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Quali sono le parolacce e offese che costituiscono reato in base normativa attuale

Non tutte le offese o parolacce sono penalmente rilevanti, ma in determinati contesti e con specifiche modalit possono configurare reati.

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
Quali sono le parolacce e offese che cos

In Italia, l'uso di parolacce e offese verbali può avere conseguenze penali ma non tutte le espressioni offensive sono considerate reati. La distinzione dipende dal contesto in cui sono pronunciate, dalla gravità delle parole utilizzate e dall'intenzione offensiva. Il quadro normativo italiano regola questi aspetti attraverso il Codice Penale e una vasta giurisprudenza che ha definito i confini tra illeciti civili e reati penali:

  • Quali parolacce possono costituire reato

  • Offese e discriminazione in base normativa attuale

Quali parolacce possono costituire reato

L’ingiuria, ovvero l’offesa rivolta direttamente a una persona presente, è stata depenalizzata con il Decreto Legislativo 7/2016 ed è oggi qualificata come illecito civile. Significa che, sebbene non si tratti più di un reato penale, chi offende può essere citato in sede civile e condannato a risarcire il danno morale alla vittima.

La diffamazione resta un reato penale regolato dall’articolo 595 del Codice Penale. Si configura quando l’offesa viene pronunciata in assenza della persona interessata, in modo da ledere la sua reputazione agli occhi di terzi. Questo reato è rilevante nei casi di insulti pubblici o diffusi sui social media, dove il danno alla reputazione può essere amplificato dalla portata delle piattaforme digitali.

Non esiste un elenco ufficiale di parole che costituiscono reato, ma molte sentenze hanno chiarito che termini come idiota, ignorante, bastardo, stronzo e altre espressioni volgari possono configurare diffamazione o ingiuria, a seconda del contesto. Ad esempio, definire qualcuno ladro senza prove è un’accusa infamante che può avere rilevanza penale, soprattutto se fatta pubblicamente. Anche offese apparentemente più leggere come incapace o inutile, se pronunciate in ambienti professionali, possono danneggiare la reputazione di una persona e configurare diffamazione.

Il contesto è decisivo per determinare la gravità di un’offesa. Un insulto scambiato in una conversazione privata, pur potendo essere moralmente discutibile, difficilmente costituisce un reato. La stessa frase pronunciata in una riunione pubblica, sul posto di lavoro o davanti a testimoni può avere conseguenze legali. Nei casi di insulti sui social media, la diffusione dell’offesa aumenta il rischio di configurare una diffamazione aggravata, soprattutto quando il destinatario è identificabile.

Offese e discriminazione in base normativa attuale

Particolare attenzione è riservata alle offese che contengono elementi di discriminazione. Espressioni offensive basate su razza, etnia, religione, orientamento sessuale o disabilità sono considerate particolarmente gravi. L'articolo 604-bis del Codice Penale punisce severamente chi incita all'odio o utilizza insulti discriminatori. Ad esempio, utilizzare termini offensivi per indicare una minoranza etnica o religiosa non è solo un atto moralmente riprovevole, ma può comportare pene aggravate.

Se si ritiene di essere stati vittima di un’offesa, è possibile agire legalmente attraverso una querela. La querela deve essere presentata entro tre mesi dall'offesa, fornendo prove che dimostrino il danno subito. Nei casi di insulti sui social media, è consigliabile raccogliere screenshot o altre evidenze per documentare l’accaduto.

La giurisprudenza sottolinea che il risarcimento per danno morale è spesso proporzionato alla gravità dell’offesa e al contesto in cui è avvenuta. Le vittime di offese discriminatorie possono ricevere una tutela rafforzata, considerando il potenziale danno sociale delle parole utilizzate.

La libertà di espressione, tutelata dalla Costituzione italiana, non può essere utilizzata come scusa per giustificare offese. La Corte di Cassazione ha ribadito che, sebbene il diritto di opinione sia fondamentale, deve essere bilanciato con il rispetto della dignità e della reputazione altrui. Espressioni che eccedono la critica legittima e diventano insulti gratuiti possono essere perseguite penalmente.