La Corte di Cassazione ha stabilito che le norme relative alla durata del periodo di comporto, ossia il tempo concesso per le assenze legate a malattie prima che un datore di lavoro possa licenziare un dipendente, non possono essere uniformemente applicate come per gli altri lavoratori non disabili.
Secondo la legge, certe condizioni di salute sono escluse dal conteggio del periodo di comporto, ma questa recente pronuncia della Cassazione amplia la protezione dei lavoratori disabili, indicando che l'elenco delle malattie che rientrano in questa esclusione non è definitivo o esclusivo. In particolare, se un dipendente con una grave malattia cronica necessita di assenze prolungate per le cure, il datore di lavoro non può procedere con il licenziamento basandosi sulla condizione di salute del lavoratore.
Agire diversamente porterebbe a una risoluzione del rapporto di lavoro che avrebbe connotazioni discriminatorie, rendendo il lavoratore disabile vittima di disparità di trattamento e dandogli diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. Questa decisione segna un passo importante nella protezione dei diritti dei lavoratori disabili, sottolineando la necessità di un approccio equo e sensibile alle loro esigenze specifiche nel contesto lavorativo. Entriamo nei dettagli:
Periodo di comporto, quali assenze e malattie non si contano
Quando scatta la protezione rafforzata
La Corte di Cassazione ha ribadito l'importanza di adattare le norme lavorative alle esigenze dei lavoratori affetti da malattie gravi, delineando una giurisprudenza che tutela in modo specifico chi soffre di patologie severe come il cancro. Il caso in questione si concentra sulla legittimità dei licenziamenti basati sul superamento del periodo di comporto, che è il limite massimo di assenze per malattia stabilite dai Ccnl.
La Suprema Corte ha chiarito che licenziare un lavoratore malato di tumore per il solo motivo che le sue assenze hanno superato il periodo di comporto stabilito dal Ccnl è una pratica discriminatoria. La discriminazione si manifesta quando si applica indiscriminatamente lo stesso limite di tempo a tutti i lavoratori, senza considerare la gravità delle loro condizioni di salute.
Il contratto collettivo può stabilire regole particolari per settori specifici e riconoscere alcune condizioni mediche che meritano un periodo di assenza esteso. Non sono conteggiati nel periodo di comporto gli infortuni sul lavoro, certificati dall'Inail, causati da negligenze del datore di lavoro relative alla sicurezza.
Altri esempi di assenze escluse dal computo includono i 30 giorni di congedo per cure per invalidi con capacità lavorativa ridotta oltre il 50%, le assenze per malattie legate alla gravidanza anche se l'interruzione avviene entro i 180 giorni, e le assenze per trattamenti di gravi patologie che richiedono terapie salvavita.
La sentenza della Suprema Corte ha stabilito un precedente per il trattamento dei lavoratori affetti da gravi malattie o disabilità, tra cui i malati oncologici. Chiarisce che non è appropriato applicare uniformemente il periodo di comporto, cioè il limite di assenza per malattia previsto dai contratti collettivi, a tutti i dipendenti, indipendentemente dalle loro condizioni di salute.
In questo contesto, la Direttiva europea 2000/78/CE prescrive ai datori di lavoro il dovere di implementare "accomodamenti ragionevoli" per assicurare la tutela del posto di lavoro a dipendenti in condizioni di svantaggio. Questi accomodamenti possono estendere il periodo di comporto oltre i canonici sei mesi, evidenziando un impegno verso solidarietà e giustizia.
Dal punto di vista pratico, la decisione della Cassazione sancisce che un dipendente che ecceda il periodo di comporto a causa di una malattia grave come il cancro, non può essere licenziato sulla base di questo superamento. In caso di licenziamento, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione, a meno che il datore di lavoro non riesca a dimostrare che la rescissione del contratto è motivata da ragioni indipendenti dalla condizione medica.