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I diritti, i doveri e le tutele di un convivente in una coppia dopo la sentenza Consulta 148 del 2024

di Chiara Compagnucci pubblicato il
aggiornato con informazioni attualizzate il
La posizione del convivente nella coppia

Diritti, doveri e tutele del convivente dopo la sentenza Consulta 148/2024: un’analisi completa delle novitŕ giuridiche, diritti patrimoniali e assistenziali per le coppie conviventi

La Corte Costituzionale, con la sentenza 148, ha compiuto un passo significativo nell'equiparazione dei diritti tra le diverse forme familiari, stabilendo che la normativa vigente deve essere aggiornata per includere i conviventi di fatto tra i familiari riconosciuti dalla legge e nelle imprese familiari.

Questa pronuncia rappresenta un cambiamento sostanziale nell'interpretazione giuridica delle relazioni affettive non matrimoniali, ampliando le tutele e i riconoscimenti per le coppie che scelgono la convivenza come modello di unione.

La sentenza della Consulta sui conviventi, un cambiamento nella definizione di famiglia

Fino a questo intervento della Corte Costituzionale, l'articolo 230-bis, terzo comma, del Codice civile escludeva i conviventi di fatto dalla definizione di familiare, limitandola al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo. La Consulta ha dichiarato incostituzionale questa esclusione, affermando che anche il convivente di fatto deve essere considerato familiare a tutti gli effetti.

La decisione ha avuto ripercussioni dirette anche sull'articolo 230-ter del Codice civile, anch'esso dichiarato incostituzionale. Tale articolo, introdotto dalla legge 76 nota come legge Cirinnà, offriva al convivente di fatto una protezione giuridica ridotta rispetto ad altri familiari, creando una disparità di trattamento ora giudicata illegittima.

Secondo la definizione fornita dalla legge Cirinnà, i "conviventi di fatto" sono "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale". Con questa sentenza, la Corte ha sancito un ampliamento della protezione legale per queste persone, ora riconosciute come familiari a tutti gli effetti e con diritto alle medesime tutele giuridiche degli altri componenti del nucleo familiare.

Il caso che ha portato alla pronuncia della Corte Costituzionale

La questione dei diritti, doveri e tutele di un convivente è emersa da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione da parte di una donna che conviveva con un uomo deceduto durante la loro relazione. La ricorrente aveva richiesto al Tribunale di accertare l'esistenza di un'impresa familiare legata a un'azienda agricola e di riconoscerle il diritto alla liquidazione della sua quota per il lavoro prestato nell'azienda di famiglia.

Il Tribunale aveva respinto la sua istanza, sostenendo che il convivente di fatto non potesse essere considerato familiare secondo l'articolo 230-bis del Codice civile. La Corte d'appello aveva successivamente confermato questa decisione, mantenendo l'interpretazione restrittiva della norma.

La vicenda è giunta fino alla Suprema Corte, che ha sollevato questioni di legittimità costituzionale riguardo alla normativa sull'impresa familiare, con particolare riferimento agli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato la necessità di rivedere la legislazione alla luce dei mutamenti sociali e giuridici, inclusi gli sviluppi della giurisprudenza europea e costituzionale che hanno progressivamente riconosciuto la legittimità e i diritti delle unioni di fatto.

I principi costituzionali alla base della sentenza

La Corte Costituzionale ha accolto le obiezioni sollevate dalla Cassazione, sottolineando che in una società in evoluzione le famiglie costituite da conviventi di fatto devono godere degli stessi diritti fondamentali di quelle fondate sul matrimonio. Il principio cardine che ha guidato la decisione è quello dell'uguaglianza sostanziale, sancito dall'articolo 3 della Costituzione.

Sebbene permangano differenze tra le due tipologie di famiglia, i diritti fondamentali, come quello al lavoro e alla giusta retribuzione, devono essere garantiti a tutti senza discriminazioni basate sulla forma di unione scelta. In particolare, all'interno di un'impresa familiare, anche il convivente di fatto deve ricevere la stessa protezione giuridica garantita al coniuge, per evitare che il lavoro prestato possa essere sfruttato senza un adeguato riconoscimento economico.

La Consulta ha inoltre richiamato gli articoli 35 e 36 della Costituzione, che tutelano il lavoro in tutte le sue forme e garantiscono il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto. Questi principi non possono essere negati sulla base della forma di relazione affettiva scelta dalle persone.

Le differenze tra impresa familiare e impresa coniugale

Un aspetto importante chiarito dalla Corte Costituzionale riguarda la distinzione tra impresa familiare e impresa coniugale. Quest'ultima si riferisce specificamente al regime patrimoniale della comunione dei beni tra i coniugi, con regole proprie e distintive.

L'impresa familiare, invece, ha lo scopo di tutelare il lavoro svolto all'interno della famiglia come una forma intermedia tra il lavoro subordinato e il lavoro gratuito, prestato per affetto o benevolenza. La sua funzione è quella di garantire che chi contribuisce con il proprio lavoro all'attività familiare riceva un'adeguata compensazione economica e un riconoscimento dei propri diritti.

Con la sentenza 148, la Corte ha stabilito che questa tutela non può essere negata ai conviventi di fatto, poiché ciò costituirebbe una discriminazione ingiustificata e una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e tutela del lavoro.

I nuovi diritti riconosciuti ai conviventi nell'impresa familiare

Grazie alla sentenza della Consulta, i conviventi di fatto acquisiscono ora diversi diritti nell'ambito dell'impresa familiare, tra cui:

  • Il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia
  • Il diritto di partecipazione agli utili dell'impresa familiare e agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
  • Il diritto di partecipare alle decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle relative alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa
  • Il diritto di prelazione in caso di trasferimento dell'azienda
  • Il diritto alla liquidazione della propria quota in caso di cessazione della convivenza o dell'attività dell'impresa
Questi diritti erano precedentemente riservati solo ai familiari come definiti dall'articolo 230-bis, escludendo ingiustamente i conviventi di fatto che contribuivano all'attività familiare con il proprio lavoro.

Le implicazioni pratiche della sentenza per le coppie di fatto

La sentenza della Corte Costituzionale ha importanti implicazioni pratiche per le coppie di fatto, in particolare per quelle in cui uno o entrambi i partner sono coinvolti in un'attività imprenditoriale familiare.

In primo luogo, il convivente che lavora nell'impresa del partner ha ora diritto a una remunerazione equa e proporzionata al lavoro svolto, non più subordinata alla discrezionalità del titolare dell'impresa. Questo rappresenta una tutela significativa contro possibili abusi o sfruttamenti.

In secondo luogo, il convivente acquisisce un ruolo attivo nelle decisioni relative all'impresa, potendo partecipare alla gestione e alle scelte strategiche. Questo riflette un riconoscimento della sua partecipazione e del suo contributo all'attività familiare.

Infine, in caso di cessazione della convivenza, il partner ha diritto alla liquidazione della propria quota, calcolata in base al contributo lavorativo fornito durante la relazione. Questa disposizione è particolarmente importante per garantire una tutela economica in caso di rottura della relazione affettiva.

Il confronto con altri ordinamenti europei

La decisione della Corte Costituzionale italiana si inserisce in un più ampio contesto europeo di progressivo riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto. Diversi paesi europei hanno già adottato normative che equiparano, in varia misura, i diritti dei conviventi a quelli dei coniugi.

In Francia, il Pacte Civil de Solidarité (PACS) offre alle coppie non sposate, sia eterosessuali che omosessuali, una serie di diritti e doveri legali, inclusi quelli relativi alla gestione patrimoniale comune. In Spagna, le unioni di fatto sono riconosciute a livello regionale con diritti simili a quelli matrimoniali in molti ambiti.

La Germania ha introdotto il Lebenspartnerschaft (partenariato registrato) e successivamente ha esteso molti diritti coniugali anche alle coppie di fatto. Anche i paesi nordici, tradizionalmente all'avanguardia in questo ambito, riconoscono ampi diritti ai conviventi, soprattutto in materia patrimoniale e successoria.

La sentenza della Corte Costituzionale italiana rappresenta quindi un allineamento con le tendenze giuridiche europee più progressive, superando una visione tradizionale e restrittiva della famiglia.

Le differenze che permangono tra matrimonio e convivenza

Nonostante il significativo passo avanti compiuto con questa sentenza, è importante sottolineare che permangono differenze. La Corte Costituzionale ha infatti chiarito che la sua decisione non mira a equiparare completamente le due forme di unione, ma piuttosto a garantire che i diritti fondamentali, come quelli legati al lavoro e alla retribuzione, siano tutelati indipendentemente dalla forma di relazione scelta.

Tra le differenze che permangono si possono citare:

  • I diritti successori: il convivente di fatto non è erede legittimo e può beneficiare solo di quanto disposto per testamento, nei limiti della quota disponibile
  • Il regime patrimoniale: non esiste un regime di comunione dei beni tra marito e moglie per i conviventi
  • Gli obblighi di assistenza: sebbene la legge Cirinnà preveda forme di assistenza morale e materiale, queste non hanno la stessa portata e cogenza degli obblighi matrimoniali
  • La procedura di scioglimento dell'unione: la convivenza può cessare senza particolari formalità, a differenza del matrimonio
Queste differenze riflettono la scelta del legislatore di mantenere una distinzione tra le diverse forme familiari, pur garantendo i diritti fondamentali a tutti i cittadini.

Come documentare la convivenza per accedere alle tutele

Per poter accedere alle tutele riconosciute dalla sentenza della Corte Costituzionale, è necessario che la convivenza di fatto sia adeguatamente documentata e formalizzata.

La legge Cirinnà prevede che la convivenza possa essere attestata mediante una dichiarazione anagrafica presentata al comune di residenza. Questa dichiarazione costituisce la prova ufficiale dell'esistenza della convivenza di fatto.

In assenza di tale dichiarazione, la convivenza può essere dimostrata attraverso altri elementi, quali:

  • La residenza comune risultante dai registri anagrafici
  • Contratti di locazione o atti di proprietà immobiliare intestati a entrambi i conviventi
  • Testimonianze e dichiarazioni di terzi
  • Documentazione bancaria che attesti la gestione comune delle spese
  • Contratti di convivenza stipulati davanti a un notaio o a un avvocato
È consigliabile, per le coppie di fatto che intendono avvalersi delle tutele riconosciute dalla Consulta, procedere alla registrazione della convivenza ufficiale attraverso la dichiarazione anagrafica e, eventualmente, la stipula di un contratto di convivenza che regoli gli aspetti patrimoniali della relazione.