’accesso legittimo ai dati digitali può comportare tempi lunghi e ostacoli che rischiano di vanificare la volontà del de cuius.
Considerata la complessità delle questioni legate alla gestione post mortem dei beni digitali, è determinante adottare strategie di pianificazione mirate. Di seguito sono presentati alcuni degli strumenti e delle strategie operative più efficaci:
Esistono inoltre servizi di terze parti che facilitano la registrazione di volontà digitali “criptate” da eseguire nel momento in cui viene confermato il decesso, anche attraverso smart contract programmati su blockchain.
Il testamento digitale non costituisce un nuovo genere di documento formale sancito dalla legge italiana, ma rappresenta l’inserimento nel testamento tradizionale di istruzioni dettagliate sulla sorte dei beni online. È consigliato non riportare direttamente le credenziali nei documenti testamentari, bensì indicare modalità sicure per trasmetterle (ad esempio, deposito da un notaio o attraverso servizi digitali protetti).
L’inclusione di clausole specifiche sul destino degli asset virtuali consente agli eredi di conoscere e rispettare le volontà relative alla gestione, chiusura o trasmissione di ogni singolo account o dato online. Le istruzioni potranno riguardare:
Il mandato post mortem exequendum consente di conferire a una persona di fiducia l’incarico di eseguire specifiche disposizioni, inclusa la custodia, divisione o cancellazione degli asset digitali dopo la morte. La giurisprudenza ha confermato la legittimità di questo strumento, sempre che non si traduca in un patto successorio, vietato dall’art. 458 c.c. In ambito digitale, tale mandato permette un approccio personalizzato e protetto, limitando i rischi di gestione impropria o perdita dei dati.
La gestione delle criptovalute e di altri asset nativi della rete (come NFT e crediti online) rappresenta una delle aree più delicate della successione digitale per via della loro natura decentralizzata e dell’estrema sicurezza basata su chiavi crittografiche personali. La perdita della chiave privata rende i fondi irrecuperabili, impedendo agli eredi di entrare in possesso del valore economico detenuto.
Tra le soluzioni operative più efficaci rientrano:
Quando le risorse sono gestite tramite exchange regolamentati, è importante notificare tempestivamente agli operatori la successione, fornendo documentazione idonea a legittimare gli aventi diritto ai trasferimenti previsti.
Le principali piattaforme internazionali hanno adattato le proprie policy per rispondere alle necessità post mortem degli utenti. Esempi rappresentativi includono:
La mancata impostazione di queste funzionalità comporta, nella maggior parte dei casi, l’impossibilità per i familiari di accedere legalmente a dati e contenuti. Solo in presenza di ordinanze emesse dall’autorità giudiziaria, alcune aziende prevedono deroghe speciali.
L’esigenza di una maggiore uniformità normativa in materia è riconosciuta da specialisti giuridici e istituzioni. Negli ultimi anni, numerose pronunce giurisprudenziali hanno progressivamente legittimato il diritto degli eredi all’accesso, pur raccomandando sempre un attento bilanciamento con la protezione della privacy del defunto e di terzi.
Si prevedono sviluppi verso regolamenti condivisi a livello internazionale, insieme all’evoluzione di strumenti tecnici pensati per la pianificazione e la protezione dei beni digitali. Consulenti esperti suggeriscono di pianificare il futuro del proprio patrimonio digitale con la stessa serietà riservata ai beni tradizionali, aggiornando periodicamente le istruzioni e sfruttando tutte le opportunità offerte dalle piattaforme e dalla legge.