Quali sono l'età media e le dinamiche che caratterizzano l'accesso ai ruoli manageriali e dirigenziali in Italia?
L'accesso alle cariche di direzione e supervisione in Italia rappresenta un percorso caratterizzato da una progressione lenta e selettiva. L'età media di quando si diventa manager e dirigenti in Italia si attesta tradizionalmente su valori più elevati rispetto agli standard europei, confermando un modello di crescita professionale strutturato su tempi lunghi e su criteri di anzianità ed esperienza maturata. L'analisi del contesto nazionale evidenzia come il peso dell'età anagrafica continui a incidere notevolmente sia sull'accesso ai ruoli apicali sia sulla loro permanenza. Elementi quali il ricambio generazionale, la valorizzazione delle competenze junior e la promozione delle diversità rappresentano tematiche centrali per interpretare dinamiche attuali e prospettive evolutive del management italiano. Le sfide demografiche e organizzative impongono una riflessione sulle strategie di selezione e promozione delle risorse manageriali, richiedendo un bilanciamento tra esperienza, innovazione e inclusività in linea con le tendenze europee.
L'attuale struttura direzionale delle imprese italiane riflette una prevalenza di manager e dirigenti con un profilo anagrafico elevato. Secondo i dati elaborati su base INPS e osservatori di settore, in Italia si contano circa 120-130 mila dirigenti nei principali settori produttivi. Le posizioni apicali sono occupate in larga maggioranza da uomini (con solo il 17-22% di presenza femminile tra i dirigenti) e da individui con un'età media superiore ai 50 anni. Riassumendo:
CEO (Chief Executive Officer): guidano la strategia aziendale, con responsabilità decisionale e vision globale. In questa categoria, l'età media italiana supera i 54 anni.
Direttore Generale e Funzionale: svolgono ruoli di supervisione dei comparti industriali e dei servizi (HR, Finance, Operations), con ingresso nella fascia 45-55 anni.
CFO/CTO/HR Director: responsabili di ambiti specialistici; la loro nomina è più precoce rispetto ai CEO, pur prevalendo la seniority.
Il quadro generazionale si arricchisce della compresenza di quattro macro-gruppi: Baby Boomers (1946-1964), molto presenti ai vertici; Generazione X (1965-1980), oggi maggioritaria tra i quadri dirigenziali; Millennials (1981-1996), ancora parzialmente esclusi dai ruoli apicali; Generazione Z, entrata da poco nel mercato del lavoro. Dal punto di vista geografico, Lombardia e Nord Italia concentrano una quota predominante di dirigenti, sia senior che giovani. Nei settori industriali risulta la più alta percentuale di manager under 44 rispetto a commercio, bancario e servizi. Lo scenario rispecchia uno squilibrio intergenerazionale che limita la mobilità verticale, influenzando la velocità di ricambio all'interno delle organizzazioni e l'adozione di modelli gestionali più innovativi.
L'età media di accesso alle posizioni dirigenziali in Italia è tra le più elevate d'Europa. Il report internazionale “Route To The Top” sottolinea che i CEO italiani vengono nominati mediamente a 54,5 anni e rimangono in carica oltre sei anni. Solo il 13% viene scelto prima dei 45 anni—a testimonianza del lento rinnovamento. I dati evidenziano inoltre un gap generazionale marcato: meno del 14% dei dirigenti ha un'età inferiore ai 40 anni, mentre la media europea di dirigenti under 40 sfiora il 33%. In Belgio, Francia e Danimarca, l'età di nomina sull'incarico apicale si attesta tra i 48 e i 49 anni, con una soglia più bassa nei paesi anglosassoni.
La tabella di confronto tra Italia ed Europa (età di nomina CEO), rivela che:
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Paese |
Età media alla nomina CEO |
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Italia |
54,5 |
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Francia |
49,4 |
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Germania |
52,0 |
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Belgio |
48,6 |
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Portogallo |
49,5 |
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Danirmarca |
49,4 |
Persistono, dunque, processi di crescita aziendale improntati sulla seniority e sulla permanenza lunga nei ruoli apicali (in media 6,4 anni in Italia). Fattori come cultura aziendale tradizionale, scarso turnover e dinamiche di internal promotion incidono sulla lentezza del ricambio manageriale. Tali caratteristiche generano effetti sia sulla competitività sia sulla capacità di adattamento delle imprese italiane in un contesto europeo sempre più orientato a valorizzare giovani competenze e inserimenti rapidi.
La presenza di giovani tra i dirigenti risulta ancora contenuta, pur in crescita negli ultimi anni. I dati INPS 2023 mostrano che solo il 21% dei dirigenti industriali e meno del 17% nei settori commercio e bancario ha meno di 44 anni. La Lombardia si conferma un laboratorio favorevole al ricambio, concentrando il 41% dei manager under 44 e il principale incremento dal 2019 (+3.838 giovani dirigenti), complice l'accelerazione post-pandemica sulla digitalizzazione. Settori in rapida evoluzione, come attività professionali, scientifiche e tecniche, sanità, servizi informatici, presentano percentuali più alte di giovani manager, mentre nei contesti tradizionali—industria manifatturiera, finanza—la crescita è più contenuta. Ostacoli tipici comprendono:
Permanenza dei senior nei ruoli apicali, che riduce le finestre di mobilità verticale
Gap tra competenze richieste e formazione offerta ai giovani quadri
Peso della rete relazionale e della promozione interna come criteri preferenziali rispetto al merito
Opportunità emergenti si fondano su progetti di mentoring, sistemi premianti per talenti junior e accelerazione dei percorsi formativi. Inoltre, i giovani dirigenti mostrano una maggiore presenza nei comparti legati all'innovazione e alla ricerca (fino al 40% in alcuni settori), testimoniando una crescente valorizzazione delle competenze trasversali e digitali. La distribuzione settoriale conferma il gap retributivo tra senior e giovani dirigenti, più marcato nell'industria (20% tra RAL senior e under44) che nel settore finanziario (delta 3%), a dimostrazione che solo laddove l'innovazione spinge la crescita, le carriere giovanili avanzano più rapidamente.
La disparità di genere continua a caratterizzare la governance aziendale italiana. Il 17-22% dei dirigenti è donna, secondo dati aggiornati da Sda Bocconi School of Management. Tra gli amministratori delegati, la percentuale scende al 6%, e nelle società quotate la rappresentanza femminile è ancora più limitata (3% come CEO). L'età media per le donne dirigenti è leggermente più bassa rispetto agli uomini (50 anni contro 54), segno di una carriera mediamente più breve o di accessi tardivi.
Nei settori HR, area legale e sostenibilità, la presenza femminile sale, mentre resta residuale nelle posizioni di vertice operativo e R&D. Basti pensare che le donne detengono il 35% delle direzioni generali nelle società non quotate, ma solo il 3% tra le quotate. A livello europeo, Francia, Danimarca e Finlandia presentano valori più alti di donne CEO (fino al 13%), ma le differenze restano rilevanti. Il fenomeno prende il nome di soffitto di cristallo—ovvero l'insieme di barriere sistemiche, culturali e normative che ostacolano la promozione femminile al vertice.
Progetti di empowerment, incentivi alla mobilità tra le funzioni aziendali ed esperienze internazionali vengono promossi come leve per accelerare la crescita delle donne executive, pur con progressi ancora graduali. Nel mezzogiorno e tra le giovani generazioni, segnali di cambiamento sono incoraggianti: tra i dirigenti under 44, le donne raggiungono il 31% nell'industria e circa il 27% in commercio e finanza. Le prospettive suggeriscono la necessità di adottare politiche incisive di inclusione, mentoring e formazione per favorire una reale parità di accesso alle posizioni apicali.
L'allungamento della vita lavorativa e il progressivo innalzamento dell'età pensionabile portano a una presenza significativa di manager e dirigenti over 50. I percorsi di carriera dopo questa soglia vedono una crescente attenzione verso il reinserimento professionale e la valorizzazione dell'esperienza senior.
Politiche di outplacement mostrano che il 70% dei dirigenti coinvolti in processi di riorganizzazione aziendale riesce a trovare una nuova collocazione entro 5 mesi, soprattutto nelle aree commerciali, amministrative e ingegneristiche. La Lombardia si conferma un punto di riferimento, offrendo voucher per la formazione specialistica e servizi di placement ai manager tra 50 e 62 anni tramite accordi con associazioni di categoria.
L'offerta formativa si amplia con corsi di reskilling e upskilling su competenze digitali, gestione del cambiamento e leadership trasformativa. La possibilità di accedere a percorsi flessibili, temporanei o da freelance, viene sempre più accolta dai senior desiderosi di una gestione autonoma della propria fase professionale. Le competenze soft—problem solving, mentoring, adattabilità—emergono come fattori di successo nell'integrazione lavorativa anche dopo i 50 anni.
Sul piano organizzativo, le realtà più avanzate adottano pratiche di age management, promuovendo un confronto intergenerazionale e programmi di mentoring bidirezionale tra junior e senior. Il dibattito resta aperto sulla necessità di creare un sistema di welfare capace di sostenere culture aziendali inclusive e orientate al valore dell'esperienza, evitando derive ageistiche e favorendo politiche attive finalizzate a una longevità professionale sostenibile in un mercato in continua trasformazione.