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Mercati finanziari ai massimi, i 4 rischi che potrebbero bloccare la crescita secondo alcuni analisi

di Marcello Tansini pubblicato il
Crescita dei mercati finanziari

Il primo e piů inquietante campanello d'allarme proviene dagli Stati Uniti, dove il debito nazionale ha superato i 36.200 miliardi di dollari

I mercati finanziari mondiali hanno registrato una delle fasi più intense di crescita dell'intero decennio. A trainare l'ondata di ottimismo è stato soprattutto l'S&P 500, che ha toccato un nuovo massimo storico a 6.381,3 punti.

Il Nikkei giapponese ha superato i livelli di luglio 2024, mentre Piazza Affari ha sfondato la soglia dei 41.000 punti, toccando il suo massimo da ottobre 2007. Questa corsa, alimentata da dati positivi sui risultati aziendali e dalla fiducia nei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Giappone, sembra aver riacceso l'interesse degli investitori verso asset rischiosi, come dimostra anche il crollo dell'indice VIX della volatilità ai minimi dell'anno.

Ma dietro questa apparente euforia si celano fattori strutturali di fragilità, che secondo alcuni analisti potrebbero innescare un'inversione di tendenza improvvisa. N

Il debito americano e il rischio di default sistemico

Il primo e più inquietante campanello d'allarme proviene dagli Stati Uniti, dove il debito nazionale ha superato i 36.200 miliardi di dollari, spingendo Moody's a declassare il rating del Tesoro Usa da Aaa a Aa1. Questa decisione nasconde una verità più profonda: gli Stati Uniti stanno perdendo la fiducia dei mercati internazionali, mentre i costi di finanziamento aumentano e la copertura del debito si fa più onerosa. Le stime parlano di un rapporto tra debito e PIL che potrebbe arrivare al 134% entro il 2035, un livello che in passato avrebbe già causato terremoti finanziari in altre economie.

Ma qui il problema è duplice: da un lato la spesa pubblica continua ad aumentare a causa di fattori interni (come il One Big Beautiful Bill dei Repubblicani), dall'altro le entrate fiscali calano, anche per effetto della polarizzazione politica che impedisce una riforma fiscale strutturale.

In questo contesto, il dollaro inizia a perdere il suo status di valuta di riserva dominante, eroso da dinamiche monetarie globali sempre più multipolari. Cina, India, Russia e altri Paesi Brics+ stanno consolidando alternative operative allo Swift e sistemi di pagamento basati su yuan e rupie, riducendo gradualmente la centralità del dollaro. Il rischio non è solo economico, ma geopolitico: se gli investitori internazionali inizieranno a vendere in massa i Treasury, i rendimenti saliranno ancora.

Inflazione e petrolio: l'incognita di Hormuz e il ruolo della Fed

Un altro rischio che grava sull'equilibrio dei mercati globali è rappresentato dalla situazione geopolitica mediorientale, in particolare dallo Stretto di Hormuz. Il Parlamento iraniano ha votato per la chiusura dello stretto, una delle rotte energetiche più strategiche del pianeta, in risposta agli attacchi sugli impianti nucleari da parte di Israele e Stati Uniti. La chiusura, che attende ancora l'approvazione del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale iraniano, potrebbe bloccare il 20% del petrolio mondiale destinato a Paesi come Cina, India, Giappone e Stati Uniti.

Uno scenario del genere farebbe immediatamente impennare i prezzi dell'oro nero, innescando un ritorno dell'inflazione energetica, proprio mentre le banche centrali globali sperano di allentare la stretta monetaria. La Fed, che già oggi si trova in bilico tra prudenza e necessità di tagliare i tassi, rischierebbe di trovarsi costretta a mantenere una postura aggressiva, vanificando le aspettative dei mercati. In questo contesto, le imprese aumenterebbero i prezzi per compensare i costi energetici, comprimendo i margini dei consumatori e deteriorando la redditività delle società quotate. Il rischio è che la combinazione tra caro-energia e stretta monetaria generi un effetto domino: riduzione della domanda, contrazione della crescita e nuovo sell-off dei mercati azionari.

Semiconduttori e nuova guerra tecnologica, il tallone d'Achille dell'Occidente

Dietro al volto brillante dell'innovazione si cela un'altra criticità strutturale: la dipendenza occidentale dalla produzione asiatica di microchip, e in particolare da Taiwan. La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) produce oggi oltre il 90% dei semiconduttori più avanzati del mondo. Anche se gli Stati Uniti hanno varato il Chips and Science Act per riportare parte della produzione sul suolo americano, i tempi tecnici e la complessità delle filiere rendono l'autonomia tecnologica ancora lontana.

Le tensioni tra Washington e Pechino potrebbero sfociare in una nuova guerra commerciale per la sovranità tecnologica, in cui la Cina imporrebbe barriere, ritardi doganali e vincoli normativi sulle aziende americane. Se a questo si aggiunge la possibilità che la stessa TSMC limiti le spedizioni internazionali per motivi di sicurezza o ritorsione politica, si profilano gravi strozzature nelle catene di fornitura globali. Le conseguenze sul mercato azionario sarebbero immediate: aumento dei costi di produzione, ritardi nelle consegne, calo dei profitti e discesa repentina dei titoli tecnologici più esposti. In uno scenario del genere, la stagflazione tornerebbe a dominare la scena macroeconomica, spaventando i portafogli più fragili.

Clima e finanza, se il cambiamento diventa sistemico

Il quarto grande rischio individuato da Amadeo Alentorn non è né monetario né politico, ma ambientale. Secondo i modelli più recenti, il quinquennio 2025–2029 sarà probabilmente il più caldo mai registrato. Il livello dei mari è destinato ad aumentare fino a 29 cm entro il 2050, e ciò comporterà una crescente frequenza di inondazioni catastrofiche nelle zone costiere. Negli Stati Uniti, città come Miami e New Orleans potrebbero diventare parzialmente sommerse entro vent'anni.

Di fronte a tale scenario, le compagnie assicurative stanno già ritirando la copertura da aree ad alto rischio, rendendo sempre più difficile ottenere un mutuo per immobili soggetti a eventi estremi. I titoli garantiti da mutui ipotecari subirebbero un drastico riprezzamento, innescando una crisi sistemica del settore immobiliare simile a quella del 2008, ma senza via d'uscita salvifica.

Dall'euforia alla prudenza, le strategie per difendere il portafoglio

Secondo Alentorn, anche se nessuno dei quattro scenari delineati si concretizzasse integralmente, la semplice paura della loro possibilità è sufficiente a cambiare il comportamento degli investitori. Per questa ragione, suggerisce di abbandonare l'illusione che basti un mix di azioni e obbligazioni per proteggere il proprio capitale.

In un'epoca di volatilità e incertezza diffusa, servono strategie alternative, come l'equity market neutral, capace di produrre alpha senza dipendere dall'andamento generale dei listini. Bilanciare posizioni lunghe e corte permette di ottenere rendimenti scollegati dal contesto macro. È l'inizio di una nuova fase dell'investimento, in cui la gestione attiva e l'analisi dei rischi diventano centrali.