Nel contesto delle relazioni lavorative italiane, il passaggio da un contratto a tempo indeterminato a uno a tempo determinato è una dinamica che suscita frequentemente dubbi e preoccupazioni tra lavoratori e datori di lavoro. Tale trasformazione è regolata da principi normativi e giurisprudenziali ben precisi, volti a tutelare l'autonomia delle parti contrattuali e la stabilità occupazionale. Comprendere le condizioni, le procedure e i limiti per cui si può intervenire su un rapporto di lavoro stabile per introdurre un termine finale è essenziale per chiunque sia coinvolto in queste scelte, sia per ragioni personali sia aziendali.
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato è considerato la forma tipica e più tutelante di impiego nel quadro normativo italiano, come sancito dall'articolo 2094 del Codice Civile e ribadito dalla legislazione recente in materia di diritto del lavoro. A differenza delle forme contrattuali a termine, il tempo indeterminato si caratterizza per l'assenza di una data di scadenza e per il riconoscimento di un'elevata capacità di offrire continuità lavorativa e previdenziale al lavoratore.
Le principali peculiarità includono:
Il contratto a tempo indeterminato può prevedere una modalità full time o part time. Nel caso di rapporto part time, è obbligatorio specificare le ore e la loro distribuzione periodica. A differenza del tempo determinato, questa forma garantisce anche maggiori tutele in termini di stabilità, diritto al reintegro (nei casi previsti) e accesso agevolato al credito.
Il rapporto di lavoro a tempo determinato rappresenta l'eccezione alla regola generale della stabilità. Si tratta di contratti per i quali le parti concordano un termine finale, cosicché il lavoro si conclude automaticamente con il sopraggiungere di tale data.
Secondo il D.Lgs. n. 81/2015, il contratto a termine è ammissibile quando legato a esigenze temporanee, incrementi straordinari di attività, sostituzioni di personale assente (ad esempio per maternità, malattia, ferie) o, più in generale, altre ragioni oggetto di disciplinamento contrattuale. Caratteristiche basilari del contratto a termine:
La legge limita attentamente sia l'estensione sia il rinnovo, riconoscendo il rischio di precarietà che questa modalità può comportare. In presenza di violazioni delle condizioni legali, è prevista la conversione automatica del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato.
Il passaggio da un contratto a tempo indeterminato a uno a tempo determinato è una possibilità riconosciuta dal nostro ordinamento esclusivamente dietro il pieno consenso di entrambe le parti contrattuali. Non è in alcun modo consentito al datore di lavoro imporre unilateralmente il nuovo termine, nemmeno in presenza di mutate condizioni aziendali o difficoltà economiche.
I riferimenti normativi sono principalmente l'articolo 1321 del Codice Civile, che disciplina la necessità di consenso per ogni modifica contrattuale, e l’articolo 2094 c.c. La trasformazione verso un rapporto più precario può essere attuata solamente tramite la sottoscrizione di un accordo modificativo, espresso e volontario, dal quale scaturisce un nuovo contratto a termine, che dovrà comunque rispettare le severe condizioni di legge previste per tale fattispecie.
Importante: Il diniego del lavoratore a tale trasformazione non può generare legittimamente conseguenze disciplinari, demansionamenti, trasferimenti punitivi o addirittura licenziamento: qualunque misura ritorsiva sarà nulla, e il lavoratore potrà agire per la tutela dei propri diritti.
Le principali tappe della trasformazione includono:
È prassi rara, ma non esclusa, la trasformazione nella direzione dal tempo indeterminato a quello determinato, e spesso avviene per volontà del lavoratore (ad esempio per specifiche esigenze personali o per la durata di un progetto specifico richiesto dal lavoratore stesso).
Quando il lavoratore si oppone al passaggio da un contratto stabile a uno a termine, nessun effetto negativo può legittimamente derivare dal rifiuto. In presenza di qualsiasi forma di ritorsione come trasferimenti, demansionamenti, provvedimenti disciplinari o, più comunemente, licenziamento per diniego, il lavoratore ha diritto a impugnare il provvedimento nelle sedi opportune.
Nello specifico, il lavoratore licenziato può presentare una impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni dalla ricezione della lettera, seguita dall’eventuale ricorso giudiziale (nei 180 giorni successivi). Se il licenziamento risulta essere di natura ritorsiva, a causa del legittimo rifiuto della proposta datoriale, il lavoratore può ottenere:
Queste tutele sono garantite anche nel caso in cui il lavoratore abbia firmato il nuovo contratto per timore di pressioni o rappresaglie, potendo comunque agire in giudizio per ottenere la reintegra e la riparazione del danno subito.
L’ipotesi di passaggio da contratto indefinito a termine si verifica talvolta in contesti caratterizzati da forti pressioni aziendali, spesso legate a riorganizzazioni aziendali, difficoltà economiche o cambiamento della mansione. Si evidenzia come, secondo la giurisprudenza e la legislazione vigente, il datore di lavoro debba sempre motivare in maniera circostanziata e oggettiva la trasformazione, individuando cause precise e documentabili (ad esempio esigenze produttive, tecniche, organizzative o sostituzioni temporanee).
Qualsiasi generica o non concreta motivazione potrà essere contestata dal lavoratore davanti al giudice. In caso di coercizione, la volontà manifestata dal dipendente può essere ritenuta nulla, rafforzando il diritto di agire per il ripristino della posizione lavorativa originaria e per il ristoro dei danni.
Nel caso in cui il rapporto venga ricondotto al tempo determinato con motivazioni che si rivelino inesistenti o pretestuose, la giurisprudenza prevede la riqualificazione automatica del contratto a tempo indeterminato (vedi Cassazione sez. lavoro, ordinanza 7 gennaio 2015, n. 24).