Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

In quali casi, un dipendente ha diritto di essere risarcito dal proprio datore di lavoro o dalla sua azienda

Licenziamenti illegittimi, mobbing e danni da infortuni. I diritti dei lavoratori e in quali casi si puņ richiedere un risarcimento all'azienda

Autore: Marianna Quatraro
pubblicato il
In quali casi, un dipendente ha diritto

Il rapporto tra datore di lavoro e dipendente può, in alcune circostanze, dare origine a situazioni di conflitto giuridico, soprattutto quando emergono violazioni di obblighi contrattuali o normativi da parte del datore stesso. Il sistema giuridico italiano, guidato dalle disposizioni del Codice Civile e dalle normative specifiche, prevede strumenti di tutela per il lavoratore, sancendo il diritto al risarcimento in presenza di determinati presupposti.

La questione del risarcimento è strettamente legata alla natura del danno subito, che può essere patrimoniale o non patrimoniale, e alla capacità del lavoratore di dimostrare il nesso causale tra il comportamento illecito del datore di lavoro e il danno stesso. 

Casi in cui il datore deve risarcire il dipendente

Il Codice Civile, in particolare all’art. 2087, impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per garantire la protezione della salute fisica e psichica del lavoratore, configurando una responsabilità contrattuale specifica. Quando si verifica un danno riconducibile a violazioni di questi obblighi, il datore di lavoro è chiamato a risponderne.

Il datore di lavoro è inoltre tenuto a risarcire il dipendente in diversi casi di violazioni normative o contrattuali. Tra i principali rientrano situazioni come il licenziamento illegittimo, l’inadempimento contrattuale, la bocciatura di assunzioni obbligatorie o i comportamenti lesivi quali mobbing, straining e demansionamento. Ulteriori responsabilità sorgono in caso di infortuni sul lavoro, malattie professionali e mancato versamento di contributi previdenziali.

Inadempimento contrattuale

L’inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro si configura quando quest’ultimo non rispetta le disposizioni previste dal contratto individuale o collettivo di lavoro, causando un danno concreto al dipendente. Questo può derivare, ad esempio, dalla mancata corrispondenza della retribuzione concordata, dall’assegnazione di mansioni diverse da quelle previste dal contratto, oppure dalla violazione delle disposizioni relative alla durata del lavoro e ai riposi obbligatori.

Un caso frequente di inadempimento è legato al mancato pagamento delle spettanze, che include lo stipendio, le indennità accessorie o i bonus previsti dal contratto. In tali circostanze, il lavoratore ha diritto a richiedere il pagamento di quanto dovuto, eventualmente maggiorato degli interessi legali e della rivalutazione monetaria. Un altro esempio significativo è l’omissione nella fornitura degli strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa o l’assenza di condizioni di lavoro idonee dal punto di vista tecnico e organizzativo.

Quando l’inadempimento riguarda la mancata osservanza di obblighi di sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere anche dei danni fisici e morali subiti dal dipendente. Ciò è particolarmente rilevante nelle situazioni in cui l’inosservanza porta a infortuni o malattie professionali.

Il riconoscimento del risarcimento, in questi casi, richiede che il dipendente fornisca prove concrete delle violazioni contrattuali e del danno subito. Sarà il giudice a valutare, caso per caso, la gravità dell’inadempimento e il nesso di causalità con il danno reclamato.

Violazione dell'obbligo di assunzione

La mancata assunzione obbligatoria da parte del datore di lavoro si verifica in diversi contesti, principalmente quando esiste un vincolo normativo o contrattuale che impone l'assunzione del lavoratore, e tale obbligo non viene rispettato. Esemplare è il caso delle graduatorie di concorso nella Pubblica Amministrazione, dove i vincitori hanno un diritto tutelato all’assunzione. La mancata osservanza delle graduatorie può dar origine a un diritto al risarcimento per il danno subito dal candidato leso.

Un'altra situazione comune riguarda la conversione di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. Quando il datore di lavoro non rispetta l’obbligo di stabilizzazione previsto dalla normativa, il dipendente può avviare un'azione legale per ottenere il riconoscimento dei propri diritti e un eventuale risarcimento per il periodo di mancata stabilità lavorativa. Lo stesso principio si applica nei casi in cui il datore di lavoro si impegni, tramite accordi o trattative avanzate, all'assunzione di un candidato e successivamente non rispetti tale impegno.

Non è raro che queste violazioni abbiano conseguenze gravi per il lavoratore, incidendo non solo sull’aspetto economico ma anche su quello professionale. Il risarcimento può essere richiesto sia per il danno emergente che per il lucro cessante, ovvero per i mancati guadagni derivanti dall’omissione dell’assunzione obbligatoria.

Licenziamento illegittimo, quando e come tutelarsi

Il licenziamento illegittimo si verifica quando un datore di lavoro interrompe il rapporto contrattuale con il dipendente senza rispettare i requisiti imposti dalla normativa vigente. Possibili cause di illegittimità includono l’assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, così come l’inosservanza delle procedure formali previste dalla legge. Tra le violazioni più ricorrenti si annovera il licenziamento discriminatorio, quello ritorsivo o quello intimato senza adeguata motivazione.

La legge prevede specifici risarcimenti in caso di accertamento dell’illegittimità del licenziamento. Nei casi più gravi, come per licenziamenti discriminatori o nulli per motivi di maternità o matrimonio, il dipendente ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e a un’indennità commisurata alle retribuzioni perdute. Quest'ultima è calcolata dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione, con un minimo garantito di cinque mensilità.

Contributi mancanti o irregolari

La mancata o irregolare contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro rappresenta una violazione di rilevante gravità, in quanto incide direttamente sui diritti pensionistici e assistenziali del lavoratore. Quando il datore non versa i contributi dovuti agli enti previdenziali, la posizione contributiva del dipendente risulta compromessa, con conseguenze negative sul calcolo della pensione e sulle prestazioni previdenziali future.

In tali situazioni, il dipendente ha diritto a chiedere un risarcimento per i danni subiti, ma per ottenere il riconoscimento è necessario dimostrare che l’omissione contributiva ha effettivamente causato un pregiudizio concreto. Questo pregiudizio può manifestarsi, ad esempio, nella perdita di opportunità previdenziali o di benefici legati all’anzianità contributiva. 

Un altro aspetto della problematica riguarda l'eventuale prescrizione dei contributi omessi. Sebbene l’INPS possa agire entro determinati termini per recuperare le somme non versate, l’azione risarcitoria del dipendente non si estingue necessariamente con la prescrizione. La rivalsa nei confronti del datore di lavoro può proseguire in sede giudiziaria, concentrandosi sui danni patrimoniali e morali derivanti dall’irregolarità contributiva.

Infine, nei casi di omesse contribuzioni, il dipendente può presentare un’istanza all’INPS per regolarizzare la propria posizione assicurativa, anche se ciò non esime il datore di lavoro dalle proprie responsabilità legali ed economiche.

Infortuni sul lavoro

I danni da infortuni sul lavoro costituiscono una delle principali responsabilità che possono gravare sul datore di lavoro. Gli infortuni, definiti come eventi improvvisi e traumatici avvenuti nello svolgimento dell'attività lavorativa, possono derivare dalla mancata osservanza delle norme di sicurezza previste dal Decreto Legislativo 81/2008. In tali situazioni, il datore di lavoro è tenuto a rispondere per i danni subiti dal dipendente, indipendentemente dall’eventuale copertura assicurativa INAIL.

Quando l’infortunio o la malattia professionale è causato dalla violazione di obblighi come l’adozione di dispositivi di protezione individuale (DPI) o la mancata formazione dei dipendenti sui rischi lavorativi, il lavoratore può richiedere un risarcimento diretto per i danni non coperti dall’INAIL. La responsabilità può essere aggravata dalla negligenza, imprudenza o imperizia del datore, soprattutto nei casi in cui il rischio era noto ma sottostimato.

Il risarcimento dei danni include diverse voci: il danno patrimoniale, che comprende le spese mediche e la perdita di reddito, e il danno non patrimoniale come il danno biologico, morale o esistenziale. Ulteriori conseguenze possono derivare dall’interruzione dell’attività lavorativa o dall’impossibilità di continuare nella stessa mansione.

In presenza di un infortunio grave, il dipendente può essere dispensato dal rispetto delle fasce orarie di reperibilità durante la malattia. Inoltre, nei casi più estremi, non si applica il cosiddetto periodo di comporto, consentendo al lavoratore di mantenere il posto di lavoro anche in ipotesi di lunghe assenze dovute alla riabilitazione.

Mobbing, straining e demansionamento professionale

Il mobbing si configura quando un lavoratore subisce una serie di comportamenti vessatori e reiterati finalizzati a emarginarlo o danneggiarlo nell’ambiente lavorativo. Perché possa essere riconosciuto, è necessario dimostrare una pluralità di atti ostili protratti nel tempo, un intento persecutorio e l’effettivo danno subito, sia esso fisico, psichico o patrimoniale. Il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere non solo se opera direttamente, ma anche se non interviene per porre fine a simili comportamenti segnalati dal dipendente.

Lo straining, a differenza del mobbing, consiste in comportamenti stressanti che, pur non essendo sistematicamente reiterati, generano un clima lavorativo ostile e lesivo per il dipendente. Un esempio può essere la sottrazione reiterata di strumenti essenziali al lavoro senza giustificazione, oppure l’assegnazione di carichi di lavoro sproporzionati rispetto alle capacità del dipendente. La caratteristica principale è la presenza di un unico evento significativo o di una serie di episodi isolati che generano comunque un danno psicofisico.

Il demansionamento si verifica quando al lavoratore vengono assegnate in modo sistematico mansioni inferiori rispetto alla qualifica professionale per cui è stato assunto. Questa pratica, salvo limitate eccezioni previste dalla legge per motivi di sicurezza o riorganizzazione aziendale, è vietata dall’ordinamento. Comporta non solo una violazione dei diritti contrattuali del dipendente, ma anche un potenziale danno morale causato dal peggioramento della qualità lavorativa e dallo svilimento della professionalità.

In tutti questi casi, la normativa italiana prevede il diritto al risarcimento, qualora il lavoratore riesca a dimostrare il nesso causale tra i comportamenti subiti e i danni riportati.